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Politica ed Economia (a cura di Maria Franzè) . Anno II, n° 12 - Agosto 2008

Zoom immagine Montaggio al cinema: i segreti per costruire sogni
di Alessandro Tacconi
Un saggio ricco e dettagliato di Vincent Amiel, pubblicato da Lindau,
illustra l’evoluzione di questa tecnica dagli albori della quinta a oggi


Ogni frammento di luce ingabbiato nel cono di una cinepresa. Ogni scorcio di inquadratura. Ogni minimo dettaglio di una sequenza viene pensato, progettato e infine realizzato grazie a un’idea di partenza. Perché il film è anche questo: una serie determinata di fotogrammi. Ognuno di essi è essenziale e indispensabile. E ognuno di essi è superfluo e accessorio.

Il luogo in cui si decide il destino di un fotogramma è la sala di montaggio. Qui avvengono il pollice verso oppure l’alzato per quei fotogrammi che sono stati girati durante le riprese giornaliere da parte del regista.

A spiegare in modo dettagliato, preciso e puntuale le differenti tipologie di ciò che in gergo viene chiamato montaggio è Vincent Amiel nel volume edito da Lindau dal titolo Estetica del montaggio (€ 21,00, pp. 224).

Scopriamo subito che non c’è un solo tipo di montaggio. E questo è semplice da dedurre, se si considerano le migliaia di film che sono stati girati dalla nascita della “settima arte” ai giorni nostri. Eppure, come afferma l’autore, si possono distinguere dei macrogeneri, delle modalità di montaggio in cui possono confluire pellicole girate anche a decine di anni di distanza.

 

Per un montaggio narrativo prendere…

Prendete alcune inquadrature, ma fate bene attenzione a legarle tra loro, in modo che ciascuna sia comprensibile e osservabile solo in rapporto alle altre, quindi nella loro successione. Queste immagini, se le avrete cotte a puntino, se non le avrete sovraesposte alla luce rischiando di bruciarle, andranno a costituire il significato di una storia. La storia che vi preme raccontare. Quella per cui avrete decine di volte contattato sceneggiatori, costumisti, direttori di fotografia, produttori ecc. Una narrazione, appunto, che volete imbastire. E lo spettatore? Beh, se sarete stati abbastanza bravi probabilmente assisterà in maniera emotivamente partecipe alla vostra storia.

L’effetto e il sapore di questo gustoso piatto risulteranno ancora più deliziosi se non vi saranno “dissapori” per quanto riguarda le categorie spazio-temporali, se insomma tutta quanta la storia non sembrerà che sia stata masticata e digerita dal T-Rex del parchetto giurassico di Spielberg, alterando la delicata sequenzialità delle immagini. L’avvertenza sarebbe quella di non aggiungere il sugo prima di aver scolato la pasta. Che insomma, tutto avvenga senza black out di significato nella sequenza della storia.

È pure vero che nel momento in cui mi sto apprestando a scolare il tutto dalla pentola, io inizi a pensare a chi ha prodotto l’appetitosa confraternita dei maccheroni che se ne stava a mollo nella pentola fino all’attimo prima. E inizi a fantasticare di uomini che si alzano all’alba (se faremo nostro l’idilliaco e bucolico paesaggio “barilliano” di pubblicitaria e condizionante memoria: questi uomini saranno sorridenti, perfettamente rasati e felici di aver lasciato il loro letto all’alba), si recano al campo e iniziano a falciare ettari ed ettari di grano a mano con vigore, forza e impegno indomito…

In questo caso, avremo introdotto un elemento nel flusso temporale principale, la bollitura della pasta. Lo spettatore avrà preso coscienza che in un altro luogo, e senz’altro in un altro momento, alcune persone hanno lavorato perché il maccherone finisse con un bel carpiato nella pentola ripiena di acqua sobbollente e successivamente, lordato di sugo, si adagiasse sinuosamente nella fondina.

Il montaggio si inserisce proprio nell’intercapedine tra lo scolamento della pasta e il flash dei lavoratori mattinieri. Il regista ha ben presente che tra la prima sequenza e la seconda sono necessari dei raccordi. Dei ponticelli tra un fiumicello e l’altro (tra una serie di sequenze e l’altra).

Questi raccordi sono legati all’azione della sequenza secondaria e possono essere supportati da un sonoro musicale o ambientale. A questo punto del “nostro” film, accanto alla colonna visiva, prende corpo, per necessità, una colonna sonora. Quindi un racconto filmico dipende dalla danza delle immagini le une dentro le altre e dal suono che ognuna di esse ha rispetto al quadro complessivo.

Mano a mano che si sviluppa un’azione, ad essa appartiene anche una durata (otto minuti se la pasta la desiderate al dente, un po’ di più se vi piace molto cotta), questo determina anche la durata delle sequenze che dalla principale dipartono (se queste ultime sono molto lunghe, accertatevi di avere acquistato una pasta che regga molto bene la cottura!). Questi due momenti vengono definiti «tempo del racconto» e «tempo dell’azione». Ognuno di essi è assicurato dagli stessi raccordi e, quindi, dalle stesse concatenazioni.

 

Ma c’è pure un montaggio discorsivo, parliamone!

Se il montaggio narrativo utilizza l’apparente evidenza di un mondo in cui lo spettatore si riconosce e trasferisce su di esso la necessità delle continuità e delle relazioni logiche che organizzano la sua esistenza, esiste però un altro tipo di montaggio che tenta di organizzare delle relazioni, di imbastire rapporti, significati che non sono subito evidenti.

In questo tipo di montaggio si mettono gomito a gomito due realtà che a priori hanno poco o niente in comune, non sono unite da alcun denominatore comune. Eppure dall’estrema e apparente distanza delle sequenze di ciascun blocco narrativo si sviluppa un discorso, che determina in ognuno di essi un significato differente.

Primi piani, frammenti, inserti, si trovano a far parte di un meccanismo complesso che dipende sempre e comunque da un movimento di tipo intellettuale. Alcuni registi, ad esempio Alfred Hitchcock, decidono di mescolare i nessi logici con gli effetti di pura sensibilità, per confondere i sensi e mettere poi ordine nel pensiero dello spettatore con lo sviluppo della storia.

Il montaggio diventa anche il metodo di una prassi filosofico-dialettica, in cui dopo aver posto un conflitto, se ne pone l’antitesi perché esso sia superato, quindi riassorbito dalla trama della storia in una sintesi.

Ogni inquadratura, ogni elemento del montaggio diventa un frammento del discorso generale, che viene impostato e sviluppato dalla storia narrata nel copione e diretta dal regista. Ognuno di essi, invece di essere un semplice duplicato della realtà narrata, diventa un segno, un rimando, un “dito puntato verso”. Le storie e i loro personaggi, in questo modo, diventano immagini retoriche che rimandano a…,  che indicano ma senza dire. Che suggeriscono.

Ovviamente la carrellata di pellicole prese in esame è nutrita e gli esempi (non) si sprecano, per realizzare un saggio davvero accurato e dettagliato. E poi, non abbiamo detto proprio tutto ciò che il lettore curioso e l’appassionato di cinema troveranno in questo volume. Dobbiamo comunque rispettare una delle leggi che sottendono al fare e parlare di cinema: la sorpresa e lo stupore in chi guarda o, come in questo caso, legge.

 

Alessandro Tacconi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 12, agosto 2008)

Collaboratori di redazione:
Ilenia Marrapodi
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