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Direttore editoriale: Mario Saccomanno
A. XIX, n. 210, apr. 2025

denso impegno
contro la fame
di Gaetanina Sicari Ruffo
La concreta battaglia ideale
di fronte miseria e malattie
edito da Ilisso-Rubbettino
Conosciuto come “missionario laico” per la vasta opera di assistenza che assiduamente prestò in favore delle classi sociali meno agiate, nel tentativo di alleviarne le sofferenze ed elevarne il tenore di vita, Umberto Zanotti Bianco ottenne la riconoscenza dello stato italiano che, nella persona di Luigi Einaudi, nel 1952, lo nominò senatore a vita e la gratitudine di quanti si sono assimilati a lui e ancora lottano per il riscatto dei miseri e dei diseredati. Una raccolta dei suoi scritti, dal titolo Tra la perduta gente, è già uscita per le edizioni Ilisso-Rubbettino (pp. 136, € 5,90) a riproporre ai giovani e a quanti non le hanno ancora lette le sue prose composte tra il 1916 e il 1928, edite per la prima volta da Mondadori nel 1959.
L’uomo e lo scrittore
La nuova edizione, con un’ampia introduzione di Aldo Maria Morace, ben sottolinea la profonda sensibilità e l’infaticabile attività, soprattutto nel Mezzogiorno, dell’autore del libro, che portò a termine una serie di iniziative benefiche e durature. A lui si devono la rivista Archivio storico per
Nel Meridione
Zanotti Bianco risiedette in Calabria per molto tempo. Fu la regione da lui più visitata. Solo durante il periodo fascista ne fu allontanato perché la sua frequente presenza destava sospetti, ma a più riprese lo scrittore ritornò per fondarvi asili, scuole, colonie e constatarne la funzionalità. Una prosa di Tra la perduta gente s’intitola Catanzaro Marina e descrive la notte insonne trascorsa ad aspettare un treno in forte ritardo – sempre l’eterno problema delle comunicazioni – ma vi trovano spazio pure la denunzia delle estreme condizioni di degrado dell’ambiente, le voci in dialetto dei passeggeri, quelle di protesta per l’abbandono da parte del governo e di sofferenza per la miseria e le condizioni precarie di salute. Nelle successive pagine memorabili compaiono altre località calabresi: Africo, Brancaleone, Bruzzano, Palizzi, nel loro vasto scenario di desolazione, con la carenza endemica del minimo indispensabile per la vita: dall’acqua potabile al cibo, dagli attrezzi di lavoro ai medicinali, alle case, alle scuole che, non ultime, potrebbero per lo meno combattere l’ignoranza e costituire la speranza di un domani. Non è tempo di ricostruzioni storiche e mitiche come nella produzione alvariana, ma di ripristinare la dignità e l’identità che appaiono compromesse. Perciò le figure dominanti sono quelle delle classi meno abbienti: vecchi, bambini, madri, uomini e donne, tutti demotivati e stanchi di vivere come per un sortilegio. Le frequenti battute del dialogo non si aprono, però, mai a una vera e propria comunicazione, sono amare confessioni a una sola voce. Sembra che il tempo in Calabria si sia fermato: «The time is out of joint», per usare un’espressione di Amleto.
Problemi d’ordine esistenziale e sociale
L’autore insegna come procacciare l’essenziale, costituire nuclei di socializzazione a carattere comunitario territoriale, diffondere la cultura, almeno quella primaria. È stato definito da Rolland «il più puro discepolo di Mazzini» per la sua fede laica, la schiettezza dei suoi ideali umanitari, la sua abnegazione. La sua speranza non si spegne mai, anche se messa a dura prova, e il suo animo non è solo pensoso, ma fortemente commosso da tanto squallore e contemporaneamente dalla possibilità di riuscire ad attenuarlo. La sua presenza è di stimolo e d’incoraggiamento ai volontari che sono con lui e a quanti lo affiancano nella sua opera. Il suo esempio invita a vincere la rassegnazione e l’inerzia per divenire protagonisti di un riscatto necessario, non più eludibile. Ci sono alcune sue espressioni che lasciano il segno e danno l’idea dell’intensa partecipazione: «Mi volto di scatto… quasi a vincere con una violenza fisica lo sconforto che mi soffoca, e chiudo gli occhi: Sì, qualcuno li aprirà su un altro orizzonte. Lo credo disperatamente». L’uomo di cultura ha rinunziato alla sua carriera, a tutto, pur di realizzare il sogno di una restituzione all’umanità di quei valori che contano e che ha appreso nella sua formazione religiosa presso i Barnabiti. Numerose infatti sono le aperture liriche dei suoi scritti, non solo per sottolineare la bellezza del paesaggio, ma sentite come preludio a un premio più alto, oltre che terreno, che l’attende: «alla prima alba un astro sì luminoso e pur sì dolce palpitava sui monti bui che non ho resistito al richiamo e, gettandomi una coperta sulle spalle, sono uscito sul prato pallido sentendo la parola dell’Apocalisse: E gli darò la stella mattutina». Ma
I bambini russi
Il suo interesse per il problema della Russia fu pure sempre molto vivo. Entrò in contatto con gli esuli dopo il fallimento della Rivoluzione del 1905 e conobbe Gorkij. Partecipò nel 1913 al loro congresso, che si tenne a Capri e si adoperò per aiutarli a superare le molte avversità. Nel 1922 fece parte del Comitato di soccorso ai bambini russi, fondato da Mariettina Pignatelli. In occasione di una grave carestia organizzò aiuti in loro soccorso. Una delle prose del testo riedito s’intitola proprio Una notte sul Volga e narra l’infinita pena per i piccoli derelitti, provati dagli stenti e ridotti al silenzio e all’inerzia, scheletriti e immobili come in un’anticamera di morte. Gli aiuti non sembravano in grado di recare beneficio alla loro salute minata da gravi malattie: «Cerco invano in quella strage d’innocenti mai veduta, di decifrare quella legge di giustizia e di armonia di cui paiono narrare le stelle nell’immensità del firmamento». Dissenteria, colera, peste, piaghe purulente: il male non ha fine. Esso avanza «sui cavalli bendati del fato per gli immensi territori, senza mai incontrare, come le antiche orde in conquista, come le avanguardie cosacche colonizzatrici, senza mai incontrare il confine sul quale sostare!». Le richieste d’aiuto personalmente da lui raccomandate per l’immane tragedia tuttavia riuscirono in quella circostanza a salvare dai 12 ai 15 milioni di esseri umani.
Gli esuli armeni
Addossati a nude pareti di baraccamenti, a Bari, nel 1925, aspettavano da mesi una sistemazione, un segno di pietà per dimenticare i loro strazianti ricordi. Zanotti Bianco fu premuroso, in una sua visita, anche nei loro confronti. Formavano una colonia che si era data da fare per non approfittare troppo della generosità di chi li ospitava, fino al punto da impiantare una fabbrica di tappeti. Ognuno, però, aveva in serbo l’orribile racconto dell’esodo di fronte alla minaccia turca prima di trovare, dopo molte traversie, un approdo più certo, ma non molto confortevole . Ora lavoravano tutte le ore del giorno a tessere tappeti e a trapiantarvi gli arabeschi iridescenti dei loro sogni, delle loro terre lontane o a inseguire le armonie di cui avevano nostalgia. Ma le loro labbra apparivano arse, come bruciate dalla furia delle distruzioni di cui erano stati testimoni, tanto da non riuscire ad accompagnarsi col canto durante il lavoro. Il poeta Hrand Naziariantz, loro guida e interprete, invocava la morte come ristoro delle loro menti. Tante storie di popoli vinti e perseguitati ma non tutte uguali! Non si confondono in litanie di nomi, in un linguaggio anonimo, scialbo e monotono: hanno invece un timbro forte, dalle connotazioni inconfondibili, vibrano dell’intensa emozione dello scrittore animato dallo sdegno di fronte a ingiustizie così largamente diffuse sulla terra. La sua accorata rappresentazione arriva talvolta a farsi preghiera per invocare una tregua e una collaborazione da parte del mondo civile, che, purtroppo, stenta ad arrivare. Ma come può un uomo solo asciugare tutte le lacrime del mondo? La sofferenza così provata insegna che una sola via è percorribile, quella della fraternità e dell’operosità disposta a ogni sacrificio pur di alleviare il pesante fardello delle trascuratezze umane.
Gaetanina Sicari Ruffo
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 12, agosto 2008)
Ilenia Marrapodi