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Anno II, n° 11 - Luglio 2008
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Riflessi d'autore (a cura di Pierpaolo Buzza) . Anno II, n° 11 - Luglio 2008

Zoom immagine Il futuro nell’ultima distopia allegorica di Vassalli
di Marco Gatto
La nuova raccolta di storie pubblicata da Einaudi: rappresentazione
catastrofica di un avvenire esito della nostra irriducibile “stupidità”


È almeno dal precedente La morte di Marx e altri racconti, pubblicato per Einaudi nel 2006, che Sebastiano Vassalli, scrittore genovese trapiantato a Novara ed esponente di punta di quella tendenza “neostorica” del romanzo italiano ormai lontana, ha deciso di rivolgere la sua attenzione al presente inenarrabile della contemporaneità, dando un addio, seppure forzato, a temi e motivi cari alla modernità. Non stupisce, pertanto, che Dio il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni (Einaudi, pp. 144, € 16,50) si ponga – in via del tutto giustamente problematica – nel percorso di avvicinamento dello scrittore alla nostra viva e vegeta postmodernità. Perché la svolta inaugurata dal libro che abbiamo citato in apertura non poteva non rendere paradossale la posizione di un narratore che, dopo essersi tuffato nella Storia per simboleggiare la nostra inaccessibilità a essa, si è ritrovato a fare i conti con una realtà alla quale ci si può accostare, da nostalgici moderni, solo con strategie di resistenza, mantenendo quel necessario distacco conoscitivo che sempre più pare essere in procinto di annullarsi. Il quadro è complicato, poi, dalla tendenza di Vassalli a proiettare sullo sfondo dei suoi romanzi più riusciti un futuro difficilmente percettibile, quasi desiderabile per differenza rispetto al presente narrato; tendenza che, ora, nella sua ultima prova narrativa, appare risolversi in una concretezza più palpabile, quasi a segnare la necessità, fortemente ontologica, oggi, di sperimentare la distorsione di qualunque rappresentazione utopica, scivolando nelle maglie della distopia, dell’immaginazione di un futuro catastrofico, come nella migliore science-fiction americana.

 

Un esempio di distopia italiana

Il fenomeno distopico non è certo privo di interesse se uno studioso acuto come Francesco Muzzioli lo ha riportato, nel suo recente Scritture della catastrofe, edito da Meltemi, all’attenzione del pubblico italiano attraverso un ventaglio di temi e proposte sull’intrinseco legame tra narrazione e distopia. La nostra letteratura cesserebbe, nel presente, di declinare il suo istinto insopprimibile verso l’utopia, e inclinerebbe, facendosi sintomo del timore nei confronti di un futuro incerto, verso la rappresentazione di isole del terrore, di mondi futuri caratterizzati dalla distruzione. Ebbene, nell’ultimo libro di Vassalli il presente lascia spazio a un passato che fatalmente gli somiglia e a un futuro apocalittico. La stessa tripartizione del volume, che, di primo acchito, farebbe pensare a una consecutio lineare, si snoda lasciando da parte l’immediato presente e sbilanciando la narrazione sui prodromi di un futuro contrassegnato dalla morte, fortemente allegorizzata nella figura della Mosca evocata nel titolo. I personaggi della prima sezione, Ieri: Dio, sono tutti caratterizzati dal «germe della stupidità», la vera macchia dell’odierna società, e rappresentano delle tipologie largamente disponibili nel supermercato umano dell’oggi. Si va dal preciso Erich Stoiber, che decide di soppiatto di turbare repentinamente la scansione delle sue giornate dandosi alla seduzione di una donna più giovane, ai giovani studenti impegnati nella scrittura a-grammaticale e visuale degli sms, poi pronti a stuprare in gruppo una ragazzina vittima a sua volta di una sgangherata coppia di genitori (con tanto di padre camionista e cocainomane), fino a giungere alla triste fine del dottor Sikorski, che muore tra le grinfie di una tigre che lo ha eletto suo oggetto d’amore… Insomma, il mondo descritto da Vassalli nella sua truce quotidianità è un mondo in cui l’orrore è reso norma e assume, ai nostri occhi, una venatura ironicamente tragica, entro cui si riflettono, tuttavia, le angosce di una società senza futuro.

Non poteva mancare l’evento che più di tutti ha segnato la rinnovata attenzione verso il destino di un’umanità che, troppo bruscamente, usciva, almeno in Italia, dagli anni della leggerezza postmoderna, dall’euforia dei Novanta, dall’occultamento estetico di una modernizzazione mai compiuta: quell’11 settembre 2001 ormai divenuto uno spartiacque tra il vecchio e il nuovo secolo. Ma da Vassalli non si ottiene certo il romanzo italiano sulla caduta delle Twin Towers, né tantomeno lo scrittore si incarica di offrirci una rappresentazione viva di quella tragedia dal nostro punto di vista “nazionale” (se uno ne esiste). Qui la narrazione è quasi comicamente giocata sulla presenza del diavolo in persona sull’aereo dirottato dai terroristi e dalla sua consapevolezza che, in quel volo, perderà la vita la ragazza da lui sempre seguita e, diremmo, amata. E inoltre da una mefistofelica autocoscienza che in prima persona si fa portavoce della verità storica, con un ribaltamento sintomatico del punto di vista comunemente accettato: «Io, il Diavolo, sono destinato a morire. Su questo pianeta che porta in sé la premesse della sua fine, come il volo numero novantatre della United Airlines aveva tra i suoi passeggeri i quattro arabi che lo avrebbero portato a schiantarsi. / Per secoli, ho cercato di far capire agli uomini che i nostri destini erano intrecciati, e che io avrei dovuto rappresentare, per loro, un’idea di civiltà basata sulla ragione anziché sulla religione». E, invece, gli uomini hanno continuato a odiarsi proprio in nome della religione.

 

Verso nuove apocalissi

Il risultato è quello di un futuro contrassegnato da una morte, in qualche modo, premeditata e voluta. Le mosche ronzanti e scintillanti che mietono vittime fra le nuove figure che animano la terza parte del libro, Domani: La Mosca, delle quali la più riuscita è sicuramente quella dell’ottantenne borseggiatore che ha costruito un appartamento ricco di comfort nei meandri di una metropolitana, potrebbero essere, sì, l’allegoria della distruzione, ma si scoprono anch’esse prodotto di una follia umana, costruite dal genio dell’Onu per riportare sui binari un mondo ormai deragliato, e fatalmente resesi del tutto autonome dai loro inventori. Occorrerà, dunque, che la distruzione nata dalle nostre mani prenda i connotati di una ritorsione del tutto meritata nei confronti degli assassini del pianeta? Sembra essere solo questa, nel libro di Vassalli, la soluzione: o forse solo un ammonimento che, inversamente, renda effettiva l’assenza di una prospettiva umana coscienziosa; o, sarebbe meglio, il tentativo di arginare un nuovo mito distopico, una nuova ragione apocalittica e sanguinaria, tornando magari a un ideale di sviluppo veramente illuministico, posto che non siamo già, noi abitanti dell’Occidente pienamente postmoderno, assorbiti irrimediabilmente in un irreparabile vortice di terrore e di malsana assenza di futuro possibile.

 

Marco Gatto

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 11, luglio 2008)

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