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Anno II, n° 11 - Luglio 2008
Il mestiere di attore
e Michele Placido:
cinema impegnato
in temi forti e civili
di Rossella Bufano
Besa editrice pubblica un accurato
libro-intervista al famoso regista
Michele Placido: un esempio di cinema “civile” lungo una carriera. In oltre trentacinque anni l’attore ha ricoperto un centinaio di ruoli, interpretando in modo magistrale la realtà italiana, quella più spinosa, più difficile da raccontare. Altrettanto fa come regista a partire dagli anni Novanta. Dall’intervista rilasciata a Massimo Causo e Fabrizio Corallo, Michele Placido. Un viaggio chiamato attore, pubblicata dall’editore Besa (pp. 126, € 13,00), emergono due aspetti affascinanti e profondi: il suo ruolo di artista impegnato, capace di “far parlare” la storia e l’attualità, e il magnetismo di chi nella vita ha avuto dei veri maestri e oggi è egli stesso maestro.
Placido si forma a teatro (diretto da registi come Luca Ronconi e Giorgio Strehler) per poi affermarsi nel cinema come attore “autonomo”, capace di animare i suoi personaggi al di là della sceneggiatura. Lo stesso artista quando parla del film Un uomo in ginocchio di Damiano Damiani – storia di un gestore di bar che finisce nel mirino della mafia palermitana – dichiara: «Ho cominciato a trovare vie autonome rispetto alla sceneggiatura. Mentre si girava avvenivano in me delle cose che sorprendevano non tanto me quanto Damiani, sentivo che quel personaggio poteva avere degli scatti diversi, una vita diversa, una fantasia diversa rispetto alla sceneggiatura, pur stando nella scrittura.[...] Probabilmente era scattato in me qualcosa nello studio del personaggio che veniva dal vizio teatrale e che accennava pennellate di profondità diverse da quanto previsto in sceneggiatura, dal cliché del personaggio».
Come ha osservato Placido, durante la presentazione del libro a Lecce, di solito di un film si ricordano più le immagini che le battute. Pertanto l’apporto che sa dare un attore al proprio personaggio è fondamentale e, solitamente, la sceneggiatura per almeno un 30-40% viene rimodulata nel corso delle riprese. Lui stesso, nelle vesti di regista, lascia volentieri agli attori la possibilità di esprimersi.
Dal teatro al cinema impegnato
Il cinema e un po’ la Tv (dalla seria La Piovra al recente Moro – Il Presidente) sono stati per lui e grazie a lui “la voce” dei dissidi degli anni Settanta (Romanzo popolare, Marcia trionfale, Ernesto, Il prato), delle contraddizioni degli anni Ottanta (Tre fratelli, Sciopèn, Pizza Connection, Mery per sempre), delle trasformazioni degli anni Novanta (Giovanni Falcone, Lamerica). Proprio negli anni Novanta inizia la sua attività di regista, ed esordisce denunciando l’emergere di nuove questioni sociali come in Pummarò. Ha rappresentato e diretto temi scomodi: dalla mafia (La Piovra, Pizza connection,) alla discriminazione razziale (Pummarò), alla vita in un carcere (Mery per sempre), a un femminismo meridionale colpevolizzato e incompreso (Io sono mia), alla violenza in famiglia (Le amiche del cuore), a esempi magistrali di dedizione al dovere e allo Stato (Un eroe borghese, Giovanni Falcone). Insomma non ha tralasciato nessun aspetto di rilievo il bravo artista pugliese.
«L’esperienza teatrale mi ha portato a lavorare in una certa direzione piuttosto che in un’altra, sono stato un po’ viziato da certi autori, dall’aver avuto insegnanti come Ronconi, Orazio Costa, Strehler… Il che, quando poi sono iniziate ad arrivare le offerte, mi ha indotto ad accettare certe cose piuttosto che altre, fino a trovarmi tra le braccia di un Rosi, di un Bellocchio, di Damiani, Comencini, Monicelli. Tutti registi importanti, che, quando sono passato a mia volta dietro la macchina da presa, mi hanno messo naturalmente nella condizione di fare un certo tipo di film, di affrontare determinati problemi, insomma di fare Pummarò piuttosto che una commediazza qualsiasi». Le parole di Placido giungono come un balsamo a chi crede ancora che affrontare “certi problemi” sia necessario, a chi crede che i “maestri” che ti insegnano il “mestiere” siano fondamentali. In una società in cui gli insegnanti sono ormai delegittimati e sempre più facilmente ci si improvvisa (ci si considera “arrivati” ancor prima di “partire”!), è necessario rieducarsi al riconoscimento e al rispetto di chi “istruisce”. Placido riconosce una grande importanza alla professionalità, infatti come produttore promuove giovani registi (L’uomo giusto girato da Toni Trupia e SoloMetro di Marco Cucurnia). Dopo aver appreso da grandi maestri, è diventato lui stesso un grande maestro.
In una società in cui si preferisce “non parlare” e “non denunciare” la verità, c’è veramente bisogno di qualcuno che abbia ancora la voglia di farlo. E ancor più tristemente illuminante è stata questa sua affermazione: «I ragazzi che vedono Romanzo criminale mi chiedono: “Ma gli arabi hanno messo la bomba a Bologna?”». Il film racconta le gesta della banda della Magliana che terrorizzò Roma a cavallo degli anni Settanta e Ottanta con la comprovata complicità di settori deviati dello Stato e della politica. La violenza che connotò quegli anni (strano, sembrano fatti di oggi!) è storia e la Storia, come disciplina, si sa, non piace ai ragazzi. Anche perché ormai non la insegnano da nessuna parte... la Tv vende solo sogni di successo e gloria. D’altro canto il nemico dei nostri giorni è il “diverso” (straniero, musulmano) per cui l’identificazione è automatica.
Il cinema “civile” ha un futuro?
Ma è ancora possibile fare cinema impegnato in Italia? Lo abbiamo chiesto proprio a Placido. Ci ha risposto che è alquanto difficile. La produzione pone spesso dei limiti e il regista si sente facilmente dire: «... ma la politica non interessa molto oggi, punta più sul sogno... Ma a chi vuoi che interessi più nulla di Che Guevara... ».
Attualmente il regista sta lavorando a un film sul Sessantotto, in parte autobiografico, Il grande sogno, per ricordare il Sessantotto di Valle Giulia dove all’epoca Placido faceva il poliziotto. Un film corale con molti attori, che attraverso la storia dei singoli personaggi racconterà anche la “Storia” che si snoderà in quei giorni (tra cui appunto quella di Che Guevara). Il personaggio ispirato allo stesso Placido sarà interpretato da Riccardo Scamarcio. Jasmine Trinca vestirà i panni di una brava ragazza di estrazione cattolica che prende parte alla contestazione e alle marce per la pace, (anche in questo caso il modello di riferimento è una persona reale, la sorella del cosceneggiatore Angelo Pasquini). Altro personaggio di spicco sarà Libero, estremamente politicizzato e completamente inventato. Placido, in veste di attore, interpreterà il ruolo di Andrea che, divenuto scrittore, durante una ricerca scopre il suo volto e quello della sorella tra le foto in mostra alla facoltà di Architettura, teatro di scontri tra studenti e polizia nel Sessantotto. Il film parlerà di studenti borghesi in lotta con i padri e di giovani lavoratori di estrazione proletaria, spesso dall’altra parte (i poliziotti), tutti sullo stesso campo. Le vicende dei tre ragazzi saranno lo specchio dei mutamenti del tempo e delle idee.
Un film che si propone di comunicare ai giovani, che racconta di storia, di vite, di idee e soprattutto di persone reali che quella storia l’hanno fatta. Non si può vivere appieno il presente senza sapere da cosa è derivato. Il passato serve a conoscere e riconoscere fatti, vicende, a scoprire “esempi” di vita da riproporre o da cui prendere le distanze. Ma senza storia e senza “modelli”, senza “intellettuali impegnati” non ci possono essere né futuro, né vera democrazia.
Oggi e probabilmente nei prossimi anni sarà particolarmente difficile produrre cinema “civile”, ma almeno Placido non si ferma, continua il suo viaggio... e con l’esempio dice e incide ancor più che con le parole.
Il teatro di San Luca in Calabria
L’attore e regista riconosce un ruolo cruciale alla cultura. E si attiva concretamente: da due anni è direttore artistico del Teatro Tor Bella Monaca, nel cuore della periferia disagiata di Roma, ed è ideatore di un progetto teatrale in Calabria.
Dice: «Mi ritengo sempre in costante formazione culturale: dobbiamo stare al passo coi tempi, la cultura non può vivere solo di passato e io ancora oggi cerco di capire i meccanismi che regolano la nostra società, voglio essere informato e far parte dall’interno di certe battaglie sacrosante. All’interno di un progetto voluto dalla prefettura di Reggio Calabria all’indomani della strage di Duisburg, in cui sei persone furono uccise nell’ambito della faida che si trascina da anni a San Luca, nella Locride, ho regalato a questo paese un piccolo teatro da 90 posti, facendo arrivare il palco, il sipario e tutta la strumentazione necessaria. A San Luca ho avviato anche quattro corsi, due di recitazione e due di illuminotecnica e scenografie, destinati ai ragazzi delle scuole elementari e medie, tenuti da due attori che lavorano con me al teatro di Tor Bella Monaca e da due importanti direttori di scena. Credo sia importante mandare un preciso messaggio per cui anche nelle zone martoriate del Sud si può e si deve cambiare non solo con l’apporto di contributi esterni, ma anche con quello di chi vive sul posto».
Rossella Bufano