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Anno II, n° 10 - Giugno 2008
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Civiltà letteraria (a cura di Anna Guglielmi) . Anno II, n° 10 - Giugno 2008

Zoom immagine L’uomo, i suoi pensieri sotto i grattacieli naturali
di Ennio Masneri
La bellezza immobile, ignota e potente dei “giganti” di pietra regionali
descritta in un’antologia di poesie pubblicata in una collana da Ferrari


Una delle ricchezze principali della Calabria, oltre alle tradizioni e ai costumi, alla notevole importanza della cucina, alle spiagge estive e a tutto quello che, insomma, riguarda il mare, è costituito anche dalle montagne. Da Sud verso Nord troviamo l’Aspromonte, la Sila, la Sila Piccola e la Pre-Sila, e infine il Pollino, tutte aree che l’uomo sta cercando di salvaguardare per i suoi figli. Un contatto con la natura montana, tra i boschi e le sorgenti, un patrimonio fatto di tradizioni e di costumi, una mentalità che nasce dal connubio tra il carattere delle genti calabresi e la montagna in generale, tra la protezione della nuda pietra di fronte alle intemperie naturali alle prime case dei nostri antenati, tra i rifugi per la transumanza delle greggi e la ricca fauna, è quanto si possa lasciare per il nostro futuro.

Un patrimonio da difendere e tramandare.

Nasce così, grazie al contributo di alcune comunità montane, delle amministrazioni comunali di Cosenza, Crosia e Rossano, l’antologia contenente 84 poesie e curata da Anna Lauria – che ha incluso anche un proprio breve racconto – dal titolo, semplice e senza tanti stili enfatici, La montagna e pubblicata nella collana Tra cielo e terra dell’editore Ferrari (pp. 118, € 10,00).

 

Il patrimonio delle montagne verso il futuro

La ricchezza montana ha spinto, e sempre spinge, l’uomo ad affascinarsi, al di là della becera e moderna superficialità, davanti a un mondo fatto di luci e di ombre, di ghirigori, di misteri nascosti e poi svelati con semplici incursioni e camminate, di piccoli spettacoli e capolavori naturali (ruscelli, piccole cascatelle, pianori, ecc.) creati dalla natura o causati dall’erosione del vento e delle acque.

È un patrimonio insomma che deve essere affrontato più in profondità, al di là delle chimere delle moderne tecnologie. È un patrimonio che ha e dà calore a chi lo osserva e lo studia in cuor suo.

Ci sono uomini che preferiscono distruggere. Ci sono uomini che preferiscono apparire indifferenti. Ma sono casi isolati.

Quando si osserva l’immensità del mare, ci si trova davanti all’illusione di un infinito in cui cercarsi, di uno spazio in perenne movimento, indifferente ai nostri pensieri, che va laddove arriva lo sguardo, un universo di pace come l’utero della madre, come se si cercasse anche la speranza o la calma interiore; ma basta girarsi per trovarsi dinanzi ad una dimensione diversa, statica, immobile, matura forse, eppure non meno rilassante. Una realtà ferma davanti ad una illusione in movimento…

E in mezzo a questa lotta titanica tra il mare e la montagna, a colpi di erosione o di ritiro delle acque, ci sta l’uomo con le sue speranze, le sue paure e i suoi sogni, le sue lotte e le sue parole.

Si è poetato molto sul mare e sulle sue caratteristiche, su ciò che era in grado di dare e che continua a dare attraverso le nostre visioni, i nostri sentimenti e le nostre tradizioni.

Anche la montagna calabrese ha, ora più che mai, un suo posto importante nel mondo dell’arte della parola, come se si avesse la consapevolezza della sua potenza ma anche della sua protezione e della sua immobilità, nonché dei suoi segreti, naturali e psichici.

 

Un viaggio metrico verso le alte vette

L’antologia è suddivisa in tre capitoli. Il primo contiene opere di poeti italiani, mentre il secondo contiene un sunto di poeti calabresi, chiude, come abbiamo detto prima, un racconto della stessa curatrice e infine una raccolta di poesie di alunni dei vari istituti scolastici della Calabria settentrionale, dove si sta soprattutto a stretto contatto con il Pollino e la Sila e i loro contrafforti naturali.

Nell’impossibilità di commentare in questo luogo tutte le poesie ivi esposte, ne ricordiamo alcune di grande valore stilistico come esempio di munificenza, come simboli dell’arte della parola nei confronti delle nostre montagne calabresi e di tutto quello che hanno rappresentato e rappresentano oggi.

Prima su tutte spicca la lunga e bella poesia dell’ex preside del Liceo “S. Nilo” di Rossano, Giovanni Sapia, dal titolo Alto Jonio (dalla raccolta Poesie all’Alto Ionio) che è un raro esempio di “metrica barbara” (chiamata così da G. Carducci perché sarebbe apparsa appunto “barbara” agli orecchi degli antichi Greci e Romani) che ebbe tra i suoi precursori il Premio Nobel Giosuè Carducci. È un viaggio poetico che parte dal paese dello stesso Sapia, Rossano, per dirigersi verso il Settentrione attraverso le località costiere come Sibari, la collina di Broglio di Trebisacce, Amendolara, Roseto, per fermarsi infine nelle parti più a nord della linea montana.

«Scendono dalla tua chiostra, Rossano, falce di luna / appoggiata alla selva di pastori e briganti, // tra memorie guerriere e di peregrini romiti / i tuoi colli precipiti, laminati d’argento // e al grande piano posano, opimo di verde e d’oro, / di magnanime glorie e di dolori antichi. // Ebbra dell’infinitudine si cheta l’anima stanca / sulle orme dei secoli, della mia breve luce, // e i passi si perdono dietro vaganti fantasimi / in questa che m’ammanta solare chiarità […] ». È per il lettore un viaggio metrico e avvolgente che scaturisce dal sentimento dell’autore verso i propri luoghi e li attraversa con uno spirito che nasce dal connubio tra storia e leggenda: « […] Dal suo pianoro Broglio la polvere scuote dei secoli, / arde rompere i claustri dell’ascoso mistero, // e lieta Amendolara di pingue olivo e di greggi / rende al vomere e al sole opre e affetti gentili. // Gioca estrema con l’onda, con l’infinito di luce / la vanïente perla che ha nome dalle rose; // balena nella notte siccome tripode d’oro / esule dalle stelle a vigilia del mare […] ». Un continuatore di Omero si presenta Sapia che alla fine della poesia fa un riferimento proprio allo stesso cantore cieco: « […] Sulle rovine, Omero, vola il tuo canto ed avanza // la spenta tua pupilla dei veggenti la luce, // e del pensiero i triboli illumina, gran Federico, / l’eretica fierezza della tua libertà». Una perfetta continuazione della “metrica barbara”.

Un’altra poesia di maggior spicco è quella del poeta-pittore Eugenio Nastasi (per gli amici Gegè) Prendo la vita della montagna (da Linea di Confine). Si tratta di un viaggio in montagna in compagnia di amici. Il silenzio, le frasi che vanno logicamente verso un senso comune, il «muschio che fascia vecchie ferite», accompagnano questo camminare verso l’alto, verso un cielo di una «corazza di nuvole perse». Il rumore del mare è lontano come è lontana anche la confusione e l’illusione. Qui è presente solo il silenzio maturo e nascosto della montagna con i suoi tesori, le sue parole e i suoi pericoli, ma anche con i suoi prati verdi e innevati. Un elogio verso l’altezza che «si misura / con le pietre asciutte, coi licheni dipinti / dalle bufere. / Laggiù il gregge dei tetti cova / un paniere gentile di comete; una volta il torrente / disperse gente e cortile». E dopo una semplice descrizione del mondo che lo circonda, del segreto intimo – e quindi non di quello che appare in superficie – che racchiude (e quindi anche i pericoli dei torrenti che straripano cancellando tutto sulle loro corse taurine) la montagna maestosa, il poeta Nastasi si accorge di se stesso davanti a tutto quello che ha appena visto: «Ascolto il gran silenzio / sorvegliato dai pini, ognuno crede alla scintilla / che l’occhio accende e insieme si vola / per alture. / Lo scrimolo del monte beve il suo vino / migliore». Si rende quindi conto di essere una formica davanti a una potenza capace di osservare, sentire e distruggere, una potenza dove: « […] l’immenso s’è portato via / le ragioni del cuore. / Per un po’ il sapore della resa ha messo / il sale sulle nostre ossa vive». Una dichiarazione di umiltà, secondo cui l’uomo da solo non può fare nulla di fronte all’immensità della nuda roccia, delle valli innevate o dei prati destinati alla transumanza, ma soprattutto davanti alla protezione dalle intemperie che la montagna concede ai mortali.

 

La sapienza nascosta della roccia

Commentare tutte le poesie qui si dimostra molto arduo, ma all’interno del volume compaiono anche opere di Pierfranco Bruni, Francesco Fusca, Gennaro Mercogliano e altri che fanno parte del panorama culturale calabrese e italiano. Ma la poesia non si affida soltanto alla parola, libera o “barbara” che fosse. Compaiono, infatti, alcune fotografie di tramonti da e tra le montagne, le opere modellate dall’erosione delle acque e dei venti, gli alberi che coprono le rocce, o i suggestivi spazi innevati e numerosi altri panorami a testimonianza della statica e, a volte, silenziosa potenza della natura.

È un’opera che va letta con il cuore, con il ricordo e con una proiezione verso il futuro più responsabile. Tutto quello che si scrive è per il futuro, per i nostri figli, per tramandare il rispetto e la voglia di osservare i nostri giganti che stanno al confine tra il cielo e la terra e di trovare quella pace che tanto, in questi tempi non funesti, ma nemmeno allegri, agogniamo.

L’opera non si esaurisce con l’ultima nota dell’ultima pagina. Termina nella retrocopertina finale con un piccolo componimento di Franco Costabile che in pratica fa da pendant all’intero libro e che racchiude, come un breve commento, tutto ciò che 120 pagine offrono al lettore: «Monti, / orizzonti, / golfi / di sapienza…».

 

Ennio Masneri

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 10, giugno 2008)

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