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Anno II, n° 10 - Giugno 2008
Disco d’oro “Folk”:
ma nei canti popolari
ci sono ambiguità?
di Monica Murano
Otello Profazio: pubblicato da Squi[libri]
un volume che include due Cd musicali
Con minuzioso interesse Massimo De Pascale cura il libro Otello Profazio, Introduzione dello stesso autore (Squi[libri] editore, pp. 272, € 25,00). Il curatore di un bel volume (non esente, come accenneremo, da alcune ambiguità) raccoglie e cataloga il materiale, ripartendolo in varie sezioni: L’intervista, che costituisce la parte centrale del volume, da cui emergono aspetti significativi della vita di Otello, delle sue esperienze, dei suoi incontri, dei suoi lavori; Con gli occhi degli altri, in cui sono raccolte le presentazioni alle principali raccolte di Otello Profazio a opera di noti intellettuali e scrittori (Bartolomeo Rossetti, Melo Freni, Luigi M. Lombardi Satriani e altri ancora); L’eco della stampa, con i numerosi articoli che hanno accompagnato la carriera dell’artista; Discografia, che non può definirsi un semplice elenco di dati, ma, più appropriatamente, il percorso artistico di Otello, complemento dell’intervista; testi scritti e tradotti dei due Cd musicali allegati al libro, in cui è inciso il vasto repertorio di Profazio, da Qua si campa d’aria a La regina senza re; infine, una raccolta di fotografie, a partire dalle sue primissime esibizioni in pubblico.
De Pascale esamina Otello Profazio, esecutore, compositore e ricercatore, che, da più di mezzo secolo, costituisce un fenomeno unico nel panorama della musica popolare italiana.
I rischi di complicità oggettive alla cultura delinquenziale
Il cantante, nel corso della sua carriera, ha assunto una posizione intermedia fra il mondo della tradizione contadina e quello della cultura ufficiale della società di massa. Con consapevolezza ha saputo tracciare le linee di una ricca ricerca, la quale affonda le radici nella vita dei contadini e degli artigiani calabresi – i suoi primi informatori – vivendo un’inquietudine che lo trasportava, naturalmente, a scontrarsi spesso con condizionamenti politico-culturali e commerciali.
Ma qual è l’aspra realtà che canta Otello?
In canzoni come Lu capubastuni e ’A malavita, l’artista adotta una paradossale e amara ironia.
Con un linguaggio poetico “crudo e nudo” decide di affrontare il delicato tema della mafia. In alcuni versi del testo ’A malavita leggiamo e ascoltiamo: «Sugnu putenti e sugnu camorrista,/ sugnu lu cchiù valenti malandrinu./ A undi li me’ pedi fannu pista,/ trema la terra, trema ’a terra ’nsinu.//» (Sono potente e sono camorrista,/ sono il più valente malandrino./ E dove si posano i miei piedi/ trema la terra, trema persino la terra.//). E ancora: «[…] Supra a li spaddhi portu lu ddubbotti,/ ’nt’a li sacchetti portu l’armi curti.//» ([…] A tracolla porto la doppietta,/nelle tasche porto le armi corte.//).
Ma accompagnare lo spettatore attraverso versi e canti carichi di un contenuto che si sviluppa attorno ad una tematica difficile, socialmente complessa e delicata, ci muove verso riflessioni che scendono in profondità, nel sottosuolo mentale, spirituale e intellettuale, che creano una motivata agitazione per questa immoralità, che andrebbe affrontata con le giuste premesse.
Ognuno, nell’ascoltare queste canzoni, realizza le proprie considerazioni, motivo per cui si deve essere consapevoli che l’importanza degli argomenti “narrati” non vanno “descritti” violando la verità dei diritti umani e della legalità. Si deve tener conto che da parole e musica scaturiscono sentimenti ed emozioni.
Si possono leggere e ascoltare strofe che contengono disvalori di questo spessore (come abbiamo già accennato) anche in Lu capubastuni.
«[…] ’Mmazzàru ’o figghiu d’u capubastuni,/ chiuditivi ’nte casi cristiani/ serrati li finestri e li purtuni,/ cu’ sa’ pi’ quantu ’stu capubastuni farà sonari a mortu li campani!/ […]//». ([…] Ammazzarono il figlio del capobastone,/ gente, chiudetevi nelle case,/ serrate le finestre ed i portoni,/ chissà per quanto il capobastone/ farà suonare a morto le campane!/ […]).
Noi pensiamo che l’ironia di Otello, per quanto amara sia, è piuttosto infruttuosa in canzoni di questo tipo. Chiunque, nel suo porre in essere se stesso, non può e non deve trascurare le proprie responsabilità, in particolar modo e misura quando ci si rivolge alla collettività.
In alcuni passaggi del testo e, quindi, del Cd, l’autore del libro, come lo stesso Profazio, rischiano di veicolare – colpevolmente ma non meno gravemente – alcuni pericolosi messaggi della mafia; come nel caso di celeberrimi artisti (per esempio Mario Merola), delle recenti fiction sui boss mafiosi, dei vecchi e blasonati film (tipo Il Padrino), in cui i delinquenti vengono presentati come vittime di ingiustizie, talvolta addirittura come eroi, troppo spesso comunque come protagonisti che rappresentano la scena prima ancora delle proprie vittime.
Quando – e De Pascale e Profazio non lo fanno – dalla delinquenza non si prendono chiarissimamente le distanze, quando gli assassini e gli stupratori vengono “normalizzati”, si crea un’ambiguità di fondo che non intacca – certamente – il pensiero e l’azione delle persone mature, ma che rischia fortemente di influenzare – altrettanto certamente – il formarsi di psicologie deboli quali sono, ad esempio, quelle degli adolescenti di Crotone, Napoli e Palermo. In questo terreno di cultura/coltura educativa non può attecchire e crescere una nuova coscienza. Le nuove generazioni vogliono una strada nutrita da una giusta educazione, che provenga da buone intenzioni, da contenuti educativi, oltre che di bella forma, di bell’aspetto. Vogliono più equilibrio.
Ma perché, spesso, pure coloro che, nelle loro possibilità, hanno il potere di tracciarla e indicarla, l’educazione, appunto, la smarriscono, perdendosi in superficiali alchimie che generano piccoli squilibri?
Le composizioni più note
Uno dei primi frutti dell’attività di Profazio fu la canzone ’U ciucciu, che canta la storia di un uomo che rimpiange l’asino, animale “pratico e comodo” per l’uomo, legato “al mondo della terra”, e, quindi, di inestimabile valore in una realtà di povertà e sfruttamento.
Lo spirito ostinato e appassionato di Profazio gli ha trasmesso il giusto pathos interpretativo, che traspare in composizioni e canti quale Vitti ’na crozza, che «riconduce alla polarità amore/morte», così come Governo ’taliano e Qua si campa d’aria, con altre composizioni ancora, le quali, insieme al lavoro svolto con il poeta siciliano Ignazio Buttitta, segnarono il germe di uno dei suoi risultati più ambiti: L’Italia cantata dal Sud, pubblicata nel 1971 e resa ancor più nota per la copertina firmata da Carlo Levi, in merito a cui De Pascale sottolinea «[…] l’efficacia con cui Otello riesce a rappresentare l’estraneità alla Storia delle masse meridionali».
Otello Profazio sapeva cogliere la disperazione e il profondo senso di abbandono del popolo del Sud; «Credo che la risposta sia soprattutto nel suo situarsi all’incrocio di mondi culturali diversi, […] una personale lettura della condizione meridionale che non si piegava alle parole d’ordine e alle considerazioni di opportunità».
Tornando qualche anno indietro, nel 1963, Profazio crea il concept album con Il brigante Musolino, ovvero il suo primo album discografico, in cui tutte le canzoni ruotano attorno alle vicende del fuorilegge, raccontandone gli aspetti salienti della sua storia di spietato vendicatore, che «all’inizio del secolo aveva tenuto col fiato sospeso tutta l’Italia, interessando personaggi diversi tra loro come Giovanni Pascoli e Cesare Lombroso». Personalità, quella di Musolino, affine al celebre Conte di Montecristo. Del resto, si sa, il tema della vendetta, della giustizia, ha sempre avuto fortissima presa sul pubblico popolare.
«Il risultato delle ricerche su Musolino – scrive De Pascale – risultò essere un’autobiografia cantata del bandito, un lavoro raffinato e, al contempo, popolare che, dietro la semplicità e la pulizia formale, nasconde diversi livelli di letteratura».
Monica Murano
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 10, giugno 2008)