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Anno II, n° 10 - Giugno 2008
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Pierpaolo Buzza) . Anno II, n° 10 - Giugno 2008

Zoom immagine La sanzione patrimoniale
e la sua evoluzione storica
nel sistema penale italiano,
con focus sulla detenzione

di Alessandra Morelli
Un saggio pubblicato dalla Rubbettino
ne ripercorre, con puntualità, le tappe


Oggigiorno il sistema penale italiano è incentrato sulla pena detentiva quale principale mezzo di riabilitazione del crimine commesso; del tutto osteggiata da ben oltre due secoli è invece la pena patrimoniale come sanzione centrale della politica criminale. In Sanzioni patrimoniali e condivisione del danno criminale (Rubettino, pp. 94, € 6,00) Domenico Fiordalisi – magistrato dal 1986 e autore di numerosi articoli e testi di stampo giuridico –, attraverso una ricostruzione storica sull’evoluzione della pena patrimoniale, si pone come scopo di comprendere le motivazioni dell’abbandono e dell’avversione di tal tipo di pena e di proporre una riforma del diritto penale che ponga la pena patrimoniale come prioritaria affianco a quella detentiva. Le origini della pena patrimoniale in Italia, risalenti al sistema penale franco-longobardo incentrato sulla compositio intesa come pena privata, multa vera e propria e pena in genere, riguardano gravi reati pubblici e attentati contro l’autorità costituendo, quindi, la pena dei delitti contro la sicurezza interna ed esterna della società e dei crimini atroci che turbano la pace pubblica.

La pena pubblica, che nasce come sanzione patrimoniale accanto ad una parte di pena che diventa compenso per la persona offesa, col tempo si affianca a quella privata fino ad aggiungersi ad essa e assumere anche un ammontare prefissato che includeva un contenuto economico compensativo dell’intervento dell’autorità pubblica in difesa dei privati e della pace sociale. A partire dal 1183 aumenta la capacità dei comuni di imporre i bandi (pena per la violazione di un ordine del ré) che, essendo ormai sinonimo di multa, vanno ad aumentare la ricchezza della città e sono sostituiti da pene fisiche ma solo nel caso in cui la multa non è pagata e quindi il debitore lavora per il creditore o ne diventa schiavo.   

Dal 1400 aumenta l’uso delle sanzioni relative alla persona mentre la multa resta un mezzo di costrizione procedurale in caso di contumacia. Nel diritto romano, con Giustiniano, si stabilisce che i beni dei condannati devono passare agli eredi ascendenti, discendenti fino al terzo grado e che, in assenza di eredi, succede il fisco ma se il reato è di lesa maestà tutto spetta al fisco. Quindi la confisca, come pena principale, è una conseguenza della pena capitale ma si può anche accompagnare all’esilio e alla pena ecclesiastica ed ha come scopo quello di costringere il reo alla pubblica potestà in caso di contumacia.

L’atteggiamento ostile verso questo strumento di appropriazione dei beni tende a svilupparsi nel Medioevo, periodo in cui se ne ha una diffusione talmente vasta che il suo uso improprio e le degenerazioni la associano sempre più ad una fonte di soprusi ed ingiustizie. Verso la metà del 1700, l’avversione alla confisca trova popolari sostenitori e nel 1831 Carlo Alberto la sopprime. Ma ricomparirà con la Prima guerra mondiale per continuare ad esistere nel Fascismo e anche dopo il secondo conflitto mondiale.

Elemento importante da specificare è che nel Medioevo il patrimonio è da considerarsi la meta finale di tutti gli sforzi di una famiglia, l’unità stessa della famiglia dipende da quella del patrimonio e gli interessi politici, economici e commerciali sono comuni. Nel corso dei secoli si passa però da un modello di famiglia estesa e produttiva, con strette correlazioni personali tra i suoi membri per la gestione del patrimonio familiare, ad una famiglia nucleare con prevalente finalità di consumo nella quale l’irrogazione di un’eventuale sanzione patrimoniale a carico di uno dei suoi appartenenti crea, di sicuro, minori ripercussioni e complicazioni di un tempo. Ciò nonostante la pena patrimoniale tra il XIX e il XX secolo ha toccato il suo minimo storico.

 

L’abbandono della pena patrimoniale e la sua evoluzione

Negli ultimi duecento anni il carcere è stato al centro del sistema penale italiano, il fulcro di questo cambiamento che ha visto l’introduzione della pena detentiva come prioritaria al posto di quella patrimoniale è dato da diversi fattori: primo fra tutti il superamento degli abusi medievali, in secondo luogo la reazione illuminista contro le pene corporali, che vide nella reclusione una sanzione graduabile, personale e uguale per tutti; a questi elementi si deve aggiungere quello religioso che giustifica la pena nel concetto di giustizia etica per il quale la sofferenza fisica e psichica dell’uomo porteranno al suo ravvedimento, al suo pentimento e al suo desiderio di cambiare vita.

Fiordalisi descrive il carcere come espressione di un sistema inefficace e squilibrato perché spesso, soprattutto in relazione a diversi reati e al fatto che chi delinque può essere incensurato, il colpevole non sconta un solo giorno di carcere mentre il danno criminale rimane non compensato; qui appunto si rivelerebbe l’importanza di una seria pena patrimoniale. Inoltre la concezione sviluppatasi fino al XVIII secolo in base al quale il carcere non confligge con la proprietà e il patrimonio della famiglia (che non deve toccarsi) non è altrettanto efficace in quanto le carceri ospitano, per la maggior parte, i soggetti economicamente e socialmente più deboli mentre la criminalità nella Pubblica amministrazione raramente sfiora la detenzione e quindi la pena effettiva.

In sostanza «dietro le sbarre si cela la volontà delle classi dominanti di ridurre al minimo anche l’esposizione del patrimonio ai rischi di provvedimenti penali».

 

La confisca e il ritorno della pena pecuniaria

Di recente si è estesa la confisca per equivalente, difatti può riguardare anche beni che costituiscono una forma di risarcimento posta a carico del reo, del danno prodotto dalla loro indisponibilità; ciò potrebbe portare una svolta nel concetto di procedimento penale, di pena e di rapporto tra pena e riparazione del danno criminale perché nello stesso momento in cui si punisce si pongono, sullo stesso piano delle altre finalità perseguite, le esigenze dell’ente pubblico danneggiato le quali saranno appunto soddisfatte con i beni del reo, da sottoporre a confisca.

L’autore ritiene che il sistema penale dovrebbe essere orientato ad una minore separazione tra strumenti punitivi e riparatori del danno, tra illecito penale e civile e che la pena debba assolvere alla funzioni di difesa sociale e che dovrebbe perseguire scopi riparatori del danno criminale.

Altro aspetto che si sottolinea è che il carcere tiene lontano dal sistema penale il profilo economico ovvero l’ente che si costituisce parte civile non ha la possibilità di recuperare la somma di denaro che sborsa per effetto della commissione del reato per il quale si celebra un processo; a ciò, inoltre, spesso si aggiunge il fatto che quando si subisce un’ingiustizia non si hanno i mezzi economici per iniziare e quindi affrontare un processo cioè di vedere riparata l’ingiustizia. La pena pubblica e il delitto sono nati assieme al risarcimento del danno ovvero accanto alla riparazione economica del reato e delle sue conseguenze. Oggi, invece, il carcere allontana il procedimento penale dalla riparazione delle conseguenze del reato e dal senso più importante dell’intervento pubblico quindi la pena e il sistema penale devono andare oltre la sofferenza del reo. Infatti, la sanzione penale dovrebbe avere lo scopo principale di aiutare la persona offesa, il reo e lo stato a porre rimedio al fatto costituente reato.

In sostanza l’autore ritiene che il fine del processo penale non dovrebbe essere la pena come sofferenza del reo ma l’individuazione di forme giudiziali del danno criminale; in particolare Fiordalisi indica due strade: attribuire al sistema penale il ruolo di individuazione e di accertamento dei fatti di particolare rilievo sociale ed individuale quindi accertare la verità processuale; il progredire verso pene che hanno un’utilità ed efficacia sociale tangibile per tutti. In tale progetto «la pena detentiva andrebbe commisurata “principalmente” alle modalità d’azione, alla colpevolezza, alla capacità a delinquere del reo» mentre «la pena patrimoniale dovrebbe essere condizionata in maggior misura, dalla gravità del danno criminale e dalle condizioni economiche del reo». La creazione di un doppio binario tra le due pene consentirebbe di riservare le finalità retributive a quella patrimoniale lasciando le finalità di prevenzione alla sola pena detentiva senza però fare in modo che il bisogno di pena copra l’interesse per la verità dei fatti tramite il quale si determinerebbe l’entità del danno criminale prodotto dal reato.    

Unire quindi le due tipologie di sanzioni per perseguire scopi di prevenzione speciale e scopi di riparazione del danno criminale.

 

Alessandra Morelli

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 10, giugno 2008)

 

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