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Anno II, n° 10 - Giugno 2008
Dolci e piccole storie
per imparare rispetto
e civiltà tralasciando
l’ipocrisia e la falsità
di Tiziana Selvaggi
Da Edizioni Magi un libro che invita
tutti a «deragliare dall’uniformità»
Le anime semplici (Edizioni Magi, pp. 62, € 8,00), di Francesca Martini, è un piccolo libro di sole 62 pagine con il quale l’autrice vuole raccontare alcune sue esperienze con ragazzi “speciali”, «anime leggere, al di fuori degli schemi, lontane dalla realtà opprimente e noiosa», persone che «lavano i peccati del mondo, lo puliscono, redimono tutti noi, pesanti protagonisti del quotidiano» e «pagano questa loro diversità perché abbiamo creato un modo di vivere a senso unico in cui i deragliamenti non sono ammessi».
Al centro dei racconti si ritrovano tanto l’alunno quanto l’incontro casuale nel corridoio della scuola con la ragazza che scrive poesie o con la ragazzina fragile. Incontri che la protagonista coltiva con delicata attenzione, con amorevole pazienza, rispettando tempi e schemi mentali perché si possa accendere una luce, «un piccolo fuocherello», come l’autrice stessa lo definisce, che se bene alimentato può portare ad «un viaggio emozionante, mai prevedibile, per nulla organizzato».
Un viaggio che la porta a godere dei gesti cortesi di Antonio, che, a differenza dei suoi compagni, quando parla pretende una platea silenziosa, («per lui parlare ha ancora un significato, fatto di ascolto e ricerca della comprensione reciproca, intriso di sguardi e di silenzi»), e ha una consapevolezza grave delle responsabilità e che vive i rapporti umani con tenerezza e leggerezza, attraverso la fisicità di lunghi e un po’ imbarazzanti abbracci.
Poi c’è Lavinia, poetessa senza metrica, le sue poesie sono «visioni profondissime o lampi che illuminano sentimenti vivi e saldi. Insomma poesie che sono pura poesia, capacità di espressione»; la ricchezza di questa ragazza silenziosa è quella di saper vedere il mondo con più sensi, di usare appunto la poesia come unica lingua per parlare agli altri, per «dire quelle cose che nella vita prosaica [...] non verrebbero capite né ascoltate».
C’è anche Luciano, un ragazzino che agli occhi di tutti può sembrare sfortunato: grassoccio, bassino, con un difetto di pronuncia, ma con la capacità di sublimare il reale in fiaba, e la voglia di affrontare la vita «con forza, determinazione e spensieratezza» riuscendo a fornire «un’altra visione delle cose, inaspettata e per questo nuova».
Tutti pronti questi ragazzi a insegnare, senza la presunzione e neanche la volontà, di mettersi in cattedra, cosa vuol dire imparare.
“Speciali” nel loro essere unici e diversi, dove per diversi si intende, non solo come il senso comune l’intende, ragazzi down, o con problemi psichici, ritardi mentali, ecc... Ma diversi per il loro differente modo di approcciarsi al mondo, di guardarlo, di farne esperienza; incapaci di «stare al passo con uno stile di vita totalmente alterato, fuori da ogni ritmo naturale, basato sulla competizione sfrenata, sulla mancanza di compassione».
E l’autrice, insegnante con una spiccata sensibilità, non si vuole arrendere al fatto che questo importante dono – che è la capacità di vedere in modo disuguale – vada perduto o peggio ancora ignorato dai cosiddetti “normali”.
Una lezione di educazione
È certamente riduttivo pensare quest’opera della Martini soltanto come un libro di racconti, che pure risultano gradevoli grazie anche a una scrittura semplice e scorrevole e all’affetto che l’autrice dimostra nei confronti dei suoi “personaggi”. In realtà può risultare un manuale che insegna a deragliare dall’uniformità, che vuole educare alla bellezza della discordanza. Certamente è un invito ad astenersi dall’esprimere giudizi di valore.
È un’opera che domanda se sia giusto conformarsi a un mondo fatto di disincanto, di noia, di violenza; conformarsi a una realtà che cerca di fagocitare queste “anime semplici” che per loro natura sarebbero lontane da certi schemi di banalità, che le rendono sofferenti e oppresse. Ma questo mondo richiede grossi sacrifici anche ai “normali”, infatti, «c’è chi, e sono sempre più numerosi, [...]soccombe agli attacchi di panico, alla depressione, ai disturbi alimentari, all’ansia, dimostrando così il proprio disaggio»; se sia legittimo accettare «quel che dovrebbe essere inaccettabile: la perdita di ogni ritmo umano, che viene atrocemente imposta anche ai bambini in tenerissima età».
L’invito dell’autrice è forse soprattutto quello di godere della sua esperienza accanto a queste persone, che le hanno insegnato «la pazienza di non correre, di saper aspettare un altro ritmo»; il fascino di confrontarsi con «un mondo diverso, ben più ricco e fantasioso della nostra banale e arida quotidianità»; il calore di trovarsi «di fronte a sentimenti assoluti, quelli che gli esseri umani hanno ormai perso; l’ingenuità abbagliante», di godere della preziosa possibilità di un nuovo punto di vista, di una nuova sensibilità che porti al disuso della volgare etichettatura (handicappato, disabile, ritardato, down), per tornare al più umano ed educato uso dei nomi, semplicemente nomi di persone in difficoltà.
L’autrice esprime un pensiero che non è di tolleranza o di accettazione ma di comprensione, rispetto, civiltà, anche se alle volte tra le righe si può cogliere una punta di estremismo.
Il consiglio è cercare di rendersi conto che il vero progresso è «la ricerca continua del miglioramento di noi stessi, la presa di contatto con le cose essenziali della vita, tralasciando il superfluo che ci sta sommergendo», «inutile pretendere la normalità: dimentichiamo i parametri rigidi della norma, i nostri miseri paraocchi, la superbia dei binari su cui filiamo via dritti senza vedere niente. Dimostriamo la nostra abilità: fermiamoci, allentiamo la tensione del cuore. Già alla prima fermata troveremo un mondo ad aspettarci [...]. Ci libereremo delle leggi del mercato, il più debole sarà il più forte e il più forte non vorrà conquistare alcun podio».
Tiziana Selvaggi
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 10, giugno 2008)