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Anno II, n° 9 - Maggio 2008
La Roma popolana delle piazzette e delle osterie
di Simona Corrente
La commedia teatrale ritrae la capitale, l’incontro-scontro tra immagini
di ieri che rivivono nel presente per non dimenticare come eravamo
L’autore-regista-attore Stefano Dionisi realizza con Vicoli in paradiso (Infinito Edizioni, pp. 96, € 12,00) un’interessante opera teatrale in vernacolo romanesco. La commedia in due atti prende spunto da un quartiere della periferia capitolina, Casalbertone, in cui lo scrittore ha trascorso la sua infanzia; quelli erano tempi in cui la gente era sempre pronta a dare una mano, si voleva bene e anche se litigava alla fine tutto tornava come prima. Insomma Dionisi racconta un’epoca ormai lontana in cui non c’era il telefonino, «ci si divertiva con poco, ma soprattutto ci si accontentava di quel poco che si possedeva».
L’autore tratta nell’opera le passioni e le debolezze che si ripercuotono sulla vita degli uomini nella dimensione terrena e non solo. Sacro e profano si mescolano, in un equilibrio perfetto armonizzato dal dialetto trilussiano dei personaggi. Proprio la lingua è infatti l’elemento fondamentale del successo dell’opera, in quanto riesce a trasmettere la semplicità e la quotidianità delle vicende raccontate cosicché i lettori, come pure gli spettatori, divengono parte attiva della rappresentazione.
I luoghi e i personaggi
Ambientata nel Novecento, epoca in cui il vicolo rappresentava un vero e proprio luogo d’incontro e scambio di opinioni tra i popolani, la storia si svolge in una piccola piazzetta di Roma su cui si affacciano un’antica osteria e una macelleria.
L’“ostaria der gallo”, così chiamata per un grosso gallo in ferro battuto che sovrasta l’insegna, è gestita da “sor” Benedetto e “sora” Luisa, sempre intenta a risparmiare “bajocchi”; con loro vivono i figli Brigida, innamorata dello scansafatiche Anacleto, e Mimmo, che non vuol mai andare a “scola”.
Accanto all’osteria vivono il “macellaro sor” Giacomo, che non si rassegna all’abbandono della moglie, e la piccola Rosetta, stanca e insoddisfatta della vita che conduce.
La figura del mascalzone è incarnata da Glauco che truffa la povera suor Maria facendosi consegnare “le bussolette dell’offerte”, ovvero i soldi delle cassette delle offerte.
A osservare da un angolino della piazza le vicende dei vivi, ci sono tre anime di fine Ottocento, Cecilia, Serafino e Teresa che, dopo una vita di eccessi vissuta tra furti, alcool e facili costumi, riescono definitivamente a riscattarsi dal peccato.
Il libro
Stefano Dionisi, figlio di una casalinga e di un tranviere, entrambi romani doc, prende spunto dalla vita reale; tra la gente che da bambino incontrava nei mercati o sui tram, ritrova i personaggi delle sue opere, quella gente semplice, quei costumi e quella quotidianità a lui tanto cara.
Anche l’artista Fausto Battelli ha riprodotto in forma perfetta nella copertina del libro la realtà dei vicoli capitolini.
Infine, il poeta Augusto Pintore, anche autore della poesia Roma de sera che apre l’opera, ha curato la prefazione.
Tre “romani de Roma”, dunque, raccontano una città che non c’è più ma che è ancora viva nei ricordi di chi l’ha vissuta e si è perciò assunto il compito di farla rivivere all’infinito attraverso l’arte, sia sotto forma di commedia teatrale, che come poesia e come disegno.
Simona Corrente
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 9, maggio 2008)