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A. XVI, n. 183, dicembre 2022
Un mondiale
da rifiutare
di Emiliano Peguiron
In Qatar si negano
i diritti umani.
Per Infinito edizioni
Mentre viene redatto il presente articolo i mondiali di calcio in Qatar sono iniziati; quando verrà pubblicato si sarà già entrati nel vivo della competizione, i gironi di qualificazione saranno un ricordo e le fasi a eliminazione diretta porteranno, infine, a stabilire la squadra campione del mondo per questa ventiduesima edizione.
Tutto molto bello, certo. Ma se andiamo a scavare – e neanche troppo in fondo – questo atipico mondiale (tanto per citare due peculiarità: si svolge tra il mese di novembre e quello di dicembre ed è ospitato da un paese che si è sempre tenuto lontano dal gioco del calcio) è tutto tranne una manifestazione da seguire con gioia e trepidazione. Esattamente il contrario: questo è un mondiale da rifiutare e da boicottare per far sì che uno scempio del genere non si ripeta, poiché i meri interessi economici non devono superare ciò che di più importante abbiamo, ovvero la vita delle persone e i diritti umani innegabili. Questo mondiale non li ha soltanto negati, li ha calpestati. Per questo motivo ci affidiamo all’analisi di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international Italia, nel suo Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento (Infinito edizioni, pp. 88, €11,40).
Il fenomeno dello sportwashing
Nell’Introduzione di Riccardo Cucchi, giornalista sportivo, vengono già delineati gli argomenti principali che verranno approfonditi dall’autore di questo saggio impegnato nella lotta a favore dei diritti umani negati in Qatar come nel resto del mondo. Su tutti è particolarmente interessante il concetto di sportwashing sul quale intendiamo porre l’accento; letteralmente significa “pulire con lo sport” e ha come obiettivo quello di ripulire l’immagine di uno Stato attraverso le manifestazioni sportive. «Si basa sulla narrativa per cui “sport e diritti umani sono questioni diverse”» come scrive Noury.
Infatti, poche righe sopra l’autore del saggio afferma che «Lo sportwashing è efficace perché sfrutta due elementi: la passione del pubblico sportivo (“Lasciateci divertire!”) e la scarsa dimestichezza del giornalismo di settore per quanto riguarda la situazione dei diritti umani (“È roba della redazione esteri!”)».
Infine, basti pensare a quante squadre di fama internazionale e militanti nei maggiori campionati europei sono state assorbite e acquistate da realtà qatariote (su tutte il Psg) a partire dall’annuncio dei mondiali in Qatar nel 2010. Ecco che le cose non tornano, o forse tornano fin troppo.
Analizziamo a questo punto le responsabilità della Fifa circa i diritti umani negati ai lavoratori sfruttati per costruire gli stadi e rendere possibile questa manifestazione calcistica, che Noury definisce come «la squadra che non scende in campo».
Il mondiale dell’assurdo: le responsabilità della Fifa
La Fifa (Federazione internazionale delle associazioni calcistiche) è, insieme al governo qatariota, la principale responsabile dello sfruttamento dei lavoratori durante la preparazione di questo mondiale.
Leggendo la Human Rights Policy adottata nel maggio 2017 e proposta da Noury apprendiamo che «“La Fifa s’impegna a sostenere e promuovere i più elevati standard internazionali sul lavoro, in particolare i princìpi contenuti nelle otto principali convenzioni dell’Ilo. Applica le procedure rilevanti relative al suo staff, cerca di assicurare il rispetto degli standard sul lavoro da parte dei suoi partner economici e nelle attività direttamente collegate alle sue operazioni, anche attraverso le catene dei fornitori”». Il verbo “cerca” è illuminante: basti citare il caso dei cento lavoratori migranti, provenienti dall’Africa e dall’Asia, ingaggiati per costruire la facciata dello stadio al-Bayt. Infatti, questi addetti ai lavori, a oggi, non hanno ricevuto gli stipendi totali che gli spettavano.
Non è una novità che la Fifa metta al primo posto potere e interessi economici. All’interno questo fondamentale organo delle federazioni calcistiche, infatti, a partire dalla presidenza di João Havelange, gli scandali si sono succeduti. Per non parlare di quelli avvenuti durante la presidenza di Joseph Blatter, in carica dal 1998 al 2015, sotto la quale, nel 2010, il Qatar ha ottenuto la nomina di paese ospitante per il mondiale 2022 [1].
Considerazioni finali
Le Conclusioni di Noury sono, per usare un eufemismo, amare, tristi, e, soprattutto, necessarie in un caso simile. Una manifestazione sportiva e d’importanza planetaria non deve essere macchiata dal sangue dello sfruttamento. Infatti, come scrive l’autore: «Quando l’arbitro della finale avrà dato l’ultimo, triplice, fischio, quando sul terreno di gioco resteranno solo i coriandoli dei festeggiamenti, quando l’ultimo dei tifosi sarà rientrato a casa, molti lavoratori migranti torneranno nei loro Paesi di provenienza con niente in tasca. Altri rimarranno in Qatar per contribuire alla realizzazione di altri progetti scintillanti, ma sempre senza diritti. Altri, come abbiamo visto, sono già tornati a casa, ma in una bara» [2].
Come ricorda giustamente Cucchi nella sua Introduzione: «Non può esistere sport senza valori, non può esistere sport senza l’impegno nella difesa dei diritti umani». Ci auguriamo che tale frase valga da monito e che un mondiale come quello che si sta consumando mentre viene scritto questo articolo non si ripeta in futuro.
Emiliano Peguiron
[1] Per un ulteriore approfondimento consigliamo la visione della miniserie Fifa Uncovered, composta da quattro episodi e pubblicata a ridosso dell’inizio del Mondiale in Qatar;
[2] La citazione qui proposta è stata pubblicata il 21 novembre 2022, con delle piccole modifiche, sul sito de Il fatto quotidiano in un articolo intitolato Qatar 2022, i mondiali dello sportwashing negli stadi costruiti con sudore e sangue dai lavoratori e firmato dallo stesso Noury: Qatar 2022 i mondiali dello sportwashing negli stadi costruiti con sudore e sangue dai lavoratori.
(www.bottegascriptamanent.it, anno XVI, n. 183, dicembre 2022)
Ilaria Coppolaro, Alessandra De Santis, Chiara Gabrieli, Ilenia Marrapodi, Maria Chiara Paone