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Politica ed Economia (a cura di La Redazione) . A. XVI, n. 182, novembre 2022

Che fatica
diventare
grandi!

di Alessandro Milito
Veronica Raimo per Einaudi
si racconta in un romanzo
tra autoironia e fiction


La pandemia ha riscritto i rapporti interpersonali, costringendo a rivedere gli equilibri sui quali si reggevano coppie, amicizie e famiglie. La dimensione della quarantena, e i suoi faticosi strascichi, hanno messo a nudo le contraddizioni e le verità alla base di tante relazioni: quando il tempo si dilata e gli spazi si restringono aumentano le occasioni per mettere in discussione, o riscoprire, tutto. Niente di vero di Veronica Raimo (Einaudi, pp. 176, € 18,00) non è figlio di quel periodo ma è un libro che parla di relazioni e di famiglia, del difficile equilibrio che si crea all’interno di questo microcosmo forzato e dell’influenza che inevitabilmente ha nel percorso intimo dell’individuo. Per questo si propone come una lettura adatta a chi è reduce, o sta ancora vivendo, l’eredità emotiva della pandemia.

Un monologo in primissima persona
Per capire come un romanzo breve, al di sotto delle duecento pagine, possa essere indicato come lettura consigliata di questi anni, è necessario partire dalla sua origine, o meglio, dal suo tono. La voce è quella della stessa protagonista, Veronica – ma sempre chiamata dai suoi genitori come “Verika”, oppure “Oca” – che si racconta con una sincerità a tratti spiazzante. Raimo non segue le regole del tipico romanzo di formazione: il lettore non trova comode fermate rappresentative delle diverse fasi della crescita della protagonista. Le tappe non si susseguono in modo lineare ma hanno comunque una loro logica. Senza voler scomodare il Neruda di Confesso che ho vissuto, in maniera analoga Raimo si confessa con i lettori, evocando ricordi, immagini e riflessioni sulla sua vita. Niente di vero è, a tutti gli effetti, un monologo che si regge su una scrittura eccellente e una spiccata verve ironica. Se si apprezza l’ironia urticante dell’autrice, la lettura procede spedita, con più di una risata. Ridere dei delicati equilibri familiari, anche quando la famiglia diventa ingombrante e difficile, non è scontato e, se succede, può offrire un ottimo antidoto catartico.

Ogni famiglia è infelice a modo suo
Una madre iperprotettiva, con una predilezione sfacciata per il primogenito. Un padre stacanovista e burbero, con la mania di innalzare muri in casa e di proteggere i propri figli da malattie inesistenti. Un fratello saputello, scrittore e politico, intellettuale di solida fede cattolica: il genio di famiglia. Sono questi i principali protagonisti del mondo di Verika, ai quali si accompagnano amiche, fidanzati, nonni e altri familiari. Tra questi spicca la dura descrizione dei parenti pugliesi e delle trasferte estive nel Tavoliere: la dissacrante e tagliente ironia di Raimo tratteggia un Sud lontanissimo dalle descrizioni edulcorate da cartolina. In Niente di vero si ride, si sorride ma si fa anche qualche smorfia, come quando si sfiora qualcosa di tagliente o urticante. Le parole di Raimo riescono a coinvolgere e a divertire anche quando nascondono o raccontano apertamente cose terribili, tristi. L’infelicità, i lati oscuri e le sfocature dei personaggi vengono messi in risalto senza soluzione di continuità con altri aneddoti divertenti, buffi. Questa natura mista e agrodolce impedisce di ritenere Niente di vero principalmente una lettura divertente, come invece è la stessa casa editrice a proporlo; lo è senz’altro ma sarebbe riduttivo limitare il romanzo a uno spasso spensierato. Veronica Raimo si racconta e racconta la sua famiglia senza apparenti censure, riuscendo a conferire al suo racconto un alone di sincerità.

Quindi proprio niente di vero?
«Una mia amica qualche tempo fa mi ha chiesto: – Ma perché i romanzi italiani parlano tutti di legami famigliari? – Visto che stavo scrivendo questo libro ho elegantemente glissato. Poi però è arrivata la seconda stoccata. – E c’è sempre un lutto. Pare che l’hanno scoperta loro la morte. – Ho riso con l’imbarazzo di chi è stato colto in fallo».
Raimo più volte spiazza il lettore, lasciando credere che gli si stia rivolgendo direttamente: l’intero romanzo sembra il monologo di un’amica di vecchia data, un po’ ribelle e stralunata, che racconta la sua storia al bar di fronte a un caffè o un aperitivo. Si viene portati a credere che tutto ciò che si legge sia veritiero: il distacco tra voce narrante e autrice sembra nullo, rimescolato e proposto in una prima persona colloquiale e frenetica. Poi però si torna a leggere il titolo: niente di vero. E la domanda sorge spontanea: che cosa è reale, che cosa è frutto della fervida immaginazione di Verika?
«E in effetti è quello che ho sempre fatto nella mia vita. Ogni volta che mi sono sentita chiusa in una cameretta, dentro un gioco con delle regole, non ho provato a fuggire ma a inquinare il raziocino della stanza e delle regole A immaginare cose finte, a dirle, a provocarle, fino a crederci. Fino a pensare che un dado può sempre dare cinque, benché non serva assolutamente a nulla». Raimo gioca bene con le regole dell’autobiografia, lasciando al lettore il dubbio se credere completamente alla sua storia, a quegli aneddoti a volte anche impietosi, a quei personaggi che l’hanno accompagnata nella sua vita vivace.
Dopotutto, sciogliere questo dubbio non è così importante, così come non c’è un reale bisogno di catalogare Niente di vero. Di vero, però, qualcosa c’è: Veronica Raimo ha scritto un buon libro e potrà ben rinfacciarlo al più noto – almeno in certi ambiti – fratello Christian. Un libro in qualche modo catartico, perfetto per questi anni incerti post lockdown, in cui si sente un forte bisogno di ristabilire priorità, legami e punti di riferimento. Un buon “romanzo italiano sui legami famigliari”, ma non il solito romanzo.

Alessandro Milito

(www.bottegascriptamanent.it, anno XVI, n. 180, settembre 2022)

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