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Storia (a cura di La Redazione) . A. XVI, n. 182, novembre 2022

Zoom immagine Tutti gli oscuri
anfratti dell’animo
umano analizzati

di Mario Saccomanno
Per Città del sole, un romanzo in cui
tutti peccano di individualismo


L’animo di un uomo è spesso condizionato dai caratteri che connaturano la terra in cui vive. Pertanto, un terreno pieno di impervie può gradualmente indurire anche il carattere delle persone più docili.
Da questo punto di vista, la Calabria, terra di mille sfumature, che si fa aspra e feconda, inospitale e accogliente in base al singolo ritaglio che si abita, può divenire anche il teatro narrativo perfetto per ambientare la storia di individualità troppo prese dal loro ego.
È il caso di quel castello calabrese che spezza i filari boschivi del diciassettesimo secolo in cui vive la marchesina Antonia Alberti di Pentidattilo, protagonista delle vicende che conformano l’avvincente romanzo storico Pentidattilo 1686. Il grido del falco (Città del sole edizioni, pp. 184, € 15,00) scritto da Tania Filippone.
Così, nelle pagine del testo, la caratterizzazione dei vari personaggi si lega indissolubilmente al paesaggio. In tal modo, quella natura così ostile e, al contempo, affascinante assume, a tutti gli effetti, un ruolo decisivo al punto da influire – non importa se in modo diretto o soltanto inconsciamente – nei comportamenti delle figure descritte dall’autrice e nelle varie vicende che tendono a unire sempre la passione all’egoismo e agli intrighi di palazzo.
Infatti, analizzato nella sua interezza, il romanzo riesce indubbiamente a intrecciare tutte queste voci, che spaziano dall’amore alla crudezza di avvenimenti strazianti, grazie alla forza e all’eleganza dei tratti letterari che l’autrice mostra di padroneggiare a pieno.

Gli eventi dominati dall’imprevedibilità
Per soffermarsi con piglio più compiuto su alcuni aspetti che caratterizzano il romanzo che si sta prendendo in esame occorre evidenziare, seppur a mo’ di accenno, la trama del testo.
Per far sì che questo possa avvenire in modo proficuo si partirà dall’analisi di una delle figure di spicco che si incontrano nella lettura del libro, il marchese Domenico Alberti di Pentidattilo, duca di Melito. Di sicuro, risulta semplice notare come si tratti di un nobile amato dalla gente del proprio feudo e, soprattutto, dalla propria famiglia.
Nel romanzo, grazie al battesimo della sua figlia più piccola, Giovanna, emerge un aspetto caratteriale importante, che occorre prendere in considerazione. Infatti, in quel contesto il duca decide di mettere fine a un’inimicizia tra aristocratici, sintomo palese della voglia di superare gli screzi che hanno caratterizzato il passato. È un elemento che, come si vedrà, cozza con la natura di altre molteplici figure presenti nel libro.
Inoltre, un altro elemento che aiuta a comprendere i tratti di questa figura e il tipo di scrittura offerta da Filippone è notare la capacità di Domenico Alberti di Pentidattilo di saper leggere nel cuore dei suoi figli al punto da carpirne i segreti più reconditi.
È da questa sua caratteristica che ne deriva la decisione di dare in moglie sua figlia Antonia a Bernardino Abenavoli del Franco, barone di Montebello. Si tratta di una coppia segnata dalla passione. Pertanto, la scelta accende in loro la gioia al punto che l’evento viene atteso con trepidazione. È ancora un altro aspetto che si oppone alla natura mostrata da diverse figure nel libro.
A questo punto nella trama compare un elemento imprescindibile che domina sempre ogni vita umana: l’imprevedibilità. Infatti, la morte del marchese spazza via d’un colpo tutta la felicità che si era venuta a formare.
Pertanto, occorre soffermarsi anche sul nuovo marchese: Lorenzo. È lui a rinnegare in poco tempo la promessa fatta in precedenza dal padre mostrando per la sorella ben altri progetti. Non solo: ben presto il giovane padrone del castello si palesa avaro e arido di cuore, mostrando vera e propria crudeltà verso i suoi sottoposti.
Così, è da questo momento in poi che nel testo si assiste al bisogno sempre più impellente di libertà manifestato da Antonia. Infatti, vede in quella che un tempo era la sua amata famiglia soltanto dei veri e propri nemici che vogliono obbligarla ad assolvere a doveri che non le competono in alcun modo.
Così, nel suo animo, ma non solo, la morte del vecchio marchese diviene uno spartiacque tra un’esistenza felice e spensierata e quella futura, composta da lutti e privazioni.

Il contatto con una terra che presenta i tratti di una madre-matrigna
Come già avuto modo di chiarire in apertura, il testo di Filippone si caratterizza per un forte legame che le varie figure intessono con quella Calabria da intendere sia come madre, sia come matrigna.
Del resto, anche rispetto alle vicende riportate precedentemente, risulta semplice notare come questa terra sembra poter essere in grado di dare una gioia duratura. Eppure, mentre si è lì lì per afferrare i frutti di questa felicità, il territorio che si abita trascina violentemente in un altro contesto i protagonisti. Questi ultimi rimangono intrisi di perdite e insoddisfazioni cocenti.
Per sfuggire a questa natura duale retta dall’imprevedibilità, le figure che dominano le narrazioni di Filippone cercano di costruirsi un loro rifugio, ognuna in base alle loro esperienze e alle loro possibilità.
Proprio in tal senso emergono differenze notevoli tra la classe nobiliare e quella popolare. Infatti, a ben vedere, la prima tenta con l’istruzione e coi tratti di una fede più razionale di vivere discostandosi da quella fitta schiera di credenze popolari che danno modo di riempire quei vuoti abissali che caratterizzano ogni riflessione umana.
Eppure, nonostante questa intenzione di differenziarsi dai tratti popolari, nel testo emerge a chiare lettere come i nobili non possano mai fare a meno di rimanere suggestionati dal quei modi d’agire. Così, per esempio, in alcuni momenti decisivi, i sogni premonitori divengono ben più importanti delle preghiere. I primi, infatti, tentano, seppur invano, di inviare avvisaglie utili affinché si possano limitare i danni della stoltezza umana.
Quanto detto può essere avvalorato riportando uno stralcio del testo: «Guarda le forme che le viscere del maiale hanno disegnato, le studia assorta mentre le rughe del viso si compongono e si scompongono in un’infinità di solchi. I suoi occhi hanno una fissità arcana e il suo silenzio arde nei focolari. È un’attesa lunghissima. Rosina non parla. Si allontana bruscamente. Viene verso la porta. A volte nel non detto si possono celare tutte le risposte che cerchiamo. A volte il non detto ha il sapore delle paure che non vorremmo mai far riaffiorare».
Dunque, si tratta di una vera e propria predizione in un romanzo in cui i segni della natura cercano quasi di colloquiare con gli uomini. Non solo, è anche il regno dei morti che si mescola a più riprese con quello dei vivi. Infatti, i primi cercano di riportare disperatamente i protagonisti sulla retta via. Eppure, sovente si assiste all’incapacità di vedere e ascoltare i suggerimenti dati. Così facendo, le azioni compiute si macchiano di errori irreversibili.
Per esempio, anche la stessa Antonia si lascia dominare dalla propria sfera irrazionale e non dona ascolto a quella saggezza popolare e a quei numerosi presagi che vorrebbero metterla in guardia.
Le avvisaglie di un cammino malevolo derivano dal proprio grado di coscienza. In effetti, più volte la protagonista è in grado di comprendere come il suo agire sia impulsivo. In merito basta riferire della passione per Bernardino che nasce in maniera spontanea senza presentare solide radici che possano sostenerla. Eppure, al medesimo tempo, subentra l’avidità della sua famiglia che vede nel matrimonio solo un modo per ampliare le proprie ricchezze.
Pertanto, l’individualismo è onnipresente in ogni personaggio rappresentato da Filippone e sfocia sovente nella voglia di sopraffare la volontà altrui.

Il popolo costretto a sottostare all’avidità dei padroni
In tutto questo i contadini del feudo appaiono più volte come mera merce di scambio tra potenti. Infatti, Lorenzo mostra tutta la sua avarizia affamando la gente che vive nelle sue terre. Così, anche nel momento in cui le persone si trovano in grosse difficoltà, il marchese esige ugualmente le tasse dalla popolazione.
Il suo agire non è segnato minimamente dall’interesse nei riguardi di famiglie innocenti che, a causa della sua cupidigia, possono essere spinte fino alla morte.
L’unica aspirazione di Lorenzo è quella di essere riconosciuto come signore assoluto di quelle terre. La stessa folle voglia di sottomissione la pretende dai componenti della sua famiglia. Ecco perché non concepisce l’idea che sua sorella voglia sposarsi per amore. L’unica legge che deve vigere nel castello è quella dettata dal suo volere.
Eppure, il marchese non è l’unico a essere completamente distaccato dalla realtà. La sua stessa famiglia, la madre in particolare, vede nelle sue azioni solo le legittime pretese che devono avere gli uomini della sua casta. Così, l’unico motivo per cui volgere delle offerte a degli affamati risiede nella paura del giudizio divino.
Di conseguenza è ancora una volta la religione e la paura dell’ignoto che si mescolano e muovono i personaggi indirizzandoli a compiere azioni di facciata. In un agire siffatto risulta evidente come l’asprezza del loro cuore non può essere mitigata da benevolenze di facciata.
Anche la stessa Antonia, che è sicuramente quella più attenta ai patimenti altrui, in realtà è assuefatta dai suoi privilegi. Difatti, non vive sulla sua carne la violenza della fame e della disperazione. Soltanto quando le capiterà di trovarsi concretamente in una tale condizione comprenderà a fondo di essere stata miope dinanzi a quanto le accadeva attorno.

Un romanzo storico che parla di passioni universali
Il periodo storico in cui si svolge l’azione è il 1600. Nel compiere un’operazione siffatta, Filippone riesce a contestualizzare al meglio i suoi personaggi intrecciando quel microcosmo in cui si svolgono le narrazioni principali all’ambiente di molto più ampio che le contiene.
Da come si è avuto modo di chiarire, le vicende si svolgono in Calabria, una regione segnata al tempo dalla dominazione spagnola. Questo aspetto emerge da vari elementi, soprattutto attraverso quell’astio che si percepisce in particolare nella popolazione autoctona.
Anche i nobili si sentono trattati da inferiori dall’aristocrazia del nuovo assetto politico. Eppure, ogni rimostranza viene assorbita dalla possibilità di ottenere un guadagno, principalmente economico, dal contesto. Nel caso specifico, gli aspetti negativi si annullano per l’eventualità di combinare matrimoni con gli usurpatori.
Uno degli elementi principali della penna dell’autrice che colpiscono facilmente i lettori è l’eleganza e l’accuratezza che vengono riservate a ogni descrizione inclusa nel testo. Non solo: al di là del contesto specifico in cui si svolgono gli eventi, risulta doveroso sottolineare come Filippone riesca con semplicità a universalizzare le tematiche trattate.
I sentimenti vengono espressi rispettando con scrupolosità il contesto storico in cui si sono ambientate le vicende, periodo inevitabilmente segnato da umori differenti rispetto a quelli rilevabili nell’epoca contemporanea. Eppure, nel leggere il romanzo ci si immedesima facilmente in quei tormenti e in quelle speranze enunciate dai vari protagonisti.
Questo aspetto può avvenire perché Filippone discute soprattutto di quei tratti universali – dall’amore all’odio, passando per la vendetta e il senso di umiliazione – che travalicano il tempo e tessono un dialogo con la coscienza di ogni individuo.

Mario Saccomanno

(www.bottegascriptamanent.it, anno XVI, n. 182, novembre 2022)

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