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A. XVI, n. 173, febbraio 2022
’Ndrangheta in metamorfosi:
da selvaggia a massonica
di Alessandro Milito
Anna Sergi “rilegge” e aggiorna l’opera
del padre Pantaleone. Edito da Pellegrini
Da anni la ’ndrangheta ha scalato le macabre vette del crimine organizzato, proponendosi come la più potente mafia nazionale. Il marchio ’ndranghetista è stato capace di oltrepassare i confini della Penisola e quelli europei, proiettando la propria influenza, e la propria immagine di crudele efficienza, sul continente americano e in Oceania.
Sono affermazioni che non riescono più a scuotere il grande pubblico, assuefatto da una narrazione sulla mafia che gode di palcoscenici inediti e di toni troppo spesso accondiscendenti, se non apertamente mistificatori. La ’ndrangheta è la più potente mafia italiana, governa indisturbata intere aree del territorio nazionale e incassa milioni di euro dal narcotraffico: queste sono grossomodo le coordinate in mano ai più, non interessati ad andare oltre e ad avventurarsi in un fenomeno ramificato e particolarmente complesso.
La santa ’ndrangheta. Da «violenta» a «contesa» (Pellegrini Editore, pp. 382, € 18,00) si propone di andare oltre gli stereotipi e le descrizioni preimpostate. Anna Sergi, professoressa di Criminologia dell’Università dell’Essex specializzata nelle mafie italiane, integra trent’anni dopo il libro di suo padre, il giornalista Pantaleone Sergi.
La “Santa” Violenta, uno dei primi testi dedicati alla ’ndrangheta uscito nel 1991, viene quindi riproposto sotto una nuova veste, aggiornata con l’analisi del presente. L’obiettivo è rispondere a una domanda fondamentale: che cosa è cambiato in questi anni?
“La Santa violenta”: correva l’anno 1991.
«La “Santa” è l’organizzazione mafiosa, ovvero la ’ndrangheta. Ed è formata dal “capo santista”, da un “sottocapo santista a destra”, da un “mastro di controllo a sinistra”, dalla “scorta armata distaccata dietro le spalle”. È la descrizione della ’ndrangheta in uno dei tanti codici ritrovati. In questo caso si tratta di alcuni passi scritti a mano, prima a stampatello e poi con grafia minuta, infantile e incerta, in nove fogli di un quadernetto con la spirale. Sono stati trovati nel covo del superlatitante Giuseppe Chilà, catturato nel giugno del 1987 dagli uomini della squadra mobile reggina e della Criminalpol calabrese». Lo scriveva nel 1991 Pantaleone Sergi, giornalista e scrittore, a lungo inviato di la Repubblica in Calabria e direttore de Il Quotidiano del Sud.
Il titolo del suo libro, La “Santa violenta”: storie di ’ndrangheta e di ferocia, di faide, di sequestri, di vittime innocenti rappresenta la carta di identità di un’opera ricca e multiforme; un volume completo o, per dirla con le parole di Enzo Ciconte nella presentazione al volume recensito, «un testo classico che con il passare del tempo conferma sempre più la validità delle cose scritte». La fama dell’opera del giornalista calabrese è giustificata dalla tenacia e dalla originalità di quelle pagine. Trent’anni fa il fenomeno ’ndrangheta era sì noto ma ancora sottovalutato, comodamente limitato ai confini dell’Aspromonte e di Reggio Calabria. L’aggettivo “violenta”, associato alla crudele ironia del successivo “Santa”, rappresenta una scelta ben precisa dell’autore. Nel 1991 Sergi descriveva la mutazione che la ’ndrangheta stava vivendo e compiendo in quegli anni. La violenza, il sistematico ricorso agli omicidi e alle faide barbariche, rappresentavano da sempre elementi cardine del modus operandi delle ’ndrine. Eppure, in quegli anni il cronista registrava un ulteriore salto di qualità nel vocabolario della violenza mafiosa: le nuove leve avevano rinnegato anche le regole basilari del codice mafioso come il rispetto per i defunti. Nel 1982 la bara del boss Ciccio Canale veniva violata come supremo gesto di sfregio verso il nemico mortale. Da lì in avanti la violenza non si sarebbe fermata nemmeno di fronte alle lapidi. Una violenza in grado di stupire lo stesso Sergi, profondo conoscitore di quel contesto: «Mi hanno colpito gli aspetti legati alla violenza, all’incalzante offesa visibile e non visibile contro le donne, contro i bambini, i derelitti, gli afflitti (e contro i defunti) che in base alle vecchie “regole” della Società dovevano essere esclusi dalle lotte a colpi di lupara e da qualsiasi espressione di reato. La nuova ’ndrangheta è violenta. La “Santa” è violenta. Senza con questo voler assolvere la vecchia “Onorata Società” e assegnarle valori etici che non ha certo avuto».
Parallelamente a questa progressiva deriva rabbiosa e selvatica, la ’ndrangheta mutava radicalmente la sua struttura ed il suo raggio d’azione. La definitiva affermazione sarebbe arrivata con la conquista del narcotraffico internazionale. I miliardi provenienti dal traffico di droga, soprattutto cocaina, avrebbero provocato un profondo sconvolgimento della struttura dell’organizzazione criminale. Proprio da qui nasce l’esigenza di strutturare “la Santa”, il corpo d’élite della ’ndrangheta: luogo di incontro tra affiliati, massoni, funzionari corrotti e criminali dal colletto bianco. Una forza dal volto più pulito e presentabile e, proprio per questo, più efficace e pericolosa.
Sergi descrive con grande maestria questa apparente contraddizione, mirabilmente centrata già nel titolo dell’opera. Riesce perché combina lo stile asciutto e preciso del cronista con la profondità di analisi dello storico e del sociologo: tutti elementi che spiegano l’importanza di un’opera che, letta trent’anni dopo, mantiene inalterato il suo fascino.
Trent’anni dopo: ’ndrangheta o ’Ndrangheta?
Una capacità descrittiva interamente riproposta nelle pagine di Anna Sergi, figlia del giornalista e criminologa dal robusto profilo accademico. Il cuore dell’opera bifronte, in grado di inquadrare il fenomeno mafioso dal passato al presente, sta proprio nella sua prima parte, ovvero nella raffinata analisi dell’autrice e nelle questioni accademiche sollevate sul fenomeno stesso.
La ’ndrangheta “violenta” descritta nel 1991 lascia spazio alla ’ndrangheta “contesa” di trent’anni dopo. E sono quattro i «motivi della contesa» individuati da Anna Sergi.
Il primo riguarda proprio il nome stesso, se debba essere scritto con l’iniziale maiuscola o minuscola e cosa sottintendano entrambe le scelte. Sergi rileva negli ultimi anni un’ampia diffusione del termine ’Ndrangheta: una maiuscola che sembrerebbe quasi confermare la “promozione” attribuita da politici, accademici e giornalisti all’organizzazione criminale. Una scelta non meramente semantica: essa riconosce nella ’ndrangheta, dopo l’iniziale sottovalutazione dei primi anni a favore della siciliana Cosa nostra, la mafia più pericolosa ed influente. E, soprattutto, la qualifica come fenomeno unitario e verticistico, con una struttura ben definita: l’idea dell’arcipelago dalle tante ’ndrine, separate e in lotta tra loro, avrebbe lasciato il posto a una organizzazione unitariamente intesa e gerarchizzata. Una conclusione che Sergi non condivide o meglio, non ritiene così ovvia e definitiva, diffidando da semplificazioni manichee: «Nonostante gli sforzi evidenti di superare la contesa da più̀ parti, resta difficile, al 2021, affermare che la ’ndrangheta in tutta la Calabria, quindi oltre il Reggino e il Vibonese, nel resto d’Italia e anche all’estero, è una ’ndrangheta organizzata gerarchicamente che risponde a precise strategie dall’alto e che, come tale possa essere trattata e contrastata».
La seconda questione sta proprio nella violenza ovvero nella sua apparente ritirata. Dopo la «pax mafiosa» siglata proprio nei primi anni Novanta, la ’ndrangheta sembra aver ridotto l’utilizzo esplicito della violenza, almeno di quella dal carattere più scenografico e barbarico. Nei paesi del reggino non volano più teste mozzate nelle piazze, né si ricorre a massacranti e interminabili sequestri di persona. Perché? Forse la violenza è stata abbandonata? O è diventata una «riserva» da dosare e a cui ricorrere solo in determinati e precisi momenti? Per dirla con le parole dell’autrice: «La violenza è risorsa economica attraverso cui si produce ricchezza, ma anche risorsa sociale e culturale, che crea consenso e legittimizza. Come tale, non si può̀ sprecare e non può̀ sempre essere manifesta, la violenza. Non è una risorsa infinita, nemmeno per la mafia».
Questo cambio di paradigma è strettamente legato alla terza e alla quarta contesa e cioè alla «glocalizzazione» della ’ndrangheta e al suo rinnovato rapporto con la politica, il mondo economico e la società.
Oggi fa quasi sorridere l’ingenuità (spesso colpevole e dolosa) di chi tendeva a considerare la ’ndrangheta un fenomeno prettamente calabrese. Tuttavia, se ormai la natura internazionale dell’organizzazione è pacifica, è necessario interrogarsi su cosa si intenda effettivamente con ’ndrangheta all’estero, cercare di capire «cosa si muove esattamente» quando le ’ndrine emigrano. Come riconoscere il fenomeno ’ndranghetista al di fuori della Calabria?
La quarta e ultima questione, che in qualche modo riporta il lettore direttamente al titolo dell’opera, riguarda proprio il mondo oscuro della “Santa” vera e propria. Come aveva già intuito Pantaleone Sergi nella sua opera premonitrice, la Santa del XXI secolo è riuscita a proporsi come «cerniera di potere riservata», interlocutrice credibile e affidabile per le istituzioni deviate, la pubblica amministrazione corrotta e la finanza complice. Un mondo di strette di mano, influenze illecite, tangenti e ricatti che vede la ’ndrangheta far da padrona, in alcune zone del Paese più di altre. È questo il terreno della “contesa” più complessa e pericolosa: «quando si parla dunque di ’ndrangheta, politica, economia e società, [la vera contesa] è dunque nella riflessione che la vera forza della ’ndrangheta sta al di fuori della ’ndrangheta stessa. Sta nelle sacche di potere oligopolistiche della città di Reggio Calabria che convergono con quelle del potere delle istituzioni regionali e della politica in generale. Tra collaborazioni interne ed esterne, la Santa, qualunque sia il suo nome, come struttura “segreta e riservata” è allo stesso tempo dentro la ’ndrangheta, quando ne è fuori. Ne è dentro perché nasce dalla ’ndrangheta».
E tra trent’anni?
La santa ’ndrangheta. Da «violenta» a «contesa» è un’operazione editoriale ben riuscita e di gran qualità. La mera ripubblicazione de La “Santa” Violenta di Pantaleone Sergi sarebbe stata senz’altro giustificata, vista l’importanza del volume e del suo livello di indagine, sia giornalistico che storico-sociologico. Tuttavia, è proprio con l’ulteriore fotografia scattata da Anna Sergi che l’opera del 1991 assume maggior valore e si propone come un valido manuale su questa mafia.
Sono proprio gli interrogativi proposti dall’autrice a offrire il lato più stimolante dell’intera opera. Solo dopo averla letta interamente ci si troverà con il porsi un’ulteriore domanda: cosa si scriverà nel 2051? Ma soprattutto: «continueremo a raccontarci di come la mafia si infiltri nei gangli della politica e dell’economia oppure inizieremo a guardare a quella politica e a quell’economia porose e sfruttabili?». Appuntamento tra tre decadi, con nuovi motivi di contesa.
Alessandro Milito
(www.bottegascriptamanent.it, anno XV, n. 173, febbraio 2022)