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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Una vicenda
personale racconta
il colonialismo
di Rosita Mazzei
Un racconto di vita, edito Armando,
introdotto dal celebre Piero Angela
Aprendo, leggendo e studiando i libri di storia, siamo sempre un po’ propensi a immaginare gli avvenimenti del passato come qualcosa di estremamente distante da noi, sia temporalmente che spiritualmente, tanto da considerare vicende, personaggi e azioni come se fossero del tutto impersonali. Difficilmente riusciamo a provare un legame con i grandi uomini e le grandi donne del passato, mettendoli sullo stesso piano di ciò che ci viene raccontato attraverso le fiabe e le favole della nostra infanzia. Quando leggiamo un’autobiografia, invece, il sentimento dell’empatia rifiorisce in noi e ciò che ci viene narrato dal diretto protagonista delle vicende storiche ci appare finalmente vero e vivido proprio perché vissuto.
Ed è esattamente ciò che accade con l’opera di Angelo Bagnato che ci accompagna nel proprio volume che prende il titolo di Somalia. Da coloniali a profughi (Armando editore, pp. 306, € 19,00). Attraverso questo libro, lo scrittore narra della sua nascita in Somalia in una famiglia italiana che tentava di colonizzare il paese africano. Un punto di vista sincero e critico di una pagina vergognosa del nostro Paese.
Il racconto come memoria storica
Il volume offre al lettore la propria vicenda inserita perfettamente all’interno della storia nazionale e mondiale. Lo afferma anche il divulgatore scientifico, giornalista e saggista Piero Angela, che si cimenta nell’Introduzione del testo di Bagnato: «Ogni volta che qualcuno se ne va è una enciclopedia che scompare. Ognuno di noi ha dentro di sé una grande ricchezza di memorie, magari anche piccole, ma che danno vita e rilievo ai grandi racconti degli storici. Angelo Bagnato in questo libro racconta la storia della sua famiglia in un periodo pieno di eventi importanti, gli anni ’30 e ’40; una famiglia che si era trasferita in epoca coloniale in Somalia e ci fa rivivere quell’epoca attraverso una serie di piccoli flash, di episodi, quasi “a caleidoscopio”, come dice l’autore, ma che tutti insieme, con pennellate successive, permettono di comporre un quadro nitido e interessante della vita coloniale di quel tempo».
Così veniamo catapultati nella vita del suddetto scrittore, nato in una terra lontana e occupata in maniera odiosa, troppo piccolo per comprendere parole quali “occupazione”, “dittatura” o “giochi di potere”. Un bambino che poi è divenuto uomo e ha deciso di non dimenticare il proprio passato e quello della sua famiglia e di tramandarlo ai posteri tramite il recupero di raccolte di lettere, diari e racconti provenienti soprattutto dal padre e dal nonno per poi ricostruirli e amalgamarli in questa sua opera.
«[...] l’Acqua che in Africa chiamano BIO = VITA. CIAN, il tuttofare del nonno, diceva, forse scherzando, che i Somali che si erano convertiti al Cristianesimo, nel recitare il Padre Nostro, invece del Pane, dicevano “dacci oggi la nostra acqua quotidiana”». Queste parole di Bagnato fanno comprendere perfettamente quello che è poi il tema della sua opera, che diverge tra narrazione storica e rimembranza personale.
Il tanto agognato “posto al sole”
Il nostro autore ci aiuta a comprendere meglio le sue vicende personali anche grazie a una accurata trattazione della situazione somala e italiana dell’epoca in cui sono ambientati i fatti. Ci informa così che nel 1939 Mogadiscio era la capitale della Somalia, con una popolazione di circa 50.000 abitanti di cui ben 20.000 erano italiani. Molti nostri connazionali erano stati allettati dalla dittatura fascista a trasferirsi in tale città con la promessa di ampie terre da coltivare e facili ricchezze a disposizione di tutti. La realtà, però, si è dimostrata assai diversa. Bagnato, infatti, sottolinea come la situazione nel paese africano non fosse affatto semplice, con poche strade asfaltate e con molte persone che vivevano in case fatiscenti.
Attraverso la narrazione proposta veniamo a conoscenza delle vicende storiche che portarono alla conquista della Somalia, ma anche degli episodi personali della famiglia Bagnato.
Apprendiamo così di Fatima, la balia dello scrittore, una giovane ragazza africana a cui, probabilmente, venne praticata da piccola l’infibulazione. Questa orrenda pratica, ancora presente in molti stati africani e non solo, consiste nell’asportazione parziale o totale degli organi genitali femminili esterni in modo tale che la donna non possa provare piacere durante l’atto sessuale. Nel tempo questa pratica indegna si è ammantata di religiosità, ma come al solito ha il solo scopo di controllare il corpo della donna e di detenerne il potere sotto una presunta superiorità maschile. Purtroppo, in Somalia tale abominio è ancora molto presente.
L’autore, dunque, ci mostra aspetti di vita quotidiana di una famiglia che, come molte altre, aveva creduto alla propaganda fascista trasferendosi in un paese povero e molto distante dalle ricchezze decantate.
I ricordi vanno preservati
Tra le fonti adoperate dallo scrittore per innalzare questo teatro alla memoria storica e familiare troviamo quello che Bagnato definisce “Cassa di Canfora”. Questo baule è stato per anni il custode di foto, documenti e reperti sapientemente utilizzati dall’autore. Attraverso i ricordi dei propri parenti e degli uomini che lavoravano presso la sua famiglia, l’autore ci dà valide informazioni sul colonialismo italiano in Africa, ma anche sulla società somala e sulla sua suddivisione. Rapporti familiari, matrimonio, divorzio, sono tutte cose riportate con una scrittura semplice e chiara, capace di raccontare anche i dettagli meno delicati con vivace nitidezza. Ma viene anche spiegato il ritorno in Italia dopo la fine della guerra e le problematiche a ricominciare in un paese distrutto fisicamente ed economicamente. Infatti, le famiglie rientrate dalle colonie non ebbero alcun aiuto da parte di uno stato che era uscito devastato dal conflitto sotto tutti i punti di vista. Ai Bagnato, come a molti altri, toccò di alzarsi nuovamente le maniche per poter rifiorire nella terra natia lasciata un decennio prima con promesse sicuramente migliori.
Il tutto unito a una vasta gamma di fotografie e dipinti che raccontano la storia dell’autore, ma narrano anche la storia dell’Italia conquistatrice, che ha tentato di emulare altre potenze europee dietro la scusa becera di civilizzare popoli che avevano la sola colpa di essere diversi, poveri, ma appetibili per risorse minerarie o territoriali. Alla fine del libro, inoltre, sono presenti un’Appendice con delle date storiche assai rilevanti e un Glossario che riporta numerose parole africane e il loro effettivo significato, per poter ulteriormente far immergere il lettore in tale testimonianza mnemonica.
Rosita Mazzei
(www.bottegascriptamanent.it, anno XV, n. 165, giugno 2021)