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A. XV, n. 165, giugno 2021
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Problemi e riflessioni (a cura di La Redazione) . A. XV, n. 165, giugno 2021

Zoom immagine La poesia come modo
per raccontare tragedie

di Mario Saccomanno
I versi di Natale Antonio Rossi: urla di dolore
per il futuro e il senso di giustizia. Edite da Bertoni


Per capire il tipo di rapporto che gli uomini hanno avuto col Mediterraneo nel corso dei secoli ci si può rifare a quanto il Socrate platonico riferisce al filosofo pitagorico Simmia nel Fedone. A suo dire, i greci hanno sempre vissuto dinanzi al mare come formiche o come rane intorno a uno stagno. In effetti, la vocazione marinara dei greci ha sempre dovuto fare i conti con quel timore nei riguardi delle acque mediterranee che nascondevano fin troppe insidie, in particolare nei mesi invernali. A ben vedere, è una caratteristica che ha accumunato tutte le popolazioni che, nei secoli e per i più svariati motivi, si sono sporte sul Mediterraneo.
Indubbiamente, avere il controllo delle acque mediterranee è sempre stato sinonimo di forza. Non sorprende allora che molte delle battaglie decisive per gli assetti economico-politici nel corso dei secoli siano state combattute proprio per il controllo di quelle acque. Del resto, anche solo facendo affidamento all’etimologia del termine, si nota che “Mediterraneo” deriva dalla parola latina “mediterraneus” che può essere tradotta come “in mezzo alle terre”. Dunque, inevitabilmente, avere l’egemonia su quelle acque significava tenere sotto scacco le altre potenze del mondo conosciuto.
La conquista degli spazi, il ritmo lento – ma comunque inarrestabile – che ha scandito la vita di tutte le variegate realtà che si sono affacciate sulle acque del Mediterraneo, nonché la reciproca influenza dei popoli entrati in contatto tramite proprio quegli incontri-scontri di civiltà continuano ancora oggi a creare un dialogo costante tra il presente e il passato. Di più: proprio il passato finisce per rivivere continuamente e senza posa nelle conformazioni che assume di volta in volta il presente.
Inoltre, occorre sicuramente considerare che gli spazi mediterranei sono stati visti sempre più, in particolare dal XV secolo in poi, come confini angusti.
Ovviamente, questo importantissimo cambio di vedute derivava dal graduale spingersi verso nuove terre e dalla conoscenza sempre più dettagliata delle acque dell’Oceano Atlantico, affrontato finalmente con mezzi più efficaci rispetto a quelli utilizzati fino a quel momento.
Dunque, il nuovo sguardo sul mondo scaturiva in particolare da alcune invenzioni. In questo, si può far brevemente riferimento al testo Redargutio philosophiarum scritto da Francis Bacon nel 1608. Il filosofo inglese afferma nello scritto che l’uomo era stato in grado di superare quei confini che in precedenza erano sembrati insormontabili attraverso la formazione di una nuova mentalità scaturita più che nuove astruse costruzioni filosofiche, da tre grandi invenzioni. In particolare: la bussola, la stampa e la polvere da sparo.
Ovviamente, nonostante l’interesse preminente verso le acque oceaniche, il Mediterraneo non ha smesso di esercitare un ruolo decisivo nell’economia, nella politica e nella cultura dei popoli, oltre che delle singole persone. Di sicuro, ancora oggi, data la conformazione dei nuovi e numerosi problemi – che diventano spesso ingestibili al punto da mutarsi in tragedie proprio su quelle acque – diventa indispensabile interrogarsi a fondo sul valore che ha assunto oggi il Mediterraneo e sul tipo di rapporto che abbiamo con esso. In particolare, sono due i problemi che su tutti risultano stringenti: il primo è l’emigrazione, che coinvolge un numero spaventoso di persone, il secondo è l’inquinamento che crea giornalmente danni incalcolabili.
Il libro Mediterraneo. Poema di mare e migranza (Bertoni, pp. 136, € 16,00) di Natale Antonio Rossi fa notare come si respiri ancora – e forse con maggiore forza rispetto al passato – tutto quell’accatastarsi di civiltà in quel mare, il Mediterraneo appunto, che in realtà altro non è che un susseguirsi di tanti mari, ognuno con la sua storia, in cui, come fatto notare, coesistono apparenti contraddizioni. Così facendo, l’autore mostra con forza come in quel «mare di strada» confluisca ogni cosa, da merci, idee, costumi, bestiame fino, in particolar modo, alla speranza.
La speranza che sceglie di descrivere Rossi è quella che, per realizzarsi, deve sfidare la morte, uscendone spesso sconfitta. Si avrà modo di chiarire come i versi dell’autore sono segnati da un rigido realismo che, sotto una forma di cronaca diaristica, cercano di coinvolgere emotivamente e razionalmente il lettore per fare in modo di creare una nuova mentalità che possa portare un diverso approccio di vita.

Costruirsi il proprio futuro
Del resto, già nella Prefazione vengono chiariti i motivi che spingono quotidianamente un numero consistente di persone a lasciare la propria terra natia per abbracciare quella speranza che viene proiettata in un altro territorio in cui poter migliorare le proprie precarie condizioni di vita.
Bisogna subito chiarire che tutte le descrizioni dell’autore si spingono ben oltre ogni politica. Rossi descrive fatti, cerca di tracciare coi versi i dettagli di tragedie che avvengono quasi giornalmente. Di sicuro, prende continuamente posizione, ma lo fa principalmente e soprattutto dal punto di vista umano. Del resto, sono proprio due versi contenuti nel testo a chiarire il suo sguardo e il suo intento: «Mediterraneo annega ogni politica, a destra e a sinistra / Il Mediterraneo è mar democratico, per morti».
Acquisire la dignità di vita che merita ogni uomo, proteggere i propri diritti, costruirsi il proprio futuro: tutto questo presuppone troppo spesso una fuga, un affanno, uno strappo netto rispetto a quanto vissuto che, inevitabilmente, porta con sé diversi strascichi che durano un’intera esistenza. Di più: l’urgenza di rinascere, che si alimenta con la speranza – che significa sempre speranza nell’altro –, si infrange troppo spesso con la cruda realtà che Rossi indaga coi suoi versi.
Di sicuro, tutte le innumerevoli tragedie che cozzano coi molteplici propositi di progresso e civiltà di cui sovente svariati stati, innumerevoli partiti si sentono portavoce. Questo incredibile paradosso risuona in altri due versi contenuti nel testo: «Ventri sventrati e bocche che tremende / occhiano l’occidente e la sua storia d’umanità».
Rispetto a quanto appena affermato, può risultare proficuo far cenno ancora alla Prefazione del testo in cui si legge: «In Occidente, nell’Europa meridionale, nel momento in cui scienza, tecnica e tecnologia sono àmbiti disciplinari dove si inverita la fede, appaiono grandi masse di migranti (non solo africani) che fanno fiume ad un sommovimento di processi vitali, da natura e di cultura. Il Mediterraneo è mare di transito di popoli. Il pericolo accertato è che sono genti che sfuggendo ad afflizioni umane e sociali – fame, carestie, epidemie, guerre e schiavitù – contraddicono la visione del mondo che l’Occidente aveva loro assegnato». Il libro si sofferma continuamente sulle caratteristiche di questa contraddizione, di questo sfuggire e ritrovarsi in bilico in un mare che da sempre è «transito di popoli».

Il perché della poesia
Il testo si presenta sotto una veste molto particolare, che è quella del poema. Di sicuro, bisogna chiarire che affidarsi al linguaggio poetico per descrivere i temi spinosi contenuti nel libro non è sicuramente una scelta semplice. Del resto, i componimenti dell’autore sono sempre contrassegnati da versi di denuncia, sono urla lancinanti. Così, l’analisi poetica mira a ricostruire i drammi quotidiani consumati nelle acque mediterranee.
Il linguaggio utilizzato rispecchia i contenuti. L’autore intreccia i termini – a volte ricercati, a volte comuni, in base alle esigenze – ai temi presenti nella sua opera. Rossi – volendo sottolineare un aspetto specifico – dando estrema importanza alla stessa musicalità dei termini, costruisce versi, poesie, che mirano a riproporre gli umori del momento, tanto quelli dell’autore stesso, quanto quelli che contrassegnano le persone che si trovano a combattere per la loro sopravvivenza sulle acque del Mediterraneo, che diventa «palco di pesci e pescicani», «prato per ogni razza e di sesso tomba», «sepolcro d’Africa» e che finisce per avere inevitabilmente «storia e memoria nei fondali».
Solo come esempio di versi che fanno leva anche sulla scelta musicale per far capire il dramma che l’autore sta descrivendo, si può leggere l’inizio della seconda composizione: «E i bambini frullano ondulati all’onda, / i neonati non più in vita e giappiù invitanti / a braccia stese; il giovane che lotta e slotta / in acqua finch’è morto e più non sciacqua».
Le descrizioni dell’autore prendono le mosse da dettagli, spesso dal presentarsi di corpi ormai inermi, trafitti, distrutti dalle condizioni precarie del viaggio in mare, dalla cronaca di tragedie già compiute. Nella crudezza dei resoconti offerti, la poesia si cela in primo luogo proprio nella denuncia degli avvenimenti descritti.
Di sicuro, avvalersi della forma poetica – e ancor di più scegliere di scrivere un poema – significa parlare oltre che alle menti, al cuore di ogni lettore. È un aspetto fondamentale che emerge costantemente dalla lettura del testo. Per questo motivo, come si avrà modo di far notare in dettaglio, sebbene il libro risulta essere costruito sulla descrizione di drammi quotidiani scaturiti dai flussi migratori in un determinato arco cronologico, quanto descritto dall’autore travalica il tempo presente fino a diventare monito per il futuro.

Spostarsi oltre il linguaggio canonico
Anche dai versi riportati finora si sarà notato come l’autore utilizzi gli strumenti poetici in svariati modi. Infatti, non è raro notare come il poema contenga versi in cui Rossi si mostra capace di spingersi fino al punto da distorcere il linguaggio, renderlo riflesso ben marcato del percorso che ha deciso di tracciare.
Così, i termini – che a volte scorrono rapidi nella lettura, a volte si incagliano volutamente tra le varie descrizioni offerte – mimano proprio la difficoltà del viaggio, la precarietà di un intero percorso che può essere riassunto da un verso: «È il mare che consegna alla migranza o morte».
Certo, affrontare un tema ricco di così tante sfumature, pregno di numerose e continue ingiustizie non può essere contenuto in versi che restano fedeli al linguaggio canonico. Infatti, l’autore ha bisogno di nuove vesti linguistiche per dare la possibilità di cogliere ulteriori sfumature.
Alcuni dei numerosi termini contenuti nel poema possono fungere da esempio in grado di avvalorare quanto affermato: “accadavera”, “abbare”, “snulla”, “svanno”, “ingrinta”, “disfrotta”, “immalati”. Per avere un quadro ancora più delineato, a questo aspetto si aggiungano altri elementi che si incontrano nella lettura quali, solo come esempio, il cambio di accenti di alcuni termini che viene segnalato volutamente dall’autore o la stessa posizione assunta da ogni singola parola, che, proprio in questo modo, diventa fondamentale nell’economia di ogni composizione.
In sintesi, Rossi comprende appieno di non poter richiudere in fredde e inutili etichette i suoi racconti di migranza. Da qui, la necessità di fare i conti continuamente col linguaggio più appropriato per esprimere i suoi pensieri, riuscire a utilizzarlo per avvalorare i contenuti. Un altro esempio lampante è notare come nel testo la parola “vivere” abbia una vasta gamma di derivati. Infatti, si trovano vocaboli quali “vivenza”, “svivendo”, “vivante” che danno molto più colore a quella forza con cui si cerca di resistere e di combattere nelle acque mediterranee, in quel mare «che grazia e mette a morte», che altro non è se non «una collina azzurra di pericoli» e che di notte si fa troppo spesso «piazza di violenze».

Dal particolare all’universale
Per analizzare ancor di più in dettaglio i temi che sono stati discussi fino a questo momento in merito al linguaggio capace di dare una forza espressiva smisurata ai contenuti del libro, possono ritornare utili questi due versi: «Nessuno piange più, nessuno strilla e nessuno / tende la mano o chiede “aiutoaiuto”».
Nella forza emotiva della poetica di Rossi, l’utilizzo del termine “aiuto” in una particolare reiterazione (aiutoaiuto) riesce brillantemente ad avvalorare ancor di più il senso di precarietà, la forza dirompente del grido di dolore e, al contempo, di speranza di riuscire ad aggrapparsi alla vita tramite il sostegno dell’altro, del prossimo.
Ancora, la forza del linguaggio che compone i versi del poema evince dall’utilizzo di espressioni quali “si schiena”. Nel caso specifico, affidarsi alla forma riflessiva sprigiona una carica emotiva enorme. Diventa il valore ultimo del senso della poesia stessa, che è quello di farsi beffe del linguaggio tramite il linguaggio stesso e giungere a un significato di grado più alto.
Stiracchiare la forme grammaticali porta a un risultato capace di abbracciare una completezza inevitabilmente sfuggente a qualsiasi altro orizzonte linguistico.
La poetica di Rossi oscilla tra il bisogno di descrivere le dinamiche universali e tutti i contesti particolari che vengono riportati nel testo. Per questo motivo, i versi nella loro completezza, attraverso il tipo di linguaggio su cui si è detto molto, restituiscono descrizioni ricolme di immagini che danno un valore capace di superare ogni evento temporale fino al punto da essere universalizzate. Con questo piglio si possono leggere come esempio versi che contengono alcuni dei punti analizzati finora: «Nessuno piange più, nessuno strilla e nessuno / tende la mano o chiede “aiutoaiuto”; / chi ondeggia, si piega, se si storce si rinterza, / oscilla e poi va giù, largo a braccia aperte, / e poi si schiena all’aria inerme, inerte».

Il tempo della giustizia
Nel poema sono presenti diverse sezioni che guidano i lettori tra le varie composizioni offrendo indicazioni preziose, per lo più cronologiche. Le poesie possono essere considerate a metà strada tra pagine di cronaca in versi, o pagine intime di un diario in cui vengono tracciate le linee principali di un dramma quotidiano che tarda a concludersi.
Di conseguenza, l’autore descrive non solo «per memoria futura» alcuni degli ultimi tragici avvenimenti che hanno segnato le acque mediterranee, ma anche e forse soprattutto, per giungere a una nuova consapevolezza, così come si diceva in precedenza. Inoltre, il legame col mondo greco, con tutta quella tradizione è evidente in molti tratti del testo. In particolare emerge facilmente dalla lettura di tutti quei versi che contengono chiari rimandi a quel politeismo che guida i viaggi in mare che vengono descritti, col quale l’autore ha un dialogo costante e simbolico.
Il poeta, traduttore e critico letterario Giuseppe Conte, nel testo Non finirò di scrivere sul mare (Mondadori, pp. 132, € 18,00), altro poema che indaga il mutare inesorabile e perenne del mare, ha scritto numerose poesie che possono legarsi a quelli di Rossi analizzate finora. In particolare, sul Mediterraneo, si leggono alcuni versi che occorre riportare: «Oggi sei il mare dei morti, la prigione / dei tanti annegati tra i migranti. / Rinasci, Mediterraneo, con i tuoi canti / incolpevoli, unisci non separare / ricorda agli uomini d’Europa la tua legge: / essere mutevole, alzare le vele, amare».
Proprio il bisogno d’amore, l’urgenza di costruire una nuova dimensione è quanto emerge a chiare lettere nel testo di Rossi. Del resto, è l’autore stesso ad affermare che «il Mediterraneo è nulla per chi se non chi salva». Si può concludere con un interrogativo che Rossi riporta nel poema che racchiude brillantemente tutto il senso del libro: «Verrà il tempo che ai morti si darà giustizia?».

Mario Saccomanno

(www.bottegascriptamanent.it, anno XV, n. 165, giugno 2021)

Collaboratori di redazione:
Letizia Lamorea, Ilenia Marrapodi, Rosita Mazzei, Maria Chiara Paone
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