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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Il “Golpe Borghese”: i depistaggi
determinarono il flop processuale
di Fulvio Mazza
Un saggio storico ribalta la “verità giudiziaria”.
Il ruolo “golpista” di Andreotti e quello di Gelli
Pubblichiamo, in anteprima, l’Introduzione al libro Il Golpe Borghese. Quarto grado di giudizio. La leadership di Gelli, il “golpista” Andreotti, i depistaggi della “Dottrina Maletti” (Pellegrini, pp. 272, Euro 16,00), che esce in concomitanza con il 50° anniversario del “Golpe” stesso, che ricorre il prossimo 7 dicembre.
L’autore della ricerca storica è il direttore di questa testata giornalistica. Per dovere di cronaca riportiamo quanto diffuso dalla Pellegrini editore nella sua scheda editoriale.
«Fulvio Mazza, storico e giornalista, dirige l’agenzia letteraria Bottega editoriale ( www.bottegaeditoriale.it ).
Oltre che per la Pellegrini, ha scritto, negli anni, numerosi saggi, prevalentemente di Storia contemporanea, per Edizioni scientifiche italiane, Franco Angeli, Laterza, Rubbettino, Istituto della Enciclopedia Italiana (“Treccani”). Si è occupato soprattutto di Storia urbana (siciliana e calabrese) e di Storia politica (Storia del Fascismo, dell’Antifascismo, del Partito d’azione, del Pci, del Psiup, della Cgil)».
Il libro che il lettore ha tra le mani non è solo un saggio sul “Golpe Borghese” in senso stretto ma è anche un testo sull’iter delle indagini e sui depistaggi delle stesse, con il conseguente flop processuale.
Non mancherà una cronistoria del “Golpe”, che verrà offerta al lettore soprattutto tramite l’apposita Cronologia annotata.
Dalla lettura del libro emergeranno diversi dati di novità e il permanere di alcuni misteri. Ci saranno ovviamente anche numerose conferme che verranno spesso opportunamente integrate con dati ulteriori. In alcuni casi, relativamente al ruolo di Giulio Andreotti e di Michele Sindona, per esempio, tali dati integrativi rappresentano elementi di dubbio.
Verrà fatta luce, tra l’altro, su come il generale Gian Adelio Maletti e il ministro Giulio Andreotti censurarono importanti parti del “Malloppo originario”, frutto dell’inchiesta portata avanti essenzialmente dal capitano Antonio Labruna. In particolare si delineerà la “Dottrina Maletti”, ovvero le motivazioni che indussero i vertici istituzionali a salvare molti golpisti.
Risulterà altresì evidente come il “Golpe” stesso si inserì nella “Strategia della tensione” che – a incominciare dalla strage di piazza Fontana – prevedeva una prima fase terroristica da attribuire alle sinistre e una seconda di repressione, quella del “Golpe”, con la scusa del ripristino dell’ordine costituito.
Emergerà anche il ruolo centrale di Licio Gelli, di cui è certa la primaria importanza. Ciò non solo perché ebbe il più importante ruolo operativo: quello di guidare il commando che avrebbe dovuto rapire il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat. Ma pure perché ne ebbe, con la massima probabilità, anche un altro di analoga importanza: quello di telefonare a Borghese inducendolo a diramare il “contrordine”.
Al contrario del punto sul rapimento di Saragat, usiamo, su questo secondo aspetto, una certa cautela perché ha ricevuto meno riscontri probanti. Il lettore avrà comunque modo di costruirsi un’opinione propria.
Emergeranno ugualmente diversi punti ancora oscuri: primo fra tutti il mistero sulla morte dello stesso Borghese che (anche qui dobbiamo adottare la formula di non completa certezza) fu molto probabilmente assassinato.
Fra gli altri elementi enigmatici messi in rilievo nel libro evidenziamo quelli relativi alle connessioni dei golpisti con la scomparsa di Mauro De Mauro e al falso giudiziario relativo a uno dei “Malloppini” consegnati alla magistratura.
La Repubblica italiana corse un grave rischio che però la magistratura non colse. Questo fallimento giudiziario avvenne sostanzialmente per due ragioni: innanzitutto perché il pubblico ministero Claudio Vitalone si mosse in linea con la strategia minimizzatrice di Andreotti; ma prima ancora perché le citate censure fecero sì che nei tre “Malloppini” consegnati alla magistratura venissero omessi i riferimenti a diversi personaggi, situazioni e organizzazioni.
A mo’ di esempio sottolineiamo, fra i singoli, le deviazioni che salvarono lo stesso Licio Gelli e l’ammiraglio Giovanni Torrisi; fra le organizzazioni citiamo gli analoghi depistaggi che nascosero il contributo essenziale che fu dato al “Golpe” da Avanguardia nazionale e dalle mafie.
Quanto sinora detto vale fino a un certo punto: e tale punto si chiama –tanto per cambiare – Giulio Andreotti.
Come si avrà modo di leggere, alcune fonti, sinora non sufficientemente verificate (o, per meglio dire, che è probabilmente impossibile controllare appieno), riferiscono che i golpisti, all’inizio del 1970, chiesero l’appoggio degli Usa al loro progetto e che il “Grande Fratello” americano lo promise, seppur recalcitrante. Pose però alcune condizioni fra cui quella che il nuovo governo golpista fosse presieduto, appunto, da Andreotti.
Ove ciò fosse vero – anche solo limitatamente alla conoscenza che il “Divo Belzebù” abbia avuto di questa “designazione” – la sua politica minimizzatrice andrebbe interpretata non più come difesa dell’ordine costituito contro l’arrembaggio di magistrati troppo curiosi ma risponderebbe, a questo punto, al preciso scopo di annebbiare e affossare quanto più possibile le indagini per non far emergere il suo coinvolgimento diretto.
Verrà anche evidenziato che tale documentazione di provenienza Usa, certamente attendibile, trova una sponda e una sorta di estensione in un’altra documentazione che, seppur dalla dubbia attendibilità, non può essere però ignorata. Ci riferiamo al (controverso) “Testamento politico” di Borghese sul quale ci soffermeremo opportunamente.
Il “Rebus Andreotti” rimarrà aperto.
In ogni caso, l’interpretazione dei fatti (l’organizzazione del “Golpe”, il “contrordine”, i depistaggi delle indagini e tutto il resto) non cambierebbe granché, muterebbe solo la ratio insita nelle sue azioni.
Dalla lettura del testo si noterà altresì che il leader democristiano – sia l’eventuale figura di “Andreotti golpista” che quella di “Andreotti ignaro” – fu sostanzialmente passivo in quanto non voleva comparire e preferiva stare “alla finestra”. Con una significativa eccezione: quella del “contrordine” che, nella citata ipotesi di “Andreotti golpista”, diede tramite un suo delegato, Gilberto Bernabei.
Come si sarà notato, la quantità di argomenti – che abbiamo suddiviso in ventidue punti – è ingente. In tal senso tutto verrà toccato solo tramite rapidi, ma sufficientemente completi, riferimenti.
Per gli adeguati approfondimenti andrebbero redatti ventidue specifici saggi: il che, in questa fase, non è stato ovviamente possibile. In ogni caso, per sei argomenti: il (probabile) assassinio di Borghese, l’iter delle indagini e quello processuale, il ruolo di Andreotti e quello di Gelli e il “contrordine” che bloccò il “Golpe”, effettueremo dei, benché sempre rapidi, approfondimenti.
La trattazione ha portato comunque alla realizzazione di un quadro nel complesso esaustivo, che nasce e si verifica anche e soprattutto tramite la documentazione, spesso inedita, proveniente da varie fonti: innanzitutto il Sid, la Commissione parlamentare P2 e la Commissione parlamentare stragi.
Come si potrà riscontrare, dal combinato disposto di tali fattori emerge la tragica erroneità della “verità giudiziaria” che sentenziò che il “Golpe” non ci fu. Di contro, emerge una “verità storica” ben diversa: ed è quella che andremo a dimostrare con questo nostro provocatorio “Quarto grado di giudizio”.
Fulvio Mazza
(www.bottegascriptamanent.it, anno XIV, n. 159, dicembre 2020)
L’uscita del libro non è passata inosservata. Fra le altre evidenziamo due interviste Rai:
confini.blog.rainews.it/2020/12/17/il-golpe-borghese-un-colpo-di-stato-sotto-lo-sguardo-di-
licio-gelli-e-giulio-andreotti-intervista-a-fulvio-mazza/
e l’altra visibile qui.