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A. XIV, n.154, luglio 2020
Il salario come
cambiamento
di Rosita Mazzei
La breve vita
della coscienza
operaria nelle terre
Come è andato modificandosi lo scenario socioeconomico all’interno del territorio crotonese nel corso del tempo? È questo l’interrogativo che si è posto Antonino Campennì, ricercatore presso l’Università della Calabria dove insegna Sociologia del territorio, occupandosi anche di Sociologia del lavoro e di Sociologia visuale.
L’egemonia breve. La parabola del salariato di fabbrica a Crotone (Rubbettino, pp. 234, € 12,50) è un saggio nato per trovare una risposta a questa domanda quanto mai necessaria a comprendere la società in cui siamo immersi. L’autore, attraverso quest’opera, intende ribaltare l’idea usuale che si ha del meridione visto come area atipica inserita all’interno dell’Europa occidentale, volendo utilizzare l’esempio del lavoro salariato come mezzo per dimostrare le caratteristiche che invece lo accomunano al resto del territorio industrializzato.
Il salariato come condizione sociale
All’interno dell’analisi del vivere sociale, Campennì prende come dato centrale il salariato visto come fonte del sistema capitalistico, pur non essendone l’unica causa. Il significato e il ruolo del salariato non possono essere definiti una volta per tutte poiché essi sono cambiati più e più volte all’interno del corso dei secoli. La visione del salariato, ma anche del disoccupato, ha subito nel tempo una forte influenza da parte delle idee che di queste figure aveva la società e, soprattutto, lo Stato: per modificare tale visione governativa vi è bisogno di una forte influenza corale proveniente dal basso.
Nel corso del tempo si è visto come il salariato sia stato assunto come un vero e proprio fenomeno culturale. Inizialmente intere masse di contadini si erano rifiutate e ribellate all’idea di dover entrare in fabbrica per lavorare, difendendo il proprio sistema economico di autosufficienza da quella che consideravano una vera e propria mostruosità: l’industrializzazione. L’autore ci tiene a sottolineare come il salariato abbia visto la luce molto prima del capitalismo, essendo egli presente già all’interno del mondo feudale. In Inghilterra si è vista la nascita di un movimento che porterà i ricchi e i nobili a conquistare più terreno possibile per utilizzarlo in funzione di colture intensive e allevamento di ovini. Tutto ciò sarà un vero e proprio atto abusivo nei confronti delle masse contadine più indigenti.
«Il primo uomo che, avendo recinto un terreno, ebbe l’idea di proclamare questo è mio, e trovò altri così ingenui da credergli, costui è stato il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii, quante miserie, quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pali o colmando il fosso, avrebbe gridato ai suoi simili: “Guardatevi dall’ascoltare quest’impostore; se dimenticherete che i frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno, sarete perduti!”» così recitava Jean Jacques Rousseau all’interno de L’origine della disuguaglianza ed è certo che l’occupazione di gran parte delle terre a beneficio dei più ricchi non abbia fatto altro che portare miseria e fame all’interno di una società agraria di certo non florida o benestante.
Le fabbriche a Crotone
Negli anni Venti del secolo scorso nacquero quasi in contemporanea due stabilimenti industriali nella zona crotonese: l’Ammonia Meridionale (uno stabilimento chimico) e la Pertusola (che si occupava del settore metallurgico). Campennì ci mostra come la situazione salariale a Crotone, agli inizi del Novecento, fosse assai diversa rispetto al resto d’Europa: nella città ionica, infatti, gran parte degli operai salariati vivevano di agricoltura, abitavano nelle campagne o nei borghi rurali e spesso parte del salario veniva corrisposto in natura. È evidente, dunque, che Crotone, così come il resto del sud Italia, non abbia conosciuto tutte le fasi di sviluppo dell’era industriale che invece si erano formate in altri paesi del continente. In ogni caso, né operai né contadini riescono in questo territorio ad accumulare denaro a sufficienza per vivere una vita al di sopra della mera sussistenza, obbligando così intere masse a vivere ai margini della società. Il lavoro è poco e, anche quando è abbastanza, le paghe sono misere a causa del gran numero di persone bisognose che accettano volentieri uno stipendio da fame pur di portare a casa qualcosa.
Campennì all’interno del suo saggio non cita solamente grandi pensatori quali Marx, Castel e altri ancora, ma dà anche voce ai protagonisti dell’epoca attraverso le testimonianze riportate. Naturalmente le condizioni del lavoratore all’interno delle nuove fabbriche erano semplicemente disastrose: non vi erano gli attrezzi adeguati, spesso il lavoro era troppo pesante e le condizioni salutari non erano delle migliori o non venivano nemmeno considerate. Oltre a tutto questo non dobbiamo dimenticare la totale assenza di diritti sindacali di cui poter usufruire. La massa operaia cittadina era costretta a vivere in camere anguste da dividere con l’intero nucleo familiare, ma potevano ancora dirsi fortunati poiché gli operai provenienti dal di fuori della città erano ammassati in vere e proprie baracche. Il rapporto tra città e operai inizierà a cambiare con gli anni Sessanta in cui le prime lotte di classe faranno crescere la stima della prima nei confronti dei secondi.
La repressione operaia
L’azienda, a questo punto, vedendo gli operai lottare per i propri diritti iniziò una vera e propria opera repressiva. «Un altro aspetto che esprimeva la necessità di un forte controllo sui lavoratori è rappresentato dal rigido regime di disciplina che vigeva all’interno dello stabilimento. Esso assolveva al duplice scopo di tenere tutti i lavoratori in una condizione di timore costante verso le conseguenze di eventuali atti contro il regolamento di fabbrica, consentendo allo stesso tempo di colpire gli operai più politicizzati non appena questi avessero commesso anche la più piccola inosservanza» così afferma Campennì per farci comprendere il clima di terrore che all’interno delle fabbriche avevano messo in atto i padroni per impedire agli sfruttati di uscire dalla loro condizione miserevole. La nuova consapevolezza all’interno della classe operaia non fa di certo diminuire gli scioperi anzi, consci che i benefici della lotta sarebbero ricaduti anche su tutti coloro che si rifiutavano di attivarsi, ecco che gli operai più combattivi decisero che la lotta dovesse essere collettiva, anche con qualche costrizione in caso di necessità. «Le libertà non si concedono, si prendono» diceva il filosofo Pëtr Alekseevič Kropotkin all’interno del suo libro Parole di un ribelle, ed è quello che in fondo ha fatto la classe operaia italiana nel corso degli anni Sessanta. La fase operaia, però, soprattutto al sud, si consumerà in tempi brevissimi. Altre classi si interesseranno delle lotte portate avanti dagli operai poiché esse fanno emergere il bisogno di diritti maggiori per tutti gli strati sociali, specialmente quelli più bassi. Alla fine delle lotte salariali si ha quasi un capovolgimento della situazione: ora l’operaio diventa un individuo invidiato dai più poiché ha la paga garantita e stabile nel corso del tempo.
Il tutto, purtroppo o per fortuna, ha visto la propria fine agli inizi anni Novanta quando le fabbriche di Crotone, che da troppo tempo richiedevano aggiornamenti, furono trascurate e abbandonate dai loro stessi proprietari. Si è chiusa così una lunga parentesi della storia dell’industria crotonese che ha visto, nel bene e nel male, non solo il cambiamento nel corso degli anni della situazione economica di un territorio, ma che ha anche avuto influssi importanti sul cambiamento sociale e culturale di un ambiente troppo spesso martoriato da una politica inadatta a creare situazioni migliori per i sostrati più deboli della città. A Campennì bisogna dare il merito di aver descritto con estrema cura lo svilupparsi di questa vicenda nel corso dei decenni in un saggio che raccoglie informazioni ufficiali, fonti storiche e anche interviste dei protagonisti di questo lungo e tortuoso periodo.
Rosita Mazzei
(www.bottegascriptamanent.it, anno XIV, n. 154, luglio 2020)
Letizia Lamorea, Ilenia Marrapodi, Rosita Mazzei, Maria Chiara Paone