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A. XIV, n. 148, gennaio 2020
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Home Page (a cura di La Redazione) . A. XIV, n. 148, gennaio 2020

Zoom immagine Una passeggiata molto insolita
tra versi, pensieri e anime amate

di Renato Minore
La nuova silloge di Paolo Parrini, edita La Vita Felice.
Una raccolta che si giova di una magistrale Prefazione


Paolo Parrini continua a deliziarci con la sua poesia, racchiusa nella nuova silloge Oltre il buio della notte (La Vita Felice, pp. 132, € 14,00). L’opera, che fa parte della “Scuderia letteraria” di Bottega editoriale, è arricchita da una Prefazione redatta dal grande critico letterario Renato Minore, che vi presentiamo qui in anteprima, allo scopo di donarvi una chiave di lettura e, perché no, una motivazione a leggere tali composizioni poetiche.

«L’anima cerco/la mia, la tua/e le camminate sui sassi/sui candidi picchi/ove lasciammo gli occhi/in un’altra vita».
“Cammina” spesso Paolo Parrini in questa nuova raccolta Oltre il buio della notte. Il suo passo è ben riconoscibile sia quando lancia la sua ungarettiana invocazione: «Lasciatemi qui/sul ciglio della strada/ad aspettare una carezza/chiuso in una coperta spessa/mentre la carrozza va/e scalpitano i cavalli/e tace il mormorio del vento» sia quando il suo sguardo in movimento fissa i paesaggi più amati e sente incombere la tagliola del tempo che polverizza ogni cosa: «[...] guardo la tua salita/ [...] che s’inerpica lassù/ come un grido al cielo/ oltre quell’arco/ [...] la malinconia/ mi piange il morire delle cose/ e il buio della sera copre anche/ la lacrima improvvisa».
Non so se davvero nella vita Parrini sia un solerte o casuale camminatore, ma certo il suo sguardo nel verso ha il passo e il tempo di una salutare camminata che attraversa i luoghi della memoria che gli appartiene e che si deposita per lente benefiche/dolorose sedimentazioni.
«Dentro gli armadi/abiti dimenticati aspettano/sono come sillabe senza memoria/voci trattenute e odori di vita».
Parrini, è il caso di dirlo subito, si dimostra un camminatore nel verso, esperto in itinerari che possono essere quelli delle Sfumature d’amore e dei Volti dell’amore, le prime due sezioni assai compatte nel declinare un sentimento emozionato che miscela il lutto della perdita con l’illuminazione forte del possesso, della fusione vagheggiata o sfumata nel sogno/ricordo: «Voglio essere il tuo sorriso più vero/la lacrima che scende/il braccio che accoglie ogni tua caduta».
Camminare per lui è diventato quasi un gesto sovversivo e non gli serve essere un atleta professionista, aver scalato l’Everest o raggiunto il Polo Nord. «Solo i pensieri avuti camminando hanno valore» scrive Nietzsche.
«Il mio cammino iniziò/ sopra un ponte luminoso/ la mano di nonna nella mia. [...] Non sapevo che quel cammino/ era la vera felicità» sembra fargli eco Parrini alle prese con il fulminante ricordo di un’infanzia felice.
La passeggiata si presenta come pensiero, legame essenziale tra il camminare e il movimento del pensiero, restare seduti il meno possibile, non concedere alcuna fede a un pensiero che non sia nato all’aria aperta e accompagnato da movimenti liberi. Sottrarsi alla tirannia della velocità attraverso il lento spostarsi del piede (del verso) che insegue il suo elenco fragile e disperato di sogni e di paure sul filo imperscrutabile di qualcosa che si è perduto, che aleggia come oggetto del desiderio nel gioco degli sguardi, il linguaggio dei corpi, il richiamo delle voci, gli incantesimi dell’innamoramento. Ma si presenta anche con la voce del rimpianto quando esso si fissa nelle immagini di figure scomparse, indelebili nel ricordo, sospese in un conclusivo fermoimmagine.
«Come rami che pendono/sulle acque d’un fiume che scorre/così trascorre la nostra ora,/si sfoglia piano il ricordo/resta il sordo richiamo del nulla».
Come in una nuova, minima, familiare Spoon River da percorrere ancora una volta cercando in ogni volto un gesto, una parola, un segno che sappia ancora attraversare “il muro d’ombra”. Come «gli occhi oltre la notte/ luci accese» della nonna; o dell’amico Giovanni «occhi profondi/ occhi senza fondo/ ove mi persi, come in uno specchio»; o l’amata madre «[...] mancanza/ dimenticanza d’un respiro/ fragranza di pelle ancestrale». Al centro di una riflessione sul distacco e la perdita, sul senso effimero dell’esserci, sul rapporto stringente tra la luttuosa ripetizione e la folgorante negatività del destino compiuto, del tempo bruciato, via al bivio tra il ricordo, anche luminoso e inatteso, e la memoria oscura e annichilente: «Vorrei sconfiggere la morte/aggrappato al volo delle rondini/farti conoscere i miei voli/e le cadute/poi spegnere il dolore/con dolcezza/e dentro il gelo d’un mattino/venirti a cercare una volta ancora».
La storia di chi non c’è più si è fatta limpida e misteriosa, le voci transitano come pezzi di un dialogo che viene da lontano, dall’inesprimibile e lì tornano dopo una sua breve apparizione, i transiti sono fuggevoli e contemplati come le immagini intraviste attraverso un vetro in un mondo appannato “purgatoriale” sempre in attesa di una voce che – come viene detta – si sfuma e si allontana e poi torna, lasciando la porta appena socchiusa per una qualche promessa cui ancora si sforza di credere «un bimbo dal gioco accaldato».
Scrive un grande poeta, Natan Zach: la Poesia «chiarisce il Oltre il buio della notte già chiarito, ordina cose ordinate, dirlo altrimenti è difficile se non impossibile». Dirlo altrimenti è difficile, se non impossibile.
Con la sua passeggiata in versi aspettando «un raggio del sole a lenire mancanze», Parrini trova una voce sommessa, distesa e sussurrante, quasi un sottovoce continuo e insistente che fa da controcanto al fluire nel suo verso di sentimenti d’amore e perdita, malinconia e solitudine. È la voce giusta che egli sembra continuamente resettare fino a passare alle due sezioni finali di Rimembranze ed Emozioni e sentimenti alla pronunzia più gnomica e talora anche con un fondo di allusività predicatoria, per dirci con parole che gli appartengono «che oltre a questo oggi/fatto di neve caduta e di arbusti/spezzati, resti un altrove, un luogo nuovo/ove riconoscersi diversi, ove l’abbraccio/sia miele e il fiele della vita/svanisca nella lacrima calda/che è vita e speranza».

Renato Minore

(www.bottegascriptamanent.it, anno XIV, n. 148, gennaio 2020)

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