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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Storia del Sud
che ha voglia
di lottare
di Maria Chiara Paone
Per Castelvecchi editore
un romanzo di Tonino Perna,
raccontato tramite inventario
Scrivere di ciò che ci conosce è la prima linea guida che uno scrittore, o aspirante tale, decide di seguire quando ha intenzione di inoltrarsi nell’universo libro e non potrebbe essere più vera; è difficile non andare incontro ad incongruenze o veri e propri errori senza un’adeguata conoscenza della materia di cui si vuole parlare.
Quindi si può pensare che chi scrive di Storia abbia un “aiuto” in più, interessandosi ad eventi che tutti conoscono, ma non è sempre così. Ognuno ha il suo modo di vederla e raccontarla, soprattutto quando si interseca al proprio vissuto personale, eliminando quindi un fattore asettico e obiettivo e aggiungendo quindi i sentimenti.
È il caso di Con beneficio d’inventario, il nuovo romanzo di Tonino Perna, docente universitario (Castelvecchi editore, pp. 138, € 17,50), di cui qui esamineremo solo i punti principali, al fine di non privare nessuno della lettura.
Un triste evento
«Non c’è stato tempo per capire, per rendersi conto di quello che succedeva, di accettare che un dialogo così difficile si interrompesse. Quante cose avrei dovuto ancora discutere con lui […]. Ma c’erano gli operai della sua fabbrica e poi i creditori e poi tutta la gente che chiedeva questo e quello, senza lasciarti il diritto al silenzio. Infine arrivò l’avvocato di famiglia e disse: “Qui bisogna fare un inventario, al più presto”».
Facendo proprio il concetto di raccontare la Storia mediante la sua e quella della sua famiglia, l’autore utilizza come miccia iniziatrice un evento assolutamente personale; la morte del padre che, oltre a sconvolgere e sconcertare gli animi, porta uno scompiglio ulteriore nel figlio quando scopre che ci si deve occupare di tutto ciò che di materiale ed economico l’estinto ha lasciato dietro di sé, ad esempio l’azienda familiare di munizioni da caccia.
Così inizia un lungo viaggio, scavando a fondo nelle stanze della casa della sua infanzia e della memoria, alla ricerca di motivazioni che avrebbero portato l’azienda allo stato di decadenza attuale; ma si ripercorrerà molto di più.
Questa non è una madeleine: lo stream of consciousness
«Prendo in mano uno scatolone di fotografie. Tutte in bianco e nero. Con un odore forte che non ricordavo più. Foto preziose come erano un tempo prima che fossero digitalizzate, riproducibili, modificabili, puro flusso di bit senza più corpo né anima».
Utilizzando la tecnica dell’elencazione, in linea con il “pretesto” originario, l’autore passa in maniera scorrevole da un argomento all’altro, raccontando episodi della sua infanzia e adolescenza o di quella dei suoi familiari senza affidarsi ad una linea cronologica di riferimento. Ogni oggetto, gioco o fotografia, persino una confezione di medicine proveniente dalla Jugoslavia, può suscitare un ricordo e quindi un’emozione, affidandosi allo stile di rievocazione che fu caro a Joyce e Proust.
L’impegno politico
«E noi a soli venti anni, senza volerlo, entrammo a piedi nudi in una storia più grande di noi, che ha lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva di questa città, e non solo. Eravamo impreparati, come spesso capita nella vita, di fronte ad eventi imprevedibili che ci stavano travolgendo: l’ultima grande rivolta popolare del Sud e la prima guerriglia su basi identitarie che vent’anni dopo avrebbe portato a ben altre tragedie».
Tuttavia la materia trattata non è solo un resoconto tardivo e amarcord di storie infantili: la componente politica è presente a gran voce e riporta una testimonianza puntuale, e in certi casi anche un po’ “colorita”, dell’atmosfera che dilagava nella Calabria degli anni Sessanta-Settanta; tra giovani che esprimevano le loro opinioni su conflitti e pacifismo – con la guerra in Vietnam che imperversava – e che volevano mostrare il loro impegno non solo a parole ma con i fatti, come mostrano i moti avvenuti a Reggio per far diventare la città capoluogo, oppure il misterioso incidente che riguardò i cosiddetti “cinque anarchici del Sud”.
Risalta la continua differenza tra Nord e Sud della nazione anche tramite episodi della vita quotidiana, forse meno incisivi ma comunque significativi; dalla ricerca di una cabina telefonica funzionante e non vandalizzata, agli sforzi continui di creare cultura in un luogo che per anni ne è stata la prima culla, senza però essere apprezzati, come avviene al protagonista quando ideò un circolo scacchistico: «Un quotidiano locale riportò la notizia: “Mentre i giovani contestano il sistema nella nostra città si organizzano per giocare a scacchi”. Fu un colpo al cuore. Avevo creato questo Circolo degli Scacchi, non solo per seguire una mia passione, ma anche per creare un luogo di incontro tra giovani, un luogo di socializzazione e discussione in una città che non offriva nessun punto di ritrovo che non fosse il biliardo ed il ping pong da Don Carmelo».
Il mare, alleato e nemico
Un altro grande protagonista della storia è certamente lo Stretto che separa la Calabria dalla Sicilia, quella striscia di mare che sembra essere piccola e infinitesimale ma al contempo nasconde milioni di insidie.
Lo si vede ad esempio nel pezzo della Lupa, una sorta di tempesta così forte che impedì il traghettamento e di conseguenza il matrimonio della nonna dell’autore. Così viene descritta: « Era inutile chiedere ai ferrovieri quando pensavano che potesse partire la prima nave per Messina. La risposta era sempre la stessa: quando Dio vorrà.
Gli sguardi erano rivolti tutti verso il mare che era evaporato. Man mano che avanzava la Lupa scomparivano a bassa quota anche le case, e persino le persone andavano in dissolvenza. La realtà conosciuta svaniva per cedere al suo posto ad un mondo sfocato, da sogno, e per qualcuno da incubo […] non c’erano più certezze: la lupa si vede quando arriva, ma non si sa quando se ne va». Un’incertezza legata al mondo della natura che lo stesso autore sperimenta nella sua vita adulta, quando dovrà fare la spola tra Reggio e Messina; un appuntamento certo condizionato dai fenomeni atmosferici, ma che a lungo andare diventa parte della propria identità, inscindibile anche quando quell’appuntamento non ha più ragione di esistere, perché certe abitudini, come mostra sempre Perna, sono dure da far morire: «quando sei seduto sull’aliscafo è tutto diverso. Non sai niente del mare che attraversi. Finisci per non guardarlo più. Ma è lui che ti guarda con insistenza e quando meno te lo aspetti ti entra dentro. Non ne puoi fare più a meno».
La speranza è l’ultima a morire?
Così ci ritroviamo catapultati in un caleidoscopio di emozioni, dalla paura di essere catturati dalla polizia per una contestazione alla gioia per il primo paio di jeans, all’euforia delle vacanze con gli amici al fervore della lotta politica.
L’autore riesce a rappresentare tutto questo in modo molto capace; cambia ambientazione e voce a seconda dell’occasione, interpretandole in maniera personale e utilizzando ad hoc la giusta veste grafica, come il testo teatrale, il comunicato stampa e il verbale di un’udienza.
Nonostante le premesse e gli eventi non siano sempre dei più rosei, l’autore non si fa abbattere e racconta sempre con grande fervore una storia per lui estremamente personale, che può divenire la storia di tutti quelli che si sentono divisi tra l’amore per la propria terra e l’amarezza di vederla abbandonata a se stessa.
Maria Chiara Paone
(www.bottegascriptamanent.it, anno XIII, n. 146, novembre 2019)