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A. XIII, n. 139, aprile 2019
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Civiltà letteraria (a cura di La Redazione) . A. XIII, n. 139, aprile 2019

La libertà falsa
e l’arte sogno:
non nel regime

di Giuseppe Chielli
Nadia Crucitti narra la storia
di Veit Harlan e del suo film.
Per Città del sole edizioni


Accettare tutto pur di sopravvivere, credersi liberi quando si è influenzati. L’uomo in verità è poco e niente autonomo, ma è condizionato da un qualcosa di più forte di lui. Una persona, per il proprio tornaconto, può vivere quanto vuole nell’indifferenza di quello che lo circonda, ma pima o poi soccomberà alla legge del più forte, volens aut nolens, direbbero i Romani.

L’amore per le manifestazioni roboanti naziste
Su questa chiave di lettura, almeno in parte, può essere letto Berlino 1940. La convocazione (Città del Sole, pp. 256, € 11,90) di Nadia Crucitti, scrittrice e critica laureata in materie letterarie, con una forte passione per la storia, come dimostrano le sue pubblicazioni per la rivista Historica.
Il romanzo narra la vita del grande regista Veit Harlan e del suo film Jud Süss, famoso per la sua propaganda antisemita. La particolarità è che Veit non era contro gli ebrei in modo così estremista, ma il suo utopico ideale di grande nazione – che non tiene in considerazione l’andamento della storia, l’amore per le scene altisonanti e roboanti, e la maestosità delle adunate naziste (come quelle dei roghi dei libri proibiti) – lo portano a seguire, in maniera più o meno collaterale, gli ideali del nazismo. Egli stesso, sebbene non si dichiarasse pienamente nazista, entrò nelle grazie del regime di Hitler, di cui fu costretto a tenere conto.

Le donne di Veit: Hilde e le sue opposte visioni
Veit Harlan faceva la vita tipica di molti artisti. Amava frequentare locali tutta la notte, bere, e soprattutto amava le belle donne. Ebbe molte relazioni e alle spalle ben tre matrimoni, con Dora, Hilde e Kristina. Di questi legami, molto importanti per la vita del regista, ne parla molto la Crucitti nel testo.
Per esempio di Hilde Kölber, una attrice di discreto livello, e dipinta come una personalità docile. Tuttavia sulla politica e su quello che stava accadendo in Germania negli anni Trenta e Quaranta aveva una posizione molto distante da quella del regista. Veit affermava che i roghi dei libri, i soprusi contro i comunisti e soprattutto gli ebrei erano solo frutto di un periodo di transizione affinché si consolidasse un potere da poco insediatosi. Hilde invece sosteneva che la Germania stava sempre più andando alla deriva verso un regime tirannico e pericoloso per tutti. Molti artisti, intellettuali, medici, temendo il peggio, abbandonarono la Germania, come il suo amico regista Walter Ruttann, ma egli credette che tutti si stessero preoccupando eccessivamente per la situazione. Su questo tema ci furono molti scontri, appunto, con la seconda moglie.
Nel romanzo, corredato di un eccellente lavoro di ricerca e con una ricca bibliografia alle spalle, sono riportati in maniera più o meno verosimile alcuni di questi dialoghi. In uno degli ultimi momenti prima della separazione tra i due coniugi, Hilde disse: «[…] Ma, Veit, ti rendi conto che quelle famose leggi che hanno abolito le libertà civili continuano a esistere? E perché, se di comunisti non se ne vedono più? E la persecuzione contro gli ebrei continua […] pura e semplice persecuzione razziale, che non è stata affatto temporanea come sostenevi tu». A queste parole, Harlan rispose dimostrando tutta la sua indole di uomo freddo e indifferente che pur di sopravvivere e far carriera, ostentava una cinica indifferenza su molte cose.
Egli infatti così replicò: «È vero, me ne dispiace, e la trovo terribilmente ingiusta. Ma che cosa vuoi da me? Vuoi che mi suicidi urlando sulla pubblica piazza che non sono d’accordo? Vuoi che esprima a Hitler e a Goebbels il mio disappunto per come stanno trattando gli ebrei? […] l’unica speranza è che cambino idea sugli ebrei e che li lascino vivere in pace».

Due persone affini: il matrimonio con Kristina e Jud Süss
Hilde e Harlan divorziarono perché, in un rapporto ormai logoro tra i due, si aggiunse l’amore che il regista provava per la sensuale attrice svedese Kristina Sörderbaum, protagonista del film Giovinezza, uno dei più grandi capolavori dell’artista.
Con l’attrice svedese si generò non solo una grande attrazione fisica, ma anche intellettuale e lavorativa. Fu lei a trovarsi al fianco di Veit quando Goebbels gli impone, pena l’accusa per sovversione, la realizzazione del film Jud Süss, che ispirerà molto le campagne antisemite che seguiranno. Il film è tratto da un romanzo di Feuchtwanger, scrittore ebreo, e ha come protagonista Süss Oppenhaimer. Costui era un uomo d’affari, ebreo da parte di madre, che divenne ministro delle finanze del duca di Würtemberg Karl Alexander. Da ministro delle finanze, impose anche molte tasse che vessarono il popolo tedesco. Dopo la morte del duca nel 1737, fu arrestato e impiccato nel 1738. Fu un film talmente ben realizzato da essere considerato un capolavoro e modello per le prossime campagne: ma fece ben altro.

Il ravvedimento delle proprie posizioni
Solo allora il regista capirà quanto errate fossero le sue posizioni, e quanto folle, disumano e tirannico fosse il regime nazista. Prima del film, il regista cerca di rifiutarsi con qualsiasi tipo di scusa ma, alla fine, come tutti gli attori selezionati, è obbligato a farlo. Come dimostra un dialogo che Kristina ebbe con Harlan prima di un incontro con Goebbels: «se vuoi rifiutare, non so davvero che cosa potrai inventarti. Non credo che a Goebbels si possa dire un semplice grazie, sono onorato della sua scelta, però non sono d’accordo […] È da quando sono uscito dalla stanza di Goebbels che ci penso senza trovare una soluzione che non mi veda completamente rovinato. Se giro questo film diventerò anch’io un semplice regista di propaganda, e in più non mi va l’idea di fare un film contro gli ebrei; se rifiuto non credo che Goebbels mi metterà davvero a morte, ma di sicuro mi spedirà in un campo di lavoro […]». Diversamente si era comportato il suo amico regista Walter che, temendo future ripercussioni per lui e per sua moglie ebrea, lasciò Berlino per andare a vivere a Parigi. Una grande amicizia che, nonostante sia destinata a sfilacciarsi per la distanza, sarà sempre importante per la vita di Veit.

Le false illusioni
Questo libro ci lascia intendere come la libertà sia solo un’illusione scenica, in fondo, e come noi tutti siamo il frutto di un condizionamento. A tal proposito notevole è una frase della Crocitti: «Perché davvero la vita inganna, la vita promette e si ritrae, la vita ti fa credere d’essere il padrone che traccia il sentiero mentre non sei altro che un insieme di passi che vanno».
Un libro fatto per riflettere e capire, anche per il mondo attuale, a cui queste riflessioni sembrano riferirsi.

Giuseppe Chielli

(www.bottegascriptamanent.it, anno XIII, n. 139, aprile 2019)

Collaboratori di redazione:
Veronica Lombardi, Antonella Napoli, Maria Chiara Paone
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