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A. XIII, n. 136, gennaio 2019
Un uomo sospeso tra la sanità
e la follia a causa della guerra
di Maria Chiara Paone
Gabriella Silvia Spadoni, per Apollo edizioni, narra di Ethan Moore
e delle sue avventure come psichiatra nel Giappone post bellico
La Storia, attraverso il suo flusso continuo e infinito, carico di eventi, può portare ai più disparati momenti di riflessione e interpretazione; momenti che spesso riguardano, e in maggior misura, gli episodi meno lieti ma su cui molto c’è, sia da dire sia da trarre ispirazione.
Questo è quello che succede ne Il soldato fantasma (Apollo edizioni, pp. 304, € 12, 00) un romanzo in cui l’autrice, Gabriella Silvia Spadoni, crea una gradevole commistione tra la grande Storia – nel Giappone del secondo dopoguerra, una decina di anni dopo lo sgancio delle bombe su Nagasaki e Hiroshima – e quella “piccola”, nella quale uomini e donne comuni si ritrovano in balìa di situazioni e circostanze molto più grandi di loro ma, nonostante tutto, tentando di sconfiggere tutti, anche i propri demoni.
Tra passato e presente
A introdurre la storia incontriamo Ethan Moore, un chirurgo che, dopo la traumatica esperienza della guerra – e, soprattutto, dell’attacco a Pearl Harbor – decide di rinunciare letteralmente ai ferri del suo mestiere per diventare psichiatra, dedicandosi alla cura della mente che diventerà da quel momento la propria missione. Sarà la sua professione a portarlo in Giappone con lo scopo di intervenire direttamente su Harakiri Ryo, un giovane soldato giapponese che dalla fine della guerra non si è più ripreso, riportando un immenso trauma psicologico che lo costringe, giorno per giorno, a manie di persecuzione verso sedicenti infiltrati e a rivivere dolorosamente il suo passato.
Quanta ragione si nasconde dietro la sua follia? E soprattutto, quanto ci sarà di vero nei suoi ricordi? Inizia così il percorso di Moore e Ryo che, accompagnati dalla bella Aika, lo strafottente Raman e l’enigmatico Kaito – insieme a molti altri personaggi – si ritroveranno a dover temere per la propria incolumità, a causa di molteplici attacchi provenienti da più fronti causati soprattutto dal risentimento e dal desiderio di vendetta che si insinuano nel delicato equilibrio tra Oriente e Occidente.
Fondamentale è l’importanza che viene data al passato e a quanto influenzi e incida sulle scelte future: partendo dalla codardia di Moore verso il passato sanguinoso di Raman fino al traumatizzato Ryo, tutti vivono con un bagaglio personale che ha conseguenze non trascurabili sulle loro vite e sarà loro la scelta di quando e come affrontarlo.
I rapporti familiari
Centrale nel romanzo anche l’approfondimento delle relazioni tra i vari personaggi: dall’attrazione di Ethan e Aika, al rapporto di amicizia tra Ryo e il suo migliore amico morto in guerra Shiro, quello di strana subordinazione tra il giovane soldato e il suo spietato comandante Okami…
Tra questi rapporti, evidenziati con estrema attenzione e importanza, spiccano quelli dettati dal sangue, soprattutto tra fratelli: vi è il rapporto simbiotico e adorato tra Raman e il suo gemello, separati da circostanze tragiche, così uniti e simili «da apparire l’uno il prolungamento dell’altro. Erano identici perfino nelle simmetrie: il loro braccio più lungo corrispondeva, così come la gamba più lunga, la sezione del capo più folta di capelli. […] Avevano gli stessi amici perché non sopportavano l’idea di dover frequentare compagnie diverse»; ma anche quello diametralmente opposto di Dalia ed Eva – appartenenti a un’organizzazione americana – anche loro gemelle ma divise dall’invidia e dagli equivoci che la vita e le relazioni umane possono creare, come evidenzia la prima alla seconda: «“Ho sempre cercato di raggiungerti. Eri come la perfezione, per me, un modello da seguire. Cercavo di far incastrare le suole delle mie scarpe nelle orme che tu lasciavi, ma tu eri sempre così veloce. Sempre più veloce e sempre più piccola”».
La soggettività dell’armonia
Ovviamente protagonista fuoricampo è la guerra con le sue terribili conseguenze, visibili nelle difficoltà quotidiane dei vari personaggi che si sono ritrovati controvoglia in un conflitto più grande di loro.
Ma le reazioni a tale atrocità non sono state unanimi: se da un lato vi sono stati paura e disgusto, dall’altro troviamo invece chi dalla guerra ha tratto forza, addirittura piacere, vedendola come strumento per raggiungere i propri loschi obiettivi. In questo modo è tratteggiato il personaggio del comandante Okami, dai pensieri così privi di scrupoli da provocare turbamento nel lettore: «Come poteva trovarsi lì, un uomo del genere? Come poteva davvero non amare la guerra? Non sentire il bisogno di diventare qualcuno? Gli uomini senza ambizione, senza un minimo di amor proprio e di orgoglio Okami non riusciva a sopportarli. Li avrebbe messi in fila, uno accanto all’altro e li avrebbe fucilati a sangue freddo».
Lo stile
Ci troviamo quindi di fronte a un romanzo che, a discapito della lunghezza e dei tanti personaggi, riesce a farsi strada tramite l’intreccio, tenuto sapientemente insieme da una scrittura chiara e lineare, che sembra prendere vita dalla carta per accompagnare il lettore, pagina dopo pagina.
La presenza di elementi tipicamente giapponesi, come gli onorifici utilizzati nei dialoghi e la doppia titolazione dei capitoli in italiano e nei corrispettivi ideogrammi, permettono la totale immersione nell’opera, adatta al contempo a intrattenere e riflettere.
Maria Chiara Paone
(www.bottegascriptamanent.it, anno XIII, n. 136, gennaio 2019)
Teresa Elia, Ilenia Marrapodi, Maria Chiara Paone