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Anno II, n° 8 - Aprile 2008
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno II, n° 8 - Aprile 2008

Zoom immagine Il filo che lega
amore e follia,
realtà e sogno

di Annalice Furfari
Nel libro di Edizioni di latta,
una passione travolgente
che sconfigge ogni tempo


Una storia d’amore e passione giocata tra passato e presente, realtà e fantasia. Questo è il filo conduttore che muove l’intero romanzo di Marco Pellegrini, dal titolo enigmatico: Il veleno di Capri – Diario intimo di un nobile decaduto (Edizioni di latta, pp. 228, € 13,00). mIl protagonista è Lucien de Rubemprè, un ex pianista che lavora a Milano come creativo freelance, ideatore di programmi di intrattenimento per Canale 96, la televisione dell’affarista milionario Cordero. La sua esistenza muta radicalmente quando incontra Liza, la nuova direttrice delle trasmissioni di entertainment della stessa tv. Tra i due sboccerà ben presto un sentimento ardente, focoso, ma anche masochistico e autodistruttivo: una passione destinata a non essere coronata, in quanto le ore piacevoli trascorse insieme verranno scalfite da tristi e inquietanti ricordi. Infatti, Lucien è convinto di avere già conosciuto e amato Liza in un’altra vita, più precisamente nel lontano 1903, quando era un ricco ed elegante marchese di Capri che conduceva la sua esistenza tra feste mondane affollate dalla migliore nobiltà, sollazzi a base di oppio, passione per l’arte e soprattutto per la musica del suo pianoforte. A quel tempo la vita era molto diversa da quella odierna, più sofisticata, raffinata, densa di piaceri e priva delle affannose preoccupazioni materiali che angosciano l’uomo nel presente (almeno nell’ambito del ceto sociale frequentato dal nostro nobile, poi decaduto). Lucien guarda a quei giorni capresi, ormai svaniti, con un velo di malinconia mista a rimpianto, al pensiero dei salotti sfarzosi, delle conversazioni colte e interessanti, degli incontri galanti, dei sospiri gaudenti delle donne, stregate dal suo noto «tocco afrodisiaco». Tuttavia, la suggestiva isola campana ha lasciato in lui anche ricordi dolorosi: infatti, la breve ed intensa storia d’amore con Liza viene interrotta bruscamente dalla folle gelosia della fanciulla che la porta a compiere un gesto estremo di cieca e disperata ribellione. Lo struggente ed secondo incontro con la donna e con il suo inebriante «profumo al gelsomino» fa riaffiorare alla mente di Lucien frammenti di questa vita trascorsa, che aveva dimenticato e che inizia a scompigliare la sua quotidianità, creando contrasti continui ed irrisolti con Liza, la quale fa fatica ad accettare le reminiscenze del passato. Tanto più che il loro amore è ostacolato dalla presenza di Cordero, il proprietario di Canale 96, ostinato a sposare la ragazza, da esibire come un trofeo per la sua bellezza, giovinezza ed eleganza. Lei, a sua volta, si mostra accondiscendente alle avances del presuntuoso milionario, combattuta tra il sentimento autentico che prova nei confronti di Lucien e l’ambizione di fare carriera in modo facile e veloce. Tale situazione, vissuta giorno dopo giorno a lavoro, fa impazzire di gelosia il nostro protagonista, furente per gli atteggiamenti esibizionistici ed arroganti di Cordero, sicuro di avere la meglio sul giovane squattrinato. Ma la vita riserverà loro incredibili ed inaspettate sorprese.

 

Dal passato al presente, tra realtà e fantasia

La narrazione viene condotta su due piani temporali differenti: quello dell’isola di Capri ai primi del Novecento e quello della Milano contemporanea. Il passaggio da una dimensione all’altra è realizzato abilmente dallo scrittore, il quale impiega l’espediente della stesura di un diario ad opera del marchese de Rubemprè, inframmezzato ai racconti attuali del giovane Lucien. Ricordi lontani e vita reale si intersecano, invece, durante le sedute di psicoterapia, che impegnano l’uomo nel tentativo di comprendere se quell’esistenza passata è esistita davvero o se si tratta semplicemente del frutto della sua fantasia, del suo delirio onirico, dei suoi desideri inconsci, irrealizzati, repressi e frustrati (come afferma la sua psicologa, l’affascinante dottoressa Esther).

I personaggi sono tutti ben caratterizzati ed estremamente vari e sfaccettati, sempre sospesi tra presente e passato, sogno e realtà. Troviamo il conte Jacques d’Aderswald Fersen, un gaudente nobile caprese, dedito alla passione per ogni genere di droga e a quella omosessuale per i fanciulli, desideroso di «assomigliare ad un patrizio romano» negli eccessi, nella raffinatezza e nei vizi lussuosi e lussuriosi, spesso in preda a «turbe nervose» e a «malinconie suicide». Celeberrime le sue feste mondane e soprattutto la sua «dimora estetizzante», “Villa Lysis”, teatro suggestivo del romanzo, «un’icona simbolista, un tempio pagano affacciato sul mare, dall’ingresso neoclassico, i marmi di Carrara, le colonne di mosaico d’oro, che sostenevano l’epigrafe latina: “AMORI ET DOLORI SACRUM”», leggiamo nel testo. Poi vi è la duchessa Silvia Harden Vlad, donna voluttuosa, pittoresca, sempre accompagnata dal pitone Mansur (regalatole dal suo amante Gabriele D’Annunzio!), «sfoggiato al collo come un collare di perle ed esibito con perfetta noncuranza». Silvia, lasciva e lussuriosa, ha diversi partner, ma nutre un affetto e una passione particolari per l’affascinante Lucien e per il suo tocco raffinato di pianista. Vi è anche il dottor Axel Munte, amico e medico del marchese, dispensatore di medicine e buoni consigli. Jasmine è la danzatrice del ventre diciannovenne che strega de Rubemprè con i suoi occhi verde smeraldo e la sua innocenza sensuale. Lady Swan è una «bella londinese», colta, disinvolta e appassionata di musica.

Nella Milano contemporanea troviamo Telluri, aiuto regista di Canale 96 e amico del protagonista, uomo debole e sottomesso irrimediabilmente dalla moglie Flavia, giornalista di un settimanale di moda, donna impudica, provocante ed aggressiva, che sfida continuamente il marito a suon di tradimenti lampanti e plateali. Poi vi è Cordero, il tipico ignorante arricchito, volgare, pieno di sé e borioso. Esther è la psicologa cultrice delle teorie freudiane, dalla «voce leggermente roca e gli occhi neri dietro gli occhiali», dal fascino intellettuale e la cui professionalità, composta e controllata, viene scalfita dalla passione proibita per il contorto Lucien. Eva è la studentessa universitaria polacca, stagista di Canale 96, «alta, magra, inquieta e molto bella». Ardesia è la cameriera di una locanda alpina, giovane donna semplice, povera e ignorante, ma innocente e adorante. Vi è anche Rossi Cavalieri, il proprietario della casa discografica Music ’63, «un guru settantacinquenne dall’aria saggia, un magnate giusto e buono». Danny è il musicista rockettaro, «un bestione d’un metro e novanta, con la mascella da surfer australiano», che ambisce a scalare le vette delle classifiche musicali, impersonando uno pseudomarchese de Sade canterino. Mercedes Lopez è l’affettuosa e devota infermiera ispanica. Infine, vi è la segretaria che «viene da un paesino dell’hinterland milanese», la quale sogna di fare la velina e di sposare un uomo ricco che le regali macchine costose.

 

Liza, le donne e l’amore

A legare indissolubilmente passato e presente vi è, ovviamente, Liza, la donna «elegante, fine, con gli occhi da lince azzurra, la carnagione chiara, diafana, le labbra ben disegnate, l’aria felice, quasi sognante». Lucien è irrimediabilmente affascinato dalla sua volontà di «dare di sé un’immagine futurista, emancipata», dalle sue oscillazioni tra la sicurezza e la testardaggine, da un lato, e la timidezza, la dolcezza, il candore, la paura di non essere considerata abbastanza, l’insicurezza di fondo sulle sue idee e soprattutto sui suoi desideri reali, dall’altro. Fatali al giovane saranno i dissidi interiori della ragazza, tra la necessità di apparire controllata e decisa e l’inconfessabile esigenza di abbandonarsi per sempre ai suoi sentimenti d’amore.

Ben tratteggiata la composita “galleria” di amanti del protagonista, le quali evidenziano la passione letteraria (esaltata anche dai frequenti rimandi e dalle citazioni estetizzanti, tipicamente dannunziane) dell’autore per la categoria femminile della femme fatale sensuale, voluttuosa, lasciva, impudica, lussuriosa, dai gusti barocchi e dall’animo decadente, che esalta la potente virilità dell’uomo, ma, al tempo stesso, lo trascina nel fondo di un abisso vorticoso di dissoluzione e autodistruzione. Forse, però, calcando troppo la mano su tali figure femminee, si rischia di scivolare facilmente nello stereotipo. Ma Pellegrini (nato a Milano il 21 luglio 1963, professore di Italiano alle scuole superiori, chitarrista rock, fanatico di Balzac, ideatore di un corso di scrittura creativa per adulti, autore di racconti di viaggio e menzionato d’onore al XXV Premio letterario nazionale “Santa Margherita ligure” per il romanzo La porta occidentale), il quale spiega di aver iniziato a scrivere «per far colpo sulle ragazze», ci mostra che la scrittura può avere finalità terapeutiche, aiutando a liberare pulsioni segrete e desideri inconsci.

Lo stile del romanzo è fluido, scorrevole, facile e piacevole alla lettura, ricco di espressioni e vocaboli colti che ben si adattano al linguaggio utilizzato, in particolar modo nei passi che riportano le vicende del marchese de Rubemprè, in corrispondenza dei quali il tono, giustamente e verosimilmente, si innalza. Tuttavia, questi periodi elevati contrastano visibilmente, e in maniera stridente, con l’effluvio di parole scurrili, che appaiono all’interno dei brani sulla vita milanese di Lucien. Tutto ciò è parte integrante delle peculiarissime modalità espressive adoperate da Marco Pellegrini. Così com’è particolare e originale la storia da lui raccontata, contrassegnata da un finale d’effetto, che lascia il lettore libero di trarre le proprie personali conclusioni sul “caso Lucien”. Un uomo talmente pervaso dalla passione per una donna da arrivare ad affermare: «Come potrei descrivere Liza? Se fossi sincero dovrei dire che ho finito d’amare perché la amo. Forse l’amore cancella così l’idea di se stesso, diventa astratto, una promessa senza condizioni. Per me, amare Liza significa rinunciare a perderla».

Insomma, questa «romanzesca avventura di uno schizofrenico» (per usare le parole dell’autore) non mancherà certo di incuriosire e appassionare il lettore.

 

Annalice Furfari  

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 8, aprile 2008)

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