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Letteratura contemporanea (a cura di La Redazione) . A XII, n. 132, settembre 2018

Zoom immagine Guardare la vita con nuovi occhi
per scoprire la bellezza del cielo

di Maria Chiara Paone
Dopo dodici anni, il gran ritorno di Sonia Serazzi per Rubbettino
con un romanzo sulla meraviglia che è nascosta nelle piccole cose


Certamente degno di ammirazione è l’autore che, davanti a una pagina bianca, si ingegna nel creare, a volte completamente da zero, avventure straordinarie, storie di guerra e passione, nuove mitologie e persino nuove lingue per rendere il suo universo il più coeso e reale possibile.
Tuttavia altrettanto degno della stessa ammirazione deve esserlo chi invece ha come obiettivo quello di raccontare un vissuto quotidiano; attività che può sembrare, all’opinione dei più, qualcosa di estremamente semplice ma che nasconde un’insidia pericolosa per lo scrittore: il rischio non riuscire a intrattenere in maniera adeguata e di risultare banali.
Beh, non è questo il caso di Sonia Serazzi e del suo Il cielo comincia dal basso (Rubbettino Editore, pp. 164, € 12,00).
Già autrice Rubbettino – infatti, sotto il marchio Iride, aveva pubblicato Non c’è niente a Simbari Crichi (pp. 144, € 10,00) e … E le ortiche c’hanno ragione (p. 118, € 10,00), rispettivamente nel 2004 e 2006 – la Serazzi, dopo dodici anni di silenzio, torna alla ribalta nella collana che ci faccio qui, diretta da Vito Teti, con un’opera delicata e forte al tempo stesso.
Le sue due precedenti pubblicazioni, anche grazie alle strabilianti copertine che avevano, erano stati due successi e i primi passi di questo nuovo romanzo si incamminano nello stesso versante.

Una Rosa avrebbe lo stesso profumo…
La protagonista, Rosa Sirace, una donna comune ma al tempo stesso fuori dall’ordinario, un giorno prende una decisione: «Ho deciso da un poco di appuntare sull’agenda la vita che faccio. E mi piace riempire fogli con sopra il numero del giorno: non ho tutto lo spazio e tutto il tempo, quindi è giusta una carta che contando me lo ricorda».
Così inizia a raccontarsi, e a raccontarci, di lei, di una «bastardina, una cagnetta variopinta» dal pedigree colmo di moltitudini geografiche; dell’infanzia passata in Calabria tra la prima emarginazione per il suo essere senza eguali e poi l’accettazione da parte di chi aveva riconosciuto in lei un’anima sensibile e particolare; degli anni universitari da fuorisede a Perugia, della sua seconda famiglia sempre pronta ad accoglierla; del ritorno in paese a vivere il “mezzo del cammin” della sua vita, a guardar scorrere episodi, sia brutti che belli, di una quotidianità trascorsa in un paese del Sud.
Nonostante alcune situazioni possano sembrare scontate, come un matrimonio, una campana suonata a morto o una semplice traversata in bus da Catanzaro, sono impreziosite dalle parole della stessa Rosa, una matura Alice che vive in un suo personalissimo “paese delle meraviglie” e che può portare ovunque vada perché è nella sua mente, che partorisce riflessioni colme di incanto e di poesia.
Tuttavia è una persona tanto straordinariamente capace quanto, ingenuamente o meno, inconsapevole di esserlo. Infatti al lirismo delle parole si accompagna spesso una certa concretezza di pensieri e a una modestia fuori dal comune
A titolo esemplificativo alcune riflessioni sulle proprie capacità e su se stessa: «“Scrivi!” mi ordinò il maestro. In quel momento capii che l’ispirazione era quella cosa dei poeti […] E se la poesia era una cosa per stare alla finestra senza finire bacchettata, io ero molto poetessa»; «certi giorni mi sogno uguale al fiore che mi hanno messo per nome, ma poi mi dico che pure le patate ci vogliono sotto il sole, e mi accontento di diventare una vera patata, piuttosto che una rosa per forza».

La forza delle donne (e degli uomini)
Centro di questo piccolo mondo e della narrazione è la famiglia Sirace, che sembra nascondersi nella sicurezza della convenzionalità; Nicca Fiori, madre sarda di Rosa e soprannominata per «uno scherzo di famiglia» la Baronessa di Babbumannu, tra le sue sigarette e i romanzi di Grazia Deledda; Guido Sirace, detto il Visconte di Verolea («un pendio scosceso dove Guido Sirace da anni guarda gli ulivi crescere e dare il frutto che possono»), ex carabiniere e operaio in pensione, di poche parole ma da sempre ammiratore della sua piccola Rosa e del suo talento con la penna; fino ad arrivare alla nonna Antonia Cristallo, vessata nel corpo dal morbo di Parkinson – chiamato in “siracese” «tremitò» o la «malattia del papa polacco» – ma conservando intatta la sapienza degli umili.
Tra questi una miriade di personaggi si intersecano – la Risa, la Palombella, Aldo, Ladyddì, la Bionda, Raffaele, la signora Anna, il Cerno, la Chica ed Enrico e molti altri – personaggi originali e spontanei, che sembrano quasi prendere vita dalla carta tanto è palpabile la forza che li contraddistingue e che li spinge ad andare avanti con le loro esistenze, nonostante tutti gli ostacoli che si potranno porre dinnanzi.
Come nella vita di Antonia Cristallo e della madre Francesca, entrambe donne che potrebbero essere etichettate di questi tempi come “madri single” e che seppero trovare il meglio di ogni situazione contando solo sulle loro forse: «Quando seppe che era rimasta vedova, e che aveva diritto alla pensione di reversibilità, si ricordò d’essere coniugata Sirace e si vestì a lutto. […] Forse proprio da Francesca Riga e Antonia Cristallo ho imparato che i mariti partono e non ritornano, quindi non vale la pena scommetterci. Anzi, nel giorno del mio diciottesimo compleanno, per risparmiarmi la fatica di sognarne una, mia nonna mi affidò la sua fede nuziale. Subito infilai quel cerchio d’oro all’anulare sinistro: Antonia Cristallo mi aveva promesso tutto l’amore che sapeva».

Una terra dolceamara e sottovalutata
Anche l’ambientazione, nella sua semplicità, nasconde tuttavia una sorpresa e un’innovazione. Ci viene presentata una Calabria diversa da quella descritta solitamente, nessuna parola riguardo alla ‘ndrangheta o alla politica oppure semplicemente al degrado per cui di solito è resa suo malgrado protagonista sui giornali o notiziari.
Tuttavia la Serazzi non cerca di nascondere la polvere sotto il tappeto e mostra piccoli indizi su una regione che soffre, con un ottimismo che invoglia a guardare il bicchiere mezzo pieno: «in paese […] scopro signore alla cassa che sussurrano promesse di pagamento e nei negozi di scarpe le donne pregano qualche commessa di tenere loro da parte, fino ai saldi, quel paio di sandali di cui non possono fare a meno […] alla fine è anche bello che la gonna perfetta per te è proprio quella di tua madre da ragazza o che l’unico cappotto che ti scaldi davvero lo erediti dalla nonna, solo che ci appunti sopra i bottoni di un colore diverso, per dire a tutti che oggi in quella stoffa ci stai dentro tu, e che sei la novità che al mondo mancava».
Una Calabria che mantiene le sue tradizioni, anche quelle più mistiche, anche nella contemporaneità, tra le cene in famiglia con l’olio “nuovo” e il pane appena sfornato e i dialoghi con i morti, che non vanno mai scontentati.
Una lettura che vi accompagnerà per ore piacevoli e oltre, e che, certamente, vi toccherà nel profondo.

Maria Chiara Paone

(bottegascriptamanent, anno XII, n. 132, settembre 2018)

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