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Anno II, n° 8 - Aprile 2008
La realtà vista
con altri occhi
di Arianna Calvanese
Una visione poetica
del mondo: un libro
di Edizioni Lepisma
La critica letteraria è in grado di cogliere l'anima artistica di un testo senza travisarla con gli occhi, spesso troppo angusti, della ragione? Le emozioni, le visioni e le sensazioni trasmesse da un testo poetico possono, realmente, essere spiegate da un critico senza essere fraintese? È giusto tentare di razionalizzare creazioni artistiche che nascono, invece, dalla sfera dionisiaca dell’essere umano? Questi sono alcuni dei principali interrogativi con cui Donato Di Stasi apre la prefazione del libro di Luigi Celi Il doppio sguardo (Edizioni Lepisma, pp. 76, € 12,00). Benedetto Croce, nella sua Estetica, asseriva che (poiché l’opera d’arte è creativa, pura, assoluta e – in quanto autonoma – ha tutti i principi e le doti in se stessa) la storia e la critica letteraria non possono che essere monografiche. Perché tutte le altre parti sono estranee all’intelligenza nell’opera. Bisogna premettere che, secondo Croce, l’uomo è dotato sia dell’intuizione, sia del gusto, sia dell’arte. Cioè, noi siamo tutti potenzialmente poeti e siamo tutti potenzialmente critici, infatti non c’è donnetta che non legga un libro e che non dica che è brutto o che è bello, che non operi una critica secondo la forma della propria cultura. Croce ha proclamato l’identità del gusto e della poesia: quando noi leggiamo rievochiamo quest’ultima, la sottomettiamo a giudizio. In questo modo abbiamo già giudicato quel che c’era da giudicare. Infatti ciò che dobbiamo valutare nella poesia in quanto tale non è se sia un’opera buona o se abbia valore razionale. L’eccessiva critica di un testo corrompe e sterilizza il suo valore poetico, pertanto il lettore è invitato ad immergersi in prima persona nella poesia e ad assaporarne, pian piano, il suo gusto divino. Il giudizio estetico dell’opera nascerà dal piacere della lettura stessa.
La duplice visione che l’artista ha del mondo. Ogni oggetto immanente rimanda ad una realtà trascendente ricca di sfumature, che ciascun lettore è chiamato a cogliere. L’autore si confronta con la sfida del “non detto”. La metafore sono, per lui, un bagliore di luce che illumina l’animo umano; e le parole d’inchiostro sono uno strumento per cristallizzare la fugacità della nostra esistenza.Il testo si articola in cinque sezioni, ognuna dedicata a diverse problematiche che appesantiscono la modernità. Nel primo capitolo, Il satiro e il grifone, si avverte la minaccia del nichilismo, come si evince dalla poesia Parentesi: «nel limo troverai il non detto disossato di mente / un refrigerio, un’eco rinverdita di grido.». Il non detto è ciò che annienta le nostre menti e la nostra coscienza. Gridare al mondo i propri pensieri sembra essere, dunque, l’unico refrigerio possibile.
Il secondo capitolo, Esprit de finesse esprit de géométrie, è l’espressione (pascaliana) del duplice sguardo dell’autore. Il dentro ed il fuori si intrecciano nella sua visione della realtà.
Leggendo la poesia Versi inversi si coglie il senso della caducità della parola, il senso del nulla che svuota i discorsi di una realtà contingente che il tempo incenerisce.
«… non hai inteso i versi / inversi, l’incendio che divampa / per un rabido vento … / mi ha arso il fiato / cenere ha lasciato». Il terzo capitolo, Aerei squali, è interamente dedicato agli atroci eventi di guerra che flagellano la nostra epoca. L’attentato terroristico alle Twin Towers ha profondamente sconvolto le nostre coscienze, gettando un velo di angosciosa paura sul futuro dell’umanità. Da quel maledetto 11 settembre 2001 il mondo è squarciato in due, diviso fra islamici e cristiani, fra “buoni e cattivi” come ai tempi delle crociate.
Intanto, milioni di innocenti muoiono su entrambi i fronti. Nulla è più come prima.
«Non s’annunziano mandorli / fioriti petali d’alba / a spruzzo di rugiade / non gemme della verde / stagione portatrice di brezze / tra cristalli di sale l’eco / di guerra sale / s’innesca nelle vene (…/ twin towers frantumate / d’abisso, squassate di rovina / a catapulta corrusche ali / aerei nel crogiolo / e il virtuale che si fa / sostanza frulla ogni carne / ossa differenze / l’aria nel fermo giorno / era di luce chiara / s’addensa ora negli occhi / in sangue si rapprende (…/ volano sotto i tanks e i blindati / brandelli di pelle, echi / flagelli voci /… voci sperdute / frante…».
Questi versi, con tanto di licenza poetica esclusiva (nonché originale) dell’autore, sono l’agghiacciante ritratto dell’attentato terroristico che frantumò l’illusione dell’invincibilità degli Stati Uniti, dell’Occidente.
Una poesia è degna di tale nome soltanto se riesce a stordire il lettore facendolo riflettere, nel bene e nel male, sulla realtà che lo circonda.
I componimenti poetici di Luigi Celi sono concreti e laceranti, proprio come gli avvenimenti che descrivono.
Alcune dediche, il quarto capitolo de Il doppio sguardo, è dedicato ad alcuni grandi personalità della cultura italiana ed internazionale, da cui l’autore trae spunto nelle sue composizioni.
A Roma, l’ultima parte del libro è appunto dedicata alla maestosa capitale italiana ricca di storia, fascino e monumenti. La poesia qui sembra quasi fondersi con l’arte figurativa. La meticolosità descrittiva dei versi sembra voler dipingere un variopinto ritratto delle bellezze che animano questa città, come si evince dal seguente testo Trinità dei Monti: «Fiori e colori su quell’alata scala. / Sui gradini una folla che non vola. / Chi siede non ha le ali?».
Il metamondo della poesia
I versi poetici, dunque, descrivono la realtà trascendendola ed inebriando il lettore di quelle sensazioni, tanto forti quanto fugaci, che rendono la vita degna di essere vissuta. La critica letteraria è annullata dall’intenso gusto della lettura, attraverso la quale è possibile godere del vivo significato poetico della realtà.
Il vero merito della poesia è, dunque, quello di assaporare sensazioni che spesso la mera razionalità non è in grado di cogliere.
Lo Streben faustiano, la tensione verso l’infinito, la voglia di valicare i limiti umani, non sono un’idea ma un valore che i poeti esprimono con la propria arte.
Arianna Calvanese
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 8, aprile 2008)