Società di prodotti editoriali, comunicazione e giornalismo.
Iscrizione al Roc n. 21969.
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza
n. 817 del 22/11/2007.
Issn 2035-7370.
Anno II, n° 8 - Aprile 2008
Criminalità nelle periferie urbane:
un fenomeno dilagante in Europa
di Martina Chessari
Il caso francese delle banlieues come simbolo di un malessere sociale
in una raccolta di tre saggi d’approfondimento della Meltemi editore
L’11 maggio 2006,
Tutti ricorderanno il caso francese delle banlieues (definite da molti studiosi come “quartieri d’esilio” o di “segregazione”) e le fiamme di Parigi del 2005, provocate dai maghrebini (immigrati provenienti principalmente dai paesi dell’Africa del Nord); le esplosioni nei sobborghi di Londra, Manchester, Liverpool e Birmingham, a partire dal 1980, causate dalle minoranze etniche in seguito a violenti scontri con la polizia; i gravissimi conflitti tra autoctoni e immigrati in Germania, in particolare negli anni Novanta, quando, in seguito alla crisi dei paesi dell’Est, si assistette a un flusso immigratorio senza precedenti.
Occorre dire inoltre che, dopo l’attentato dell’11 settembre alle Torri gemelle, la già delicata situazione in Europa si è aggravata con la minaccia del terrorismo islamico, rendendo ancora più difficile l’integrazione multietnica.
Il libro “Le Banlieues”. Immigrazione e conflitti urbani in Europa (Presentazione di Luciano Benadusi, Meltemi editore, pp. 118, € 13,00), rappresenta un importante contributo d’approfondimento per analizzare e capire quali problematiche si nascondono veramente dietro l’ondata di violenza che sta scuotendo le periferie urbane europee.
Si tratta di una raccolta di tre saggi, che studiano il fenomeno da tre diversi punti di vista: Immigrazione, conflitti urbani e culture politiche in Europa, a cura di Umberto Melotti, è un’analisi delle differenti politiche immigratorie adottate dai principali paesi europei; Uno scontro nella civiltà, di Pio Marconi, approfondisce il caso del novembre francese, avallando una serie di importanti considerazioni sui protagonisti e sul contesto in cui si verificarono gli episodi; infine Oltre l’integrazione subalterna: la sfida delle seconde generazioni, di Maurizio Ambrosiani, si concentra su uno studio sociologico della nuova generazione degli adolescenti immigrati, cercando di ricostruire il problema e ricercarne le soluzioni.
Le differenti politiche immigratorie in Francia, Gran Bretagna e Germania
La prima sezione del libro fornisce al lettore una panoramica generale sulle differenze sostanziali in tema di “assimilazione degli immigrati” da parte dei paesi ospitanti. A questo scopo Melotti analizza le politiche immigratorie dei tre paesi europei con il maggior flusso d’immigrati − Francia, Gran Bretagna e Germania − essendo tali politiche direttamente connesse alle realtà governative di ciascun stato. Il suo approccio investigativo, infatti, è strettamente collegato a ciò che lui intende per cultura politica, ossia: «l’insieme delle idee fondamentali che in un determinato paese orientano sul lungo periodo le relazioni esplicitamente o implicitamente istituite fra Stato, popolo e nazione […] e quindi le relazioni fra eticità, nazionalità e cittadinanza, nonché i principi che regolano l’acquisizione di quest’ultima a titolo originario o derivato e i diritti e doveri che ne conseguono».
La politica francese, in tema d’immigrazione, si è distinta per molto tempo per il suo «assimilazionismo etnocentrico», vale a dire un orientamento da parte dello stato a far si che la cultura dello “straniero” si assemblasse a quella francese sotto ogni punto di vista (culturale, idiomatico e anche di forma mentis), con lo scopo ultimo di educarlo ad essere un perfetto cittadino francese. Gli immigrati, in cambio, potevano godere degli stessi diritti degli abitanti nativi per merito della “naturalizzazione”, ovvero la concessione della cittadinanza da parte dello stato.
Diversa è la situazione in Gran Bretagna, dove la cultura politica, secondo l’accezione che abbiamo indicato, prevede innanzitutto un’importante azione di supporto da parte delle amministrazioni locali verso i gruppi d’immigrati, e, in secondo luogo, privilegia la libera espressione dei singoli gruppi etnici, nella convinzione che l’immigrato non potrà mai acquisire lo status di «buon britannico». Questo tipo di politica, basato su una visione di «irrecuperabile diversità» delle comunità immigrate, mira a garantire equilibrio e stabilità alla vita ordinaria dei cittadini.
Infine
Le banlieues: il novembre francese
Nel secondo saggio, a cura di Marconi, viene analizzata la ribellione delle banlieues parigine del novembre 2005. Gli episodi che si verificarono in Francia generarono una situazione d’allarme generale, in quanto divennero simbolo di una condizione drammatica, che stava dilagando in tutta Europa agli inizi del nuovo secolo.
Ci spiega Marconi: «il manifestarsi di una violenza di strada animata da attori dotati di specifiche identità etniche e religiose non è cosa nuova. Eppure nell’interpretare i fatti del 2005 bisogna evitare alcuni errori […] il novembre francese non è stata una manifestazione dello scontro di civiltà, ma piuttosto un conflitto nella civiltà. […] Gli attori delle notti del novembre francese sono giovani e giovanissimi, portatori di bisogni sociali, materiali e simbolici, dalle forti connotazioni generazionali».
La differenza tra il caso francese e i disordini che avevano scosso gli Stati Uniti negli anni Sessanta (lotte violente da parte di gruppi afroamericani per i diritti civili) o rispetto alle proteste di alcuni movimenti in paesi come Bolivia, Ecuador, Argentina, esasperati dal disastro economico del dicembre 2001, è sostanziale e di grande importanza.
I movimenti di ribellione negli Stati Uniti, così come quelli in America Latina da parte dei poveri dei ghetti delle loro metropoli, erano stati «frutto di reazioni spontanee a condizioni di uguaglianza, ma anche del lavoro di reti organizzative che agivano al di fuori del tradizionale tessuto dell’associazionismo sociale e politico (quello dei centri sindacali e dei partiti)». Le lotte per i diritti degli afroamericani, ad esempio, furono supportate anche da comunità religiose, che, proprio per la loro ispirazione, rafforzavano il valore e i principi della protesta.
Gli attori del novembre francese, invece, sono giovani senza alcun legame organizzativo di tipo tradizionale. Sono simbolo di un malessere sociale profondo, di una condizione professionale deteriorata e bloccata, che non permette alle nuove generazioni crescita e stabilità.
Le seconde generazioni di immigrati, a cui è dedicata l’ultima parte del libro, rappresenta infatti un nuovo e delicato capitolo della questione fino ad ora trattata.
Siamo di fronte ad una nuova classe sociale, che rifiuta drasticamente la condizione di “subalterno” nella società ricevente, non si sente obbligata, come invece lo era stata quella dei genitori, ad accettare lavori umili a basso salario per quella necessità di mandare denaro al proprio paese d’origine. I nuovi attori hanno una valutazione diversa del lavoro e delle istituzioni sociali, sono mossi da valori che sottintendono una sottile “non correttezza” rispetto a quanto costruito dagli adulti.
Leggiamo quanto affermava già nel 1901 la seconda Commissione d’inchiesta istituita dal Congresso americano sulla questione della criminalità degli immigrati: «gli stranieri della seconda generazione, essendosi più abituati ai modi di vita del paese, avendo preso più familiarità ed essendosi liberati dal controllo dei genitori che hanno imparato a considerare ignoranti e antiquati, hanno un tasso di criminalità eccessivamente alto».
La speranza viva è che i giovani di seconda generazione si aprano ad un concetto più ampio ed evoluto dell’incontro tra culture, dimostrando di essere soggetti attivi nell’acquisizione di strumenti per l’integrazione sociale nella società ospitante e, allo stesso tempo, conservando vivo il bagaglio della propria cultura nativa.
Martina Chessari
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 8, aprile 2008)