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Anno XII, n.129, giugno 2018
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Home Page (a cura di La Redazione) . Anno XII, n.129, giugno 2018

Zoom immagine Il volto nascosto dell’Africa,
il “nero opaco” degli uomini

di Gilda Pucci
Gian Corrado Stucchi pubblica il suo secondo romanzo con Kimerik
portando il lettore in viaggio in un mondo ricco di chiaroscuri


Dell’autore Gian Corrado Stucchi vi abbiamo parlato già in passato all’uscita del libro fantasy curato da Bottega editoriale, Deywoss (recensione che potete rileggere qui: www.bottegaeditoriale.it/primopiano.asp?id=217 ), e avevamo allora accennato alla pubblicazione di questo nuovo romanzo. La storia è ambientata in Africa equatoriale e si narrano le vicende di due amici, Paolo Bonfante e Luca Ligios, entrambi amanti di Julia, costretti a fuggire attraverso la Nigeria perché coinvolti, dopo un colpo di stato, in illeciti rapporti d’affari con l’Oba di Ike, signore del popolo yoruba.
Essi tuttavia vengono catturati dal comandante Sylvester Onopeya, capo del movimento ribelle dei kotoko e per l’amata Julia si delineano scenari assurdi. Il romanzo Nero Opaco, (pp. 274, € 16,00, disponibile anche in formato e-book), pubblicato sempre con la stessa casa editrice del precedente racconto, Kimerik, è sospeso tra realtà e fantastico, dove l’avventura si fonde con contenuti antropologici e filosofici, narrati con quella semplicità e leggerezza, caratteristica dell’autore, che destano sempre una sana curiosità e aspettativa sul pubblico, proiettando il lettore in un’Africa strana, molto distante dall’immaginario collettivo, dagli stereotipi di viaggi e narrativa tradizionale. Ovviamente anche questa nuova e avvincente avventura fa parte della “scuderia letteraria” di Bottega editoriale.

L’altra Africa
Uno scrittore e un consulente di governo in perenne contrasto si ritrovano catapultati nella stessa avventura. Subentra a loro una terza figura, Julia Gomez, figlia del direttore in Nigeria della Mining United. Ed è proprio lei che con una reputazione di ragazza disinibita si fa sedurre dai due uomini, dando quel tocco di piccante in più alla storia, diventando un po’ quella ciliegina sulla torta che allarga il target di lettura.
La mitica Orun, l’asceta Nalut il Solo, il conte Von Soren, mercenario con ideali umanitari accompagnato dalla stupenda e infedele moglie Zeynep, le famigerate bande di congolesi fanno tutti parte di questo meraviglioso racconto che rappresentano la trasfigurazione dell’esperienza vissuta dall’autore nel continente nero. Infatti, Gian Corrado Stucchi è nato a Muggiò e vive a Bergamo, ma ha lavorato per una società di ingegneria con continue assegnazioni in diversi Paesi: Libia, Marocco, Arabia Saudita, Nigeria, India, Messico...
Percepiamo, grazie ad una scrittura filtrata e tipica dell’espressionismo più elegante, tutti gli odori e i colori dell’Africa, un regno che tuttavia però non è solo un mezzo per evadere in uno stato ancestrale lontano dai mali della società odierna, o il luogo più debole, centro solidale e umanitario che siamo abituati a vedere, ma si tinge di un rosso passionale, di istinti primordiali, di questioni politiche forti, di corruzione, di marcio; i temi e le dinamiche si avvinghiano e si attorcigliano: l’autore è un po’ il tronco di un arbusto africano che raccoglie la linfa dalle radici della realtà che vede davanti a sé e poi, con grande capacità creativa, la dirige in altre direzioni, ne delinea i rami, facendone emergere dolcemente una visione dell’intollerante. Un’Africa dunque che è altro, la faccia scura di un continente, la faccia nera che non è poi così nera, ma un nero opaco. Un luogo sfruttato dall’Occidente, un luogo di politiche estremamente dure e repressive, un luogo che di puro e spontaneo non ha quasi più nulla: un posto violento e corrotto, spietato e senza tutela per i diritti umani.

Più di un romanzo
L’autore con la sua lente osserva, aspetta che queste immagini gli nascano dentro e poi ne ricrea un’intelaiatura nuova fatta di parole proprie. Una cronaca del reale, dunque, che assorbe l’elemento fiction: Stucchi forse leva (parzialmente) verità ma ne aggiunge dell’altra, quella di chi denuncia da esteta, quella di chi vuole parlare con l’arte e disvelare senza retorica e toni polemici il male di un luogo. L’Africa non è più l’altrove, gli uomini sono bestie peggio degli animali che vi abitano. In molti casi sembra emerga una scrittura piena di simboli e allegorie, ma forse è solo l’abilità di scrittura che ci porta a lasciare il romanzo con più domande di quante ne avevamo all’inizio, ad interpretarlo in più modi e mondi. Veramente un bel libro, denso e fitto: motivo per cui si preferisce anche a tanti saggi sul tema.

Gilda Pucci

(bottegascriptamanent, anno XII, n. 129, giugno 2018)

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