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Pasolini assassinato
per un mancato riscatto?
di Elisa Barchetta
Una nuova sconvolgente ipotesi spiega l’omicidio
dell’ambiguo intellettuale, Sovera edizioni
Frocio, ladro, corruttore di minorenni, sovvertitore dell’ordine sociale, persona oscena… certamente parole poco edificanti con cui nessuno vorrebbe essere appellato. Eppure, in Italia c’è stato qualcuno che tutti questi epiteti li ha “collezionati” nel corso della vita.
Intellettuale, scrittore, regista, poeta, sceneggiatore, paroliere, traduttore, giornalista, drammaturgo, saggista, pittore, insegnante… senza alcun dubbio tutte professioni rispettabili a cui tanti ambirebbero nella propria esistenza. E nel Belpaese c’è stato chi ha ricoperto tutti questi ruoli.
Ora… viene da domandarsi… cosa penserebbe chiunque leggesse queste righe, se gli si dicesse che nel primo e nel secondo caso ci si sta riferendo alla medesima persona? Molti probabilmente non ci crederebbero nemmeno, eppure una persona che è stata tutto questo nei suoi 53 anni di vita, con in più l’ardire di essere antifascista e anticlericale, è esistita e rispondeva al nome di Pier Paolo Pasolini.
Sull’omicidio Pasolini, avvenuto nella notte tra il primo e il 2 novembre 1975, sono state fatte numerose ipotesi nel corso degli anni; il delitto, però, è rimasto insoluto diventando uno dei tanti “misteri d’Italia”.
Nel loro libro Accadde all’Idroscalo. L’ultima notte di Pier Paolo Pasolini (Sovera edizioni, pp. 310, €18,00), gli scrittori Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani – entrambi docenti presso il master in Scienze criminologico-forensi dell’Università “La Sapienza” di Roma – raccontano l’ultima notte di uno degli intellettuali più amati, ma indubbiamente una delle figure più ambigue e controverse del panorama culturale italiano degli anni Sessanta-Settanta.
Lo stile della narrazione
Su Pasolini e la sua tragica fine è già stato detto e scritto molto, ma Accadde all’Idroscalo. L’ultima notte di Pier Paolo Pasolini è un libro-inchiesta che ha dalla sua non soltanto uno stile narrativo particolare, ma anche la presenza di documenti inediti. Palmegiani e Sanvitale presentano i fatti, smontano tesi e arrivano a una loro conclusione in un continuo dialogo e confronto; uno stile, quello del dialogo, certo poco usuale per questa tipologia di testi.
Inoltre gli autori effettuano un percorso narrativo seguendo i luoghi frequentati dallo stesso Pasolini o dalle persone collegate in qualche modo alla vicenda, come a voler rivivere i fatti nel periodo storico in cui sono realmente accaduti, per poi tornare alla realtà. Lo stile narrativo è dunque preciso e puntuale come si addice alla cronaca giornalistica e allo stesso tempo usa toni più leggeri duranti i confronti tra gli autori, per diventare evocativo nei sopralluoghi e nel tremendo finale.
Il fatto e le diverse ipotesi emerse
Pier Paolo Pasolini è stato assassinato la notte tra il primo e il 2 novembre del 1975; il suo corpo è stato ritrovato, in condizioni terribili, la mattina del 2 novembre al Lido di Ostia nella zona dell’Idroscalo, lungo una strada sterrata che fiancheggiava baracche e un campetto da calcio. Dell’omicidio si autoaccusò un diciassettenne: Pino Pelosi. Questo, in breve, il fatto. Crudo e incontrovertibile.
Le ipotesi su mandanti, esecutori e movente, invece, furono molteplici ma nessuna ha mai portato a nulla. Si parlò di omicidio omofobo, di movente politico, addirittura di complotto.
Andando con ordine, una delle prime motivazioni fu quella di ordine sessuale: insomma, Pasolini era gay dichiarato e frequentava quelli che lui stesso aveva definito “ragazzi di vita”. Del resto anche quella notte del ʼ75 era in compagnia di un minorenne… perciò frequentando certi ambienti doveva essere incappato in qualche malintenzionato e violento che non accettava certamente l’omosessualità – bisogna sempre ricordare che si sta parlando degli anni Settanta, periodo in cui non era ancora pensabile di poter esternare il proprio orientamento sessuale in modo tanto aperto – ed è finita male per il regista. Tesi plausibile forse, avvalorata ai tempi dalle dichiarazioni di Pelosi. Una tesi che però non regge di fronte all’analisi degli atti, delle testimonianze e delle molteplici versioni e incongruenze delle stesse dichiarazioni rilasciate negli anni dallo stesso Pino Pelosi.
Dunque il movente poteva essere di tipo politico, coinvolgendo addirittura il clan dei Marsigliesi. Pier Paolo Pasolini in effetti aveva preso delle posizioni ben definite contrarie alla Democrazia cristiana e al fascismo oltre che apertamente contro le abitudini borghesi, il Sessantotto e i suoi protagonisti e il sorgere della società dei consumi. Ma anche questa tesi viene smontata; perché se è vero che Pasolini era per tutti un comunista ed è altrettanto vero che il clan dei Marsigliesi reinvestiva una parte dei proventi delle proprie attività illecite nella destra eversiva; se è vero che Pasolini aveva ricollegato le stragi degli anni di piombo (come quella di piazza Fontana del ʼ69 a Milano e quelle del ʼ74 a piazza della Loggia a Brescia e sul treno Italicus a Bologna) alla politica e in particolare accusò la Dc e i partiti alleati nel governo demoscristiano di essere i veri mandanti delle stragi, è pur vero che Pasolini era stato cacciato dal Pci per “comportamenti immorali”, che non rinunciò mai ad esprimere le proprie idee anche se critiche nei confronti delle tesi marxiste e di certi atteggiamenti del Partito comunista.
Inoltre, come riportano gli autori, se la politica avesse voluto eliminare Pasolini perché diventato troppo scomodo e si fosse rivolta al clan dei Marsigliesi per eliminarlo, ben difficilmente sarebbero rimaste prove e men che meno un testimone come Pino Pelosi. Il clan infatti agiva in modo violento e, benché dedito a sequestri e rapine, non avrebbe mai lasciato in vita Pelosi.
Rimane, dunque, la tesi del complotto, che tira in ballo non solo Eugenio Cefis, già manager Eni nel 1975 poi presidente della stessa azienda nel 1967, come mandante dell’omicidio Mattei del 1962, ma addirittura i Servizi segreti: Pasolini stava infatti scrivendo un nuovo romanzo (peraltro mai completato), intitolato Petrolio, al cui interno figura un capitolo chiamato Lampi sull’Eni (il famoso Appunto 21) in cui Pier Paolo Pasolini avrebbe fatto proprio riferimento all’omicidio Mattei e a Cefis. Ma l’Appunto 21 è vuoto, Pasolini si era documentato sui fatti ma non aveva ancora scritto nulla in merito. Quindi, come affermano gli stessi autori, si tratta solo di supposizioni. E poi, se fossero stati coinvolti davvero i Servizi segreti, perché far sparire solo un appunto vuoto e non l’intero dattiloscritto con tutti i documenti e appunti connessi? Nella loro inchiesta, quindi, Palmegiani e Sanvitale smontano anche questa ipotesi. Ma allora perché Pier Paolo Pasolini è stato ucciso? E da chi? Possibile che se la sia davvero “cercata” per il suo modo di vivere?
I documenti inediti
Oltre all’analisi “certosina” di quanto negli anni è emerso sulla vicenda e alla demolizione delle tante ipotesi formulate su quella notte, ciò che rende ulteriormente interessante il libro di Palmegiani e Sanvitale è il fatto che nelle loro ricerche siano venuti in possesso di documenti inediti sull’omicidio Pasolini.
In particolare, nel faldone in cui questi documenti erano contenuti, sono presenti, tra gli altri, le conclusioni della perizia medico-legale e sui reperti (mancante fino a quel momento negli altri atti ufficiali) e le foto della Polizia scientifica scattate i giorni successivi al ritrovamento del cadavere dello scrittore.
Questi documenti inediti, insieme a quelli già in mano agli autori, e all’intervista all’ex carabiniere Renzo Sansone (allora infiltrato nell’ambiente frequentato dai fratelli Borsellino – indagati per l’omicidio – e mai chiamato a testimoniare), permettono di arrivare a una nuova ipotesi per il delitto Pasolini Ipotesi che nulla avrebbe a che vedere con politica, omofobia e complotti ma sarebbe invece legata al pagamento di un “riscatto” per la restituzione a Pasolini delle bobine del film Salò, rubate negli stabilimenti della Technicolor nell’agosto del ʼ75.
Le conclusioni degli autori
È da premettere che la notte del furto erano state rubate le pellicole di altri film, come quelle di Casanova di Fellini; in tutto 74 pizze tra cui 12 del film di Pasolini. Il danno era più per il valore artistico che per quello commerciale, tanto più che diversi registi – tra cui lo stesso Pasolini – riuscirono comunque a completare i propri film in modo soddisfacente con il girato ancora in loro possesso.
Ma allora come si è potuti arrivare a un omicidio così efferato? Sanvitale e Palmegiani arrivano a una conclusione semplice ma che lascia sbigottiti: Pier Paolo Pasolini fu ammazzato per un’escalation di violenza, provocata indirettamente per non aver portato abbastanza soldi con sé quella notte per pagare la restituzione delle pellicole e per aver “osato” reagire al pestaggio tentando di mettersi in salvo.
Assurdo, allucinante, tremendo… che fine hanno fatto tutte le ipotesi complottiste, dove sono finiti i fascisti e gli omofobi? Non sembra possibile che un personaggio così importante per la cultura italiana sia stato ucciso in modo tanto brutale per una questione di soldi… eppure leggendo passo passo Accadde all’Idroscalo. L’ultima notte di Pier Paolo Pasolini, questa tesi non sembra del tutto priva di senso, anzi.
Non è possibile, al momento, sapere se tutto questo avrà un seguito, se il “caso Pasolini” verrà nuovamente riaperto per arrivare finalmente, dopo più di quarant’anni, a una conclusione definitiva. Ciò che si sa è che questo libro costituisce con molta probabilità un tassello fondamentale per la lucida e attenta analisi svolta dagli autori e per la razionalità delle loro conclusioni, supportate dagli elementi raccolti.
È speranza di chi scrive che prima o poi questa vicenda possa trovare una giusta fine, per restituire dignità alla memoria di un uomo – prima ancora che all’intellettuale – che è stato barbaramente assassinato e vilipeso anche dopo la sua morte.
Elisa Barchetta
(bottegascriptamanent, anno XI, n.123, dicembre 2017)