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Problemi e riflessioni (a cura di La Redazione) . A. XI, n 122, novembre 2017

Zoom immagine Esplorare il mondo
per conoscere se stessi

di Elisa Barchetta
Da Kimerik un viaggio tra esistenzialismo e arte:
un’opera di Moreno Berva tra domande e risposte


Chi siamo? Dove stiamo andando? Qual è lo scopo dell’uomo su questa Terra? Potranno sembrare domande sciocche, eppure si tratta, in realtà, di dubbi antichi quanto il mondo. Questi interrogativi, infatti, hanno accompagnato studiosi, filosofi, letterati di diversi periodi storici (si pensi ad esempio all’esistenzialismo e alle sue molteplici correnti, tra i cui esponenti si ritrovano nomi quali Søren Kierkegaard, Jean-Paul Sartre, Martin Heidegger, Albert Camus e Fëdor Dostoevskij) e spesso sono stati all’origine di opere d’arte e correnti pittoriche o scultoree, come ad esempio quelle di Edvard Munch, Alberto Giacometti, Giorgio De Chirico e, in un certo qual modo, anche di Vasilij Vasil’evič Kandinskij e Paul Klee.
In un dato senso tutte le opere di questi artisti e studiosi sono state influenzate da domande simili e dalla tensione verso la ricerca di risposte a tali quesiti. Ed è un po’ ciò che accade al protagonista del romanzo, che non a caso può essere definito esistenziale, Il Resto del mondo (Kimerik, pp. 280, € 25,00) scritto da Moreno Berva, scrittore, copywriter e redattore (solo alcune, queste, delle sue molteplici attività).

La trama
Roberto Calamai è il protagonista della storia. Giornalista di grido, lavora per la redazione de “Il Resto del mondo”, una delle poche – se non l’unica – testate giornalistiche libere e non omologate o asservite. Tra i colleghi è forse quello mentalmente più aperto e anche per questo il suo direttore, Carlino Stampa, gli affida una rubrica nella quale Calamai dovrà cercare di rispondere alla domanda: che cos’è il mondo?
Quesito complesso che porterà il giornalista a cimentarsi con i metodi dell’inchiesta e l’incontro con i soggetti più disparati. Fino all’epilogo, nel quale si hanno tutte le risposte… o forse no.

La “pittura” del linguaggio
Il lessico utilizzato da Berva è ricercato, non in quanto complesso o di difficile interpretazione in sé, quanto piuttosto per la precisione dei termini scelti per descrivere luoghi, persone, paesaggi e azioni. Ricercatezza che sfocia dunque in un romanzo evocativo, in cui ogni passaggio dà la sensazione di trovarsi di fronte a un quadro. Sfogliare le pagine diventa quindi come camminare in una galleria d’arte, fra opere molto diverse eppure tutte riconducibili a un unico significato di fondo.
Ogni parola è come la pennellata di un pittore, un artista che talvolta predilige la spatola o altre tecniche al pennello per completare un dipinto dai molteplici significati se osservato nei suoi dettagli, eppure nel suo complesso dal senso più ampio. È in questa accezione che è la pittura a farsi linguaggio e allo stesso tempo quest’ultimo si mette “al servizio” della prima Ed è proprio da ciò che si percepisce l’ispirazione che Berva ha tratto dalle 17 saturazioni di Pano Parini, di cui l’autore ha voluto inserire alcuni dettagli nel suo libro e che dialogano con il testo continuamente, realizzando uno stretto connubio tra immagini e parole.

Che cos’è il mondo?
Ciò che emerge dal testo è la difficoltà a fornire una risposta univoca a questa domanda. Si comprende come la visione del mondo dipenda un po’ da che punto lo si guardi: ogni individuo vede il mondo filtrato dal proprio essere e lo interpreta secondo il proprio vissuto. Allo stesso tempo però ciascun soggetto è un mondo in sé e si relaziona, dunque, con altri mondi – le persone che incontra – e in questo senso i diversi mondi si influenzano reciprocamente creando e plasmando il mondo. Come rispondere allora a questa domanda?
La soluzione, o forse solo una delle possibili spiegazioni, può probabilmente essere ricercata e fornita dall’arte. L’artista infatti, per dirla proprio con le parole di Berva, «[…] da un canto non fa che copiare e, dall’altro, copia delle cose che non esistono. Lo spazio dell’arte sta tutto in questa sottigliezza, in questo finissimo strato di solitudine che stacca l’artista dalla realtà permettendogli di percepire altre realtà, impercettibili per gli altri, e di riprodurle poi sotto forma di opere d’arte». E ancora «Tra il mondo immaginato dall’artista e il mondo reale vi è un legame vibrante: il linguaggio. L’artista ha bisogno della realtà e del suo linguaggio per immaginare il proprio mondo. È il suo debito verso la realtà, che paga mediante il dono della propria arte. Inoltre, tra il mondo immaginato e l’opera concreta si inseriscono delle tecniche legate al reale, che l’artista ha appreso e forgiato confrontandosi al reale».
In conclusione, l’autore pare suggerire un diverso punto di vista per guardare il mondo e approcciarsi a esso: tentare cioè di cambiare ottica e sensibilità per poter trovare le risposte alle domande esistenziali, assumendo un po’ il ruolo di artisti che osservano la realtà da una prospettiva privilegiata.

Elisa Barchetta

(bottegascriptamanent, anno XI, n. 122, novembre 2017)

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