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A. XI, n 121, ottobre 2017
Convivere
con la camorra
di Elisa Barchetta
Da Edizioni Spartaco: l'amore nel mondo malavitoso
Anna è solo una tredicenne ma è la più bella del paese e questo basta al figlio del boss del clan locale per decidere che quella ragazza deve essere sua. Per lei invece, quella è soltanto la prima cotta di una ragazzina, attratta più dalle attenzioni di questo ragazzo appena maggiorenne e dallo status sociale che il frequentarlo le permette di avere rispetto alle coetanee. Questa storia la fa sentire grande e importante anche se intuisce perfettamente che l’amore, quello vero, è un’altra cosa; qualcosa che non ha bisogno di pensieri costosi, sfarzo e dimostrazioni di potere. Anche i genitori di Anna non condividono la decisione della figlia e le fanno capire, con modi molto diversi, che quel ragazzo proprio non va bene. Anna decide perciò di interrompere questa storia, ma viene minacciata da lui con una pistola e comprende così di essere solo un oggetto, qualcosa da possedere, perché lui «la considerava una sua proprietà, una cosa di cui solo Lui poteva disporre e decidere quando disfarsi. Voleva essere il padrone della più bella, il resto non contava». Un giorno nel villino accanto al suo si stabilisce con la sua famiglia Giovanni, un ragazzo molto carino e completamente diverso dal figlio del Boss, e così Anna, senza saperlo, inizia a scoprire l’amore. Questa la trama de L’isola dei fiori di cappero (Edizioni Spartaco, pp. 120, € 8,50), primo libro scritto dal cronista di nera di lunga militanza Vito Faenza; una piccola perla, un romanzo di formazione breve ma intenso, capace di suscitare una tale tenerezza e dolcezza per una storia d’amore che nasce tra due ragazzi e che, fra mille difficoltà, cresce tra un uomo e una donna; ma è anche un libro in grado di generare rabbia e sconcerto per la realtà di un paese che vive schiacciato dalla presenza costante della camorra, un paese nel quale tutti sanno ma nessuno si ribella e chi lo fa apertamente spesso finisce vittima della lupara bianca.
Cosa vuol dire “essere donna di camorra”
Nel suo romanzo l’autore racconta in modo semplice e diretto il significato che assume per una donna il diventare “donna di camorra” anche contro la propria volontà; ma anche il senso di vivere, più in generale, in un territorio controllato dalla criminalità. Essere donna di camorra significa subire l’umiliazione di una visita medica da un ginecologo affinché il camorrista si assicuri che la sua donna si sia conservata, significa non fare mostra di sé in alcun modo se non per sostenere il proprio uomo in termini di potere davanti agli altri – come per la passeggiata nel paese una volta usciti dal carcere, in cui chi viene rimesso in libertà è accolto dalla popolazione come un perseguitato – significa che non esistono manifestazioni d’amore in pubblico ma solo dichiarazioni di possesso, significa non avere la possibilità di decidere nulla, nemmeno per quanto concerne il proprio matrimonio, significa che «gli affari sono roba da uomini, le donne non devono metterci bocca. O sono femmine da letto o sono madri, mogli, sorelle o figlie. Le prime puttane. Le seconde serve silenziose» significa che la camorra può rubarti tutto, anche i sogni. Ma ci sono anche donne di camorra per cui un collaboratore di giustizia è solo un “maiale” e il proprio uomo affiliato a un clan è in realtà un bravo ragazzo, donne per cui “infame” è un pentito, “infami” i carabinieri che effettuano gli arresti e “infami” i giudici che devono celebrare un processo; sono donne che si sentono importanti se insultano i giornalisti, convinte di aver compiuto grandi imprese. Sono donne per cui anche un prete “non è un vero prete” se si scaglia apertamente contro comportamenti malavitosi. Questa è la realtà delle donne di camorra, che l’autore svela nel suo romanzo in modo semplice e diretto, una realtà di sottomissione ma, talvolta, anche di profondo disagio nel quale anche un atto importante, coinvolgente e splendido come il fare l’amore diventa un qualcosa di sbrigativo e un’umiliazione subita, un dolore così forte da lavare via sotto il getto purificatore della doccia.
Vivere nei luoghi della camorra
Nel suo libro, tuttavia, l’autore intende anche far comprendere al lettore quali sono anzitutto le modalità con cui opera la camorra nei suoi territori e quali sono i meccanismi che decretano il potere o la perdita dello stesso da parte dei clan. Soprattutto, grazie alla sua conoscenza del fenomeno, è parte del suo intento far comprendere cosa significa ancora oggi vivere in un contesto totalmente condizionato dalla presenza della camorra, in alcuni territori del paese ma, più in generale, convivere con la malavita in qualunque zona d’Italia. Faenza descrive molto bene la paura di trovarsi senza difese di fronte alle imposizioni o alle minacce dei clan, la difficoltà di opporre resistenza quando devi convivere con questo male; al punto che talvolta è più coraggioso decidere di andarsene piuttosto che restare e arrendersi a una vita apparentemente tranquilla ma che richiede, in realtà, compromessi e una disperata accettazione della situazione. È con questi stati d’animo che spesso le persone che vivono in alcuni territori si schierano contro la criminalità organizzata, con la paura di possibili ritorsioni da parte dei clan.
Il rapporto tra camorra e “poteri forti”
In modo altrettanto chiaro e semplice Faenza descrive le modalità con cui i poteri forti come la politica, la chiesa o in certi casi la stessa magistratura si relazionano con i clan camorristi. Uno degli esempi più eclatanti, che abbiamo spesso sotto gli occhi, è quello della politica la quale, alternativamente, non nega l’esistenza della camorra e anzi si dichiara sempre pronta a combatterla vantando il proprio impegno in tal senso e prodigandosi in elogi ai magistrati e alle forze dell’ordine; quando tuttavia la politica viene toccata direttamente da indagini relative alla malavita allora queste diventano pretestuose e i giudici sono tutti “toghe rosse” o magistrati politicizzati. È da sottolineare poi che spesso i boss dei clan vengono eliminati in accordo con gli stessi uomini politici, poiché risultano talvolta più utili così a chi sostiene di combattere la criminalità organizzata. Da questa sorta di circolo vizioso non si salvano certamente i giornali, infatti alcune testate talvolta tendono ad assolvere i parlamentari e a contestare la magistratura perché certi esponenti della stampa sono corrotti o favorevoli ai clan. E non è esente nemmeno parte della magistratura nelle zone in cui la camorra è radicata, in alcuni casi è infatti corrotta e condiziona gli esiti dei processi e in altri, invece, impone alle forze dell’ordine di ignorare la presenza di uomini politici collusi con i clan. Non ultima, anche la chiesa ha le sue responsabilità. Poiché ci sono quei preti scomodi che pongono in essere attività di vario genere per togliere i giovani dalla strada ed evitare così che diventino manovalanza criminale a basso costo, preti che si espongono in prima linea e hanno il coraggio di denunciare i delinquenti durante le omelie in chiesa e sono spesso quelli che, purtroppo, finiscono sui giornali nelle notizie di cronaca nera, uccisi per la loro fermezza nel lottare contro la camorra e i politici corrotti; sono quei preti che non vengono lasciati in pace dalla malavita nemmeno dopo la morte, perché è proprio quello il momento in cui inizia l’opera di denigrazione mirata a intaccare la loro integrità e moralità presso l’opinione pubblica; ma c’è anche quella parte della chiesa che preferisce continuare a non interessarsi a quanto accade, come Mizaru, Kikazaru e Iwazaru, le tre scimmie sagge “non vedo, non sento e non parlo”.
Riflettere e collaborare per cambiare le coscienze
In alcuni casi, anche se ancora troppo pochi, è possibile che magistratura, politica, giornalismo e forze dell’ordine lavorino insieme e qualche esponente importante non soltanto della camorra ma della stessa politica o magistratura corrotta venga quantomeno indagato o ne vengano chieste le dimissioni. Si tratta purtroppo ancora di pochi casi rispetto all’emergenza che è tutt’ora presente nel nostro paese. Con il suo libro, Vito Faenza vuole pertanto far riflettere soprattutto i ragazzi che vivono immersi in contesti dove la camorra è fortemente presente e coloro che invece pensano si tratti di un fenomeno lontano… ma col suo breve romanzo invita a ragionare anche gli adulti, che hanno o dovrebbero avere gli occhi bene aperti su questi aspetti del paese, aspetti che non riguardano solo alcune zone del nostro territorio ma che ci riguardano tutti, da vicino. Ognuno di noi dovrebbe essere come «[…] i fiori di cappero, che sembravano orchidee... La pianta cresce abbarbicata sui muri, sulle rocce, resta attaccata alle rupi resistendo al caldo torrido […] e noi, come queste piante, dobbiamo crescere e tenere duro di fronte a queste sfide per cercare di avere un paese migliore per noi stessi e per quelli che verranno dopo di noi.
Elisa Barchetta
(www.bottegascriptamanent.it, anno XI, n. 115, aprile 2017)