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Comunicazione e Sociologia (a cura di La Redazione) . A XI, n 113, febbraio 2017

La tecnica
strumentale

di Emanuela Cangemi
La memorizzazione
tra le nozioni base
dei percussionisti


Se in passato il musicista era considerato solo un suonatore di un oggetto atto a produrre l’entità definita suono, ovvero un prodotto psico/acustico, frequenziale e ritmico, oggi non è così. Il musicista è sì un suonatore, ma è anche una persona preparata su tutto ciò che identifica il concetto di musica, che ricordiamo essere studiata nella sua interdisciplinarietà.
Chi insegna è chiamato a conoscere non solo aspetti teorici della musica, ma anche altre discipline che hanno questa come oggetto di studio.
Il percorso inizia in conservatorio, con lo studio del proprio strumento e di materie quali Teoria e Solfeggio, Armonia complementare, Storia ed Estetica della musica, Canto corale, Musica da camera,oltre alle materie introdotte di recente dal nuovo ordinamento.
Come tutti i percorsi accademici, anche questo ha le sue problematiche, in genere agilmente risolvibili con la passione e la volontà di imparare, ma che risultano di gran lunga più tollerabili nel momento in cui l’allievo si rende conto che dietro ad ogni seppur noioso esercizio tecnico si nasconde una motivazione utile ad apprezzare l’“insopportabile”.
Come sempre accade, il nostro pensiero si rivolge ai percussionisti, in quanto per loro è necessaria una maggiore tecnica. Non perché essi siano particolarmente incapaci o esecutori di strumenti meno importanti, ma perché, rispetto agli altri musicisti, il loro corso di studi ministeriale prevede l’apprendimento di più strumenti.

Il percorso musicale
Classe III: Strumenti a percussione
«A questa classe ‒ che è certo la meno importante delle tre ‒ appartengono quegli strumenti aventi una funzione eminentemente ritmica e spesso anche coloristica. Anche questa classe può dividersi in tre categorie: I) a membrana, II) di metallo, III) di legno. Ciascuna categoria può suddividersi in due ordini di strumenti, a seconda che questi siano capaci di produrre o meno suoni di un’altezza apprezzabile, e cioè: a suono determinato e a suono indeterminato [sic!]» [1].
Pedagogia musicale: «Insieme delle ricerche e delle teorie che hanno per oggetto l’educazione musicale, e che intendono interpretare e orientare in armonia con una filosofia generale dell’educazione la pratica dell’insegnamento. Attualmente, ai connotati tradizionalmente speculativi della riflessione di pedagogia della musica, sono subentrati interessi più spiccatamente scientifici; la disciplina tende così a configurarsi, in molti casi, come una scienza empirica che si avvale dell’apporto di una molteplicità di settori di studio (le varie branche del sapere musicologico, la psicologia, la sociologia, l’antropologia ecc.) e produce una ricerca descrittiva ed esplicativa non sempre nettamente distinguibile dai prodotti di tali settori di studio. Si può affermare, per tanto, che la pedagogia della musica appare oggi contraddistinta da un pluralismo teorico e metodologico e da un sostanziale eclettismo. Nell’uso corrente, inoltre, si tende a riportare alla pedagogia musicale non solo la concettualizzazione e la teoria, ma anche la pratica formativa, così che la distinzione fra pedagogia musicale ed educazione musicale si è fatta incerta e sfumata» [2].
Fin dall’antichità, la musica è stata considerata disciplina fondamentale per la formazione dell’individuo; per questa ragione, ancora oggi, è presente fin dalla scuola dell’infanzia. Per la sua posizione interdisciplinare, essa non è “motivo” di interesse solo per le discipline prettamente musicali, ma è materia di studio e di ricerca in campo medico neurologico e psicologico, sociologico, antropologico culturale, nonché fonte di interesse per la fisica e nello specifico per la fisica acustica, per la statistica e le scienze sociali.
Nessuno può mettere in dubbio che la musica sia un linguaggio universale apprezzato e compreso da tutti, a prescindere dalla sua origine geografica, dal genere e dalla definizione di musica “colta” o “non colta”; né tantomeno si possono considerare opinabili gli studi scientifici condotti su questa, e sui benefici psicologici e neurologici che la musica apporta alla mente e al fisico dell’essere umano. In effetti, nella letteratura, numerosi sono gli studi di terapisti che applicano la musicoterapia come tecnica riabilitativa nell’ambito di malattie neurologiche e psichiatriche, e ci piace sottolineare che gli strumenti più idonei in questo tipo di approccio siano principalmente gli strumenti a percussione. Con ciò non vogliamo però intendere che i percussionisti siano musicoterapisti o che i musicoterapisti siano percussionisti, poiché i primi restano “soltanto” dei musicisti e i secondi – pur avendo studiato musica – sono “soltanto” dei terapisti. Fino a prova contraria, ad ogni modo, gli strumenti a percussione dimostrano di avere origini antiche e di essere considerati, per importanza, pari alle altre famiglie strumentali.
Tuttavia, se da un lato la musica è “per tutti”, dall’altro, diventa “per pochi”, ovvero per quelle persone che, con passione e per passione, intraprendono lo studio di uno strumento e della disciplina in sé per divenire musicisti qualificati o insegnanti abilitati.
Il conservatorio e gli istituti musicali pareggiati sono gli unici luoghi accademici dove si consegue il titolo riconosciuto dallo stato e connesso ad uno strumento, al canto, alla composizione, alla direzione d’orchestra ecc.
La loro origine risale ai secoli XIV e XV, quando la musica veniva insegnata agli orfani o ai bambini poveri per avviarli a una professione, presso istituzioni di carità pubbliche italiane. I primi “ospedali”, ovvero le più antiche istituzioni di questo genere, sorsero a Venezia e a Napoli.
Quindi un musicista, per definirsi tale, deve almeno avere il titolo che lo certifichi; per insegnare deve possedere l’abilitazione e vincere un concorso; per suonare in orchestra deve aver sostenuto e vinto un’audizione.

Cosa c’è dietro la noiosa tecnica strumentale?
Alla base dello studio di uno strumento musicale c’è la “tecnica”. Ma in cosa consiste? Essa è caratterizzata da una serie di esercizi mirati, che allenano e perfezionano, migliorando le capacità dell’allievo, con l’obbiettivo di fargli raggiungere una certa padronanza dello strumento, e che allenano altresì funzioni superiori a livello cerebrale, proprie dell’essere umano, quali: pensiero, coscienza, apprendimento e memoria. Funzioni, queste, tra loro correlate, consequenziali, inseparabili.
La memoria è la capacità del cervello di conservare informazioni, ovvero quella funzione psichica o mentale volta all’assimilazione, alla ritenzione e al richiamo, sotto forma di ricordo, di informazioni apprese durante l’esperienza o per via sensoriale.
Non esiste alcun tipo di azione o condotta senza memoria, essa infatti è considerata una delle basi che rendono possibile la conoscenza.
I processi mnemonici fondamentali sono di tre tipi:
- acquisizione e codificazione,
- ritenzione ed immagazzinamento,
- recupero.
La memoria, dunque, non è da concepire come un semplice contenitore di dati, bensì risulta essere un processo attivo e dinamico capace di acquisire e codificare informazioni che vengono interiorizzate e recuperate al momento del bisogno.
Il più diffuso criterio di classificazione della memoria si basa sulla durata della ritenzione del ricordo, identificandone tre tipi distinti:
- la memoria sensoriale (per la durata di secondi o millisecondi),
- la memoria a breve termine (recente),
- la memoria a lungo termine (remota).
Alcune delle informazioni contenute nella memoria sensoriale possono passare, opportunamente codificate, nella memoria a breve termine, che può conservarle fino a pochi minuti. Alcune delle informazioni in essa contenute possono passare in quella a lungo termine, che può conservarle per giorni oppure tutta la vita.
Ma ci sono altri tipi di memoria come:
- la memoria di rievocazione: è semplicemente la capacità di richiamare alla mente ricordi di fatti vissuti o appresi;
- la memoria di riconoscimento: è quella in cui, grazie ad un preciso dettaglio, si può ricordare l’intera scena accaduta;
- la memoria procedurale: riguarda le abilità motorie e fonetiche apprese con il semplice esercizio e svolte in seguito automaticamente o semiautomaticamente.
La memoria ha un’importanza particolare in tutti gli aspetti della musica, dal ricordo di passaggi melodici e armonici alla memoria remota che attinge al proprio bagaglio esperienziale, fino alla memoria recente che permette di individuare riferimenti per orientarsi all’interno dello stesso materiale sonoro, come per esempio l’orientamento dato da un punto di riferimento all’interno di uno spartito che deve essere eseguito.
Molti studi sulla neurologia della musica sono fondati sull’organizzazione del sistema della memoria tonale e sulle diverse modalità in cui l’informazione tonale viene ricodificata e conseguentemente registrata nella mente.
«La memoria senso-motoria e visiva è necessaria, in particolare per l’esecuzione, ma è a sua volta rinforzata dalla abilità teorica dell’analisi formale ed armonica e dalla conoscenza dello stile del compositore» [3].
«Nella musica di ogni particolare cultura, le sequenze melodiche e armoniche sono composte di piccole serie di relazioni tonali, che si dice costituiscano la loro scala. La serie di note della scala viene così a formare un alfabeto nei cui termini può essere definita una melodia o sequenza armonica» [4].
È dunque provato scientificamente che la memoria è indispensabile per un musicista, ed essendo questa correlata alle altre funzioni superiori (pensiero, coscienza, apprendimento), va allenata e sollecitata per essere sempre attiva e dinamica. Gli esercizi di tecnica strumentale, per un musicista, sono ottimi mezzi di allenamento, che contribuiscono inoltre alla conoscenza musicale e strumentale.

Per esempio, sulle scale
Gli elementi basilari di tutta la teoria musicale e della tecnica di un musicista sono, per esempio, le scale e gli intervalli; questi elementi, infatti, vengono studiati in materie quali Teoria e Solfeggio, in Storia ed Estetica della musica e anche in Armonia complementare, oltre a rientrare negli esercizi di tecnica strumentale.
La loro importanza si evince dunque dalla loro duplicità teorico-pratica, ma anche dall’essere oggetto di studio di discipline come la Neurologia della musica.
La “fortuna” dei percussionisti consiste nel fatto di dover studiare e quindi conoscere le scale, su più strumenti, nello specifico gli strumenti classici a suono determinato, che ricordiamo essere: marimba, vibrafono, xilofono, Glockenspiel e, volendo, i timpani. La loro “sfortuna” consiste nel fatto di doverle studiare oltre che a due bacchette, sulla marimba e sul vibrafono, anche a quattro, e, almeno, per terze, seste e ottave. In quanto, come già evidenziato in precedenza, i percussionisti, rispetto agli altri musicisti, devono studiare più strumenti, previsti nel loro corso di studi ministeriale.
Il primo passo consiste nello studio teorico delle scale, attivando le prime tre fasi mnemoniche: acquisizione e codificazione, ritenzione e immagazzinamento, recupero; per poi passare all’atto pratico sullo strumento, attivando automaticamente la memoria di rievocazione, che subentra nel momento in cui, tramite l’acquisizione e la codificazione, le scale sono state analizzate e capite, ricordandosi la loro successione di suoni e la presenza di suoni alterati.
La fase successiva consiste nella memoria di riconoscimento, che porta, come conseguenza, alla ripetitività, al riconoscimento della scala in sé, quindi della tonalità, per poi procedere all’attivazione della memoria procedurale che riguarda le abilità motorie e foniche, apprese con il semplice esercizio/ripetizione e svolte in seguito automaticamente o semiautomaticamente.
Un bravo maestro, oltre a spiegare teoricamente e praticamente le scale al proprio allievo, per “invogliarlo” ulteriormente, gli fa capire, con una dimostrazione, l’utilità della conoscenza delle scale. Come per il linguaggio parlato si combinano cognitivamente vocali e consonanti, infatti, anche la musica, considerata linguaggio universale, per esprimere il cognitivo e l’emotivo del compositore, adopera queste successioni di suoni naturali e alterati, in modo ascendente e discendente.
Inoltre, lo studio pratico delle scale sugli strumenti permette la conoscenza dello stesso strumento e il relativo progresso della gestualità, la padronanza dei suoi registri, della sua estensione e del suo timbro, per non dire dei benefici che porta all’orecchio stesso, il quale, inconsapevolmente, viene allenato.
I risultati migliori, dunque, si ottengono con il costante esercizio unito a un’imprescindibile passione per lo studio del proprio strumento. Ed è proprio in quegli inevitabili momenti in cui tale determinazione tentenna – siamo o non siamo esseri umani? – che bisognerebbe pensare ai tenaci percussionisti, i quali tecnica ne devono possedere “di più” rispetto agli altri strumentisti, oppure, si potrebbe riflettere su uno scritto del teorico John Cage, che nella Prefazione a Le percussioni di Guido Facchin, datata agosto 1989, tra l’altro scrive: «La percussione è tutta aperture. Non solo è illimitata. È infinita. Non ha niente a che fare con gli archi, coi legni o con gli ottoni (sto pensando agli strumenti delle orchestre), anche se questi strumenti, quando volano via da quella stia per polli che è l’armonia, due o tre cose le potrebbero imparare, dalla percussione. Quando non si ascolta per “ascoltare musica” è in modo percussivo che si sentono, l’uno dopo l’altro, i suoni reali. Questo dovunque, in casa e fuori, in città e fuori città. Su questo pianeta soltanto?».

Emanuela Cangemi


Note
[1] Salvatore Pintacuda, Acustica musicale per i conservatori di musica, i licei e gli istituti musicali, Milano, Edizioni Curci, 1991, pp. 58-59.
[2] L’universale. La grande enciclopedia tematica, Milano, Garzanti, 2006, p. 661.
[3] Macdonald Critchley, Ronald Alfred Henson, La musica e il cervello. Studi sulla neurologia della musica, Padova, Piccin Nuova Libraria, 1987, p. 17.
[4] Ivi, p. 117.

(www.bottegascriptamanent.it, anno X, n. 111, dicembre 2016)

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