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Problemi e riflessioni (a cura di Mariacristiana Guglielmelli) . A X, nn 105/106, mag/giu 2016

Zoom immagine Quando la malattia
si fa intima risorsa
per sé e gli altri

di Roberta Tiberia
Un romanzo corale edito da Lepisma
getta nuova luce sui disturbi psichici


Sembrano sprazzi di storie, all’inizio apparentemente scollegate, che hanno però tutte un denominatore comune: i disturbi psichici e neurologici. Tutto inizia in un centro riabilitativo di Roma dove Claudio accompagna suo figlio Luca che non parla da quando è nato; qui poi giunge anche Ezra, caduta in uno stato di nevrosi compulsiva a causa di un terribile trauma vissuto da bambina. Infine, arriva Antonio, diventato stalker quasi senza accorgersene, dopo essere stato rifiutato da una «Lei», il cui nome non viene mai pronunciato. Nella struttura sono già in cura Marco, che crede di sentire le voci (le «monadi») e il figlio cerebroleso di Nina, madre armata di coraggio e tenerezza.
Claudio, Ezra, Marco, Nina e Antonio sono i personaggi principali di Asperger (Lepisma edizioni, pp. 198, € 14,99), il romanzo-racconto scritto da Ninetta Pierangeli, già autrice di diversi opere per bambini, che stavolta ha deciso di misurarsi con un argomento delicato e impegnativo: il dramma di chi – direttamente o come testimone partecipe – vive un handicap; che sia di tipo fisico o mentale poco importa, perché in ogni caso si troverà proiettato in una dimensione lontana da una quotidianità che possa definirsi normale. Il titolo emblematico del testo si riferisce alla sindrome di Asperger, un grave disturbo dello sviluppo caratterizzato dalla presenza di difficoltà nell’interazione sociale e da schemi inusuali e limitati di interessi e di comportamento; presenta, inoltre, molte similitudini con l’autismo senza ritardo mentale.
Un romanzo che assume la configurazione del testo teatrale per la presenza quasi esclusiva di dialoghi, con cambi scena a ogni capitolo. Le situazioni vissute dai personaggi principali scorrono parallele finché non arrivano a intrecciarsi. Così accade che Claudio, abbandonato dalla moglie, cerca una baby-sitter per il figlio e incontra Ezra, alla disperata ricerca di un lavoro perché da poco disoccupato. Mentre Antonio, spinto dallo psicologo, inizia il corso di ortoterapia, al quale partecipa anche Marco.

Il mistero dei semi scomparsi
Ognuno subentra nella vita dell’altro e ne condivide i dolori. L’orto coltivato dai pazienti del centro diventa luogo simbolico, oltre che reale, del malessere condiviso, che attraverso la creatività si alleggerisce, stillando nuova vita. Dice Marco: «L’orto è l’asilo e le piantine sono le creature. E noi chi siamo? Noi siamo gli educatori dell’asilo. Educare: ex-ducere, cioè tirare fuori. Il nostro compito è tirare fuori dalla terra le pianticelle. Per far questo dobbiamo dividerci ed essere sempre presenti».
Ma l’orto è anche il luogo attorno al quale la trama si infittisce; a un certo punto si scopre che le piante non nascono perché i semi sono stati rubati. Parte la caccia al ladro e il romanzo si trasforma così in un giallo in cui si susseguono situazioni comiche. Chi avrà rubato i semi dall’orto? I volontari, i dottori o Edoardo, il giardiniere che tiene il corso? L’effetto sorpresa ci sarà solo a conclusione dell’opera.

Una possibile rinascita
Un romanzo che da monologo diventa corale, dove l’autrice mette nero su bianco, con stile semplice e immediato, le angosce e i timori di chi ha una vita diversa dalle altre. Tuttavia, proprio la diversità si trasforma in risorsa, o addirittura, in dono, come nel caso di Nina, che rappresenta l’unico canale di comunicazione per Filippo, in grado di esprimersi solo con lo sguardo. Eppure proprio Nina riconosce al figlio un’intelligenza speciale («È come se tutta l’intelligenza gli fosse finita lì: nello sguardo azzurro») e si fa portavoce di un’importante lezione di vita: «In realtà è chi sta male che aiuta lui [l’altro, Ndr] a dare un senso alla sua vita, altrimenti insulsa». E ancora: «Siamo tutti noi che dipendiamo da Filippo e non lui da noi. Perché lui ci ha dato tutto: la vita e il senso, la gioia e la sofferenza, la bellezza nella bruttezza del corpo e dei movimenti, la bellezza nella bellezza vera del viso».
L’eterno conflitto tra salute e malattia non viene risolto in queste pagine, in cui assistiamo piuttosto al work in progress dei personaggi. L’autrice non sembra interessata a raccontarne la potenziale guarigione, puntando, invece, i riflettori sullo sforzo che ognuno compie per restituire dignità alla propria e altrui vita, malgrado la patologia. Quello che colpisce, alla fine dell’opera, è quel piccolo bagliore di speranza, che riconferma la vita al di là della semplice sopravvivenza. Un messaggio positivo affidato alla comparsa di una farfalla, da poco uscita dal bozzolo, che si poggia sulla maglia di un bambino malato di Asperger come a indicare una possibile rinascita.

Francesca Tarantino

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 104, aprile 2016)

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