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A X, nn 105/106, mag/giu 2016
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Politica ed Economia (a cura di Elisa Pirozzi) . A X, nn 105/106, mag/giu 2016

Politica, storia, religione:
dialogo sugli alti sistemi

di Giuseppe Licandro
In un saggio da Marcianum press, il confronto
serrato tra un sacerdote e Fausto Bertinotti


Fausto Bertinotti è stato uno dei protagonisti della storia italiana più recente. Nato a Milano nel 1940, a vent’anni prese la tessera del Partito socialista italiano e nel 1964 aderì al Partito socialista di unità proletaria. In seguito s’iscrisse al Partito comunista italiano e alla Confederazione generale italiana del lavoro.
Nel 1975 divenne segretario della Cgil piemontese, venendo poi eletto nel direttivo nazionale dello stesso sindacato. Dopo lo scioglimento del Pci, aderì per qualche anno al Partito democratico di sinistra, ma nel 1993 entrò a far parte del Partito della rifondazione comunista, del quale divenne segretario nel 1994, iniziando una brillante carriera politica che si interruppe bruscamente nel 2008.

Dall’Ulivo all’Unione
Bertinotti stipulò nel 1995 il “patto di desistenza” tra il Prc e L’Ulivo, che consentì al centrosinistra di sconfiggere il centrodestra nelle elezioni politiche del 1996.
I neocomunisti appoggiarono dall’esterno il primo governo retto da Romano Prodi, pur mantenendo posizioni critiche rispetto alla sua politica economica di stampo neoliberista. La maggioranza del Prc, però, decise di rompere l’alleanza con L’Ulivo nel 1998, provocando la caduta del governo Prodi e la scissione di una minoranza di iscritti, che diede vita al Partito dei comunisti italiani (entrato poi a far parte del governo D’Alema).
La vittoria del centrodestra, nelle elezioni politiche del 2001, impose una svolta conservatrice all’Italia: Bertinotti, pertanto, abbandonò le posizioni più intransigenti e traghettò il Prc verso un’alleanza organica con le forze di centrosinistra, contribuendo a far nascere L’Unione, la forte coalizione che, sotto la guida ancora di Prodi, sconfisse nel 2006 la Casa delle libertà, anche se di stretta misura.
Bertinotti, dimessosi da segretario del Prc, fu eletto presidente della Camera dei deputati, ma mantenne questa carica solo per due anni: anche questa volta, infatti, la maggioranza si sfaldò, dopo che l’Unione democratica per l’Europa di Clemente Mastella abbandonò la coalizione di centrosinistra.
Il Partito democratico – guidato da Walter Veltroni – ruppe allora l’alleanza col Prc: nelle elezioni politiche del 2008, quest’ultimo si coalizzò con la Federazione dei verdi, il Partito dei comunisti italiani e la Sinistra democratica, dando vita alla lista La Sinistra - L’Arcobaleno, che indicò come candidato premier proprio Bertinotti.
Le elezioni furono vinte con ampio margine dal Popolo delle libertà, mentre la sinistra radicale non riuscì a raggiungere il quorum né alla Camera né al Senato. La cocente sconfitta creò una profonda spaccatura dentro il Prc, provocando la scissione di Sinistra e libertà (in seguito denominatasi Sinistra, ecologia e libertà).
Bertinotti, a quel punto, si allontanò dalla militanza politica, dedicandosi da allora in poi solo all’attività di opinionista e saggista.
Tra i numerosi scritti dell’ex presidente della Camera, segnaliamo il recente saggio-intervista Sempre daccapo. Globalizzazione, socialismo, cristianesimo. Conversazione con Roberto Donadoni (Marcianum press, pp. 122, € 16,00), che rappresenta – secondo il prefatore Gianfranco Ravasi – «una straordinaria testimonianza di analisi e di ricerca, rivelandosi come un vero e proprio itinerario personale, intellettuale e persino spirituale».

Rifondare la politica
Il saggio, strutturato sotto forma d’intervista e diviso in quattro grossi capitoli, è nato da un’idea di Roberto Donadoni, sacerdote e direttore editoriale della casa editrice veneziana Marcianum press, che nel settembre del 2014, dopo aver incontrato Bertinotti a Capri, gli ha proposto di scrivere a quattro mani un libro incentrato «sui temi ultimi, sul destino dell’uomo».
Nel primo capitolo (Le sfide del nostro tempo), Ravasi interroga l’ex presidente della Camera sui problemi del mondo globalizzato e sulle sfide dell’età postmoderna, «l’epoca della fine delle “grandi narrazioni” e […] del declino delle “ideologie”», nella quale – per usare un’espressione cara al filosofo Zygmunt Bauman – si è assistito all’avvento della «società liquida».
Bertinotti ritiene che i pilastri fondamentali della globalizzazione siano soprattutto due, «la politica neoliberista e il postmoderno». Entrambi hanno contribuito a creare una società in cui contano soprattutto gli interessi individuali e nella quale è aumentata enormemente la disuguaglianza tra ricchi e poveri.
L’ex segretario del Prc prende atto che il modello classico di politica – fondato sui partiti e i sindacati di massa – non esiste più e che ormai l’Occidente è egemonizzato da un’oligarchia finanziaria, la quale ha imposto ai governi rigide regole economiche.
È necessario, pertanto, rifondare la politica tenendo presenti due assunti basilari: «Primo […], occorre assumere pienamente il limite, cioè eliminare, semmai c’è stata, una propensione totalizzante della politica […]; secondo, va rilanciata la categoria più alta della politica, la rivoluzione, l’idea che si possa liberare l’uomo da tutti i vincoli determinati da questa specifica organizzazione della società».
Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito al trionfo della «rivoluzione capitalistica restauratrice», la quale ha messo in discussione le conquiste storiche del movimento operaio internazionale e ha ridotto la politica a serva degli interessi del mondo finanziario, negandone la funzione emancipatrice di «critica del potere esistente».
Di fronte alla crisi della democrazia occorre “seminare” nuovi valori presso le generazioni più giovani, attendendo che essi attecchiscano, perché «c’è il tempo della semina e c’è il tempo della raccolta e, per la politica in Occidente, questo è il tempo della semina».
Tra i valori da proporre c’è, in particolare, il «meticciato di popoli e culture», cioè la mescolanza tra popoli differenti tramite l’accoglienza e l’integrazione dei migranti, facendo in modo che il Mediterraneo torni a essere un «luogo deputato al dialogo delle culture». L’Europa, tuttavia, è ancora restia ad accogliere chi emigra, rinunciando al ruolo naturale di «ponte tra il nord e il sud, l’est e l’ovest».

La “terza via”
Nel secondo capitolo (La “terza via” al socialismo) Donadoni pone al proprio interlocutore alcune domande relative alle teorie da lui esposte nel saggio Devi augurarti che la strada sia lunga (Ponte alle Grazie), che indicano nella “terza via” e nella “nonviolenza” i mezzi più idonei per trasformare la società esistente.
Bertinotti chiarisce, innanzi tutto, che la “terza via” da lui sostenuta non è quella liberale, a suo tempo delineata dal leader laburista Tony Blair, bensì «una via diversa da quella dei paesi dell’Est e della socialdemocrazia», che quindi va oltre la contrapposizione novecentesca tra socialdemocratici e comunisti.
I maggiori fautori di questa “via di mezzo” sono stati, in Italia, Lelio Basso, Enrico Berlinguer, Pietro Ingrao, Riccardo Lombardi e Bruno Trentin, i quali hanno saputo associare la critica del capitalismo col riformismo, secondo il quale la «transizione al socialismo si sarebbe dovuto realizzare attraverso un processo graduale».
L’idea che si possa trasformare il capitalismo in forma pacifica è diffusa anche nel movimento “altermondista”, cioè tra quelli che hanno messo in discussione la globalizzazione neoliberista ritenendo che «un altro mondo sia possibile», attraverso la creazione di una fitta rete di associazioni no profit, centri sociali e piccole imprese artigianali, estranea alla logica del mercato capitalistico.
Bertinotti è cosciente che le rivoluzioni comuniste del Novecento hanno finito per creare opprimenti regimi totalitari, perché hanno fatto ricorso alla violenza e si sono incentrate sull’errata convinzione che bastasse conquistare il potere politico per cambiare radicalmente la società. La storia, invece, ha dimostrato come non sia vero che «la conquista del potere apra deterministicamente la strada alla trasformazione», falsificando anche l’assunto leninista secondo il quale il partito sarebbe «l’avanguardia rivoluzionaria e il portatore necessario di una coscienza dall’esterno che è appunto la coscienza di classe».
L’ex leader del Prc, tuttavia, non considera il capitalismo come «l’ultimo orizzonte storico dell’umanità» e ne ritiene possibile il superamento, recuperando e diffondendo, su scala internazionale, gli ideali del socialismo ottocentesco, che seppe sviluppare forme organizzative democratiche come «le cooperative, gli ateliers, le case del popolo, le leghe».

Un dialogo possibile
Secondo Bertinotti, va superata la contrapposizione tra cristianesimo e socialismo, individuando «un terreno fecondo di dialogo», ad esempio «quello della lotta comune contro l’ingiustizia e per la difesa del valore della persona umana».
Nel terzo capitolo (Socialismo e cristianesimo), Donadoni sposta la discussione proprio sulle relazioni tra queste due correnti di pensiero, prendendo spunto dalle critiche rivolte al capitalismo da papa Francesco I.
Alla domanda «È realmente possibile un dialogo laddove le divergenze sono nei fondamenti?» Bertinotti risponde di sì, rilevando come «diversamente dalla fusione, il dialogo è fatto dall’accettazione della diversità».
La collaborazione tra socialisti e cristiani è concepibile a patto che si tenga separato il potere spirituale da quello temporale, permettendo cioè «una fondazione autonoma della politica» che prescinda da ogni forma di dogmatismo.
Si tratta, dunque, di rinunciare alla «propensione totalitaria» e all’integralismo tipico dei “pensieri forti”, purtroppo diffusisi sia nella tradizione cristiana, sia in quella socialista.
L’ex presidente della Camera è convinto che le predicazioni di Gesù contengano molti concetti rivoluzionari, presenti anche in talune teorie di Paolo di Tarso, ad esempio nella Lettera ai Galati in cui si dice testualmente: «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 28). Quest’affermazione viene però attenuata nella Lettera a Filemone, in cui si legge che Paolo sembra accettare l’istituzione della schiavitù, invitando il suo amico ad accogliere nuovamente in casa uno schiavo fuggito.
Nel pensiero paolino, del resto, è presente una forte componente escatologica, che impedisce di considerarlo come una «teologia politica» volta alla trasformazione dell’ordine sociale, rimandando l’avvento dell’uguaglianza e della giustizia al “Regno dei cieli” e scongiurando «uno scontro terreno con il potere politico».
Più radicale sembra a Bertinotti il messaggio egalitario presente nelle parabole di Gesù, che fu sempre attento ai bisogni dei poveri e contestò apertamente i valori del mondo romano, come testimoniano il precetto «ama il prossimo tuo come te stesso» e il forte legame comunitario da lui stretto con gli apostoli e con Maria Maddalena.
A differenza di Paolo, che costruisce la comunità cristiana tenendo conto della realtà politica del proprio tempo, Cristo rappresenta invece «un punto di svolta nella storia dell’umanità, una rottura radicale».

Il senso della vita
Nell’ultimo capitolo (Le domande ultime) il dialogo tra Bertinotti e Donadoni si focalizza sui grandi temi dell’esistenza umana, condensati in quattro domande che il sacerdote pone all’ex presidente della Camera: «Chi sono io? Da dove vengo? Dove vado? Con o senza Dio cambia qualcosa per Lei?».
Dal confronto tra i due interlocutori emerge il tema della “speranza”, mutuato dal filosofo Ernst Bloch, che per i cristiani riveste un valore essenzialmente messianico (il secondo avvento di Cristo), mentre per i socialisti assume la forma di una «utopia concreta» che auspica la fine del capitalismo e la nascita di un “mondo nuovo”.
Bertinotti si rifà espressamente al socialismo utopistico e alle teorie critiche elaborate dai pensatori della Scuola di Francoforte, in particolare da Walter Benjamin, il quale, nel saggio Tesi di filosofia della storia (Mimesis), interpretò in modo originale il quadro Angelus novus di Paul Klee (in cui si vede l’umanità – simboleggiata da un angelo – che viene spinta in avanti dal turbine del progresso e si lascia alle spalle il passato, del quale contempla angosciosamente gli orrori), elaborando una visione finalistica della storia imperniata sulla speranza di una futura redenzione dell’uomo.
È necessario, pertanto, che la maggioranza degli uomini giunga a condividere i fondamenti di una comune morale laica, imperniata sulla convinzione che occorra ricercare il bene in sé «come se Dio non esistesse», ossia indipendentemente da ogni credo religioso. Ciò comporta la separazione netta della politica dalla fede, distinguendo la vita pubblica da quella privata, per evitare le insidie che si annidano nel settarismo e nell’intolleranza.
Bertinotti, in chiusura della lunga conversazione con Donadoni, pur dichiarando di non credere nell’immortalità dell’anima («più che di immortalità parlerei piuttosto della memoria che prosegue nell’umanità che viene dopo di te e ti comprende»), ribadisce l’importanza del dialogo tra marxisti e cristiani e sottolinea l’urgenza di recuperare il valore della fraternità umana, smarritosi negli orrori del Novecento.

Giuseppe Licandro

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 98, ottobre 2015)

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