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Storia (a cura di Letizia Rossi) . A. IX, nn 99/100, nov/dic 2015

Zoom immagine “Operazione
Quercia”:
una falsità?

di Guglielmo Colombero
Il Duce libero, Savoia in fuga.
Da Il Cerchio, una rilettura
dei fatti del settembre 1943


«Il lasciapassare dei tedeschi verso Brindisi per Badoglio, il re e i ministri, è un fatto ormai noto e consolidato; così come è risaputo il massiccio imbarco dei notabili italiani nella nave Baionetta al porto di Ortona. Tuttavia nei sotterfugi di quest’ignobile copione c’era anche dell’altro: Mussolini. L’illustre prigioniero venne sottratto alla sua destinazione ufficiale. Non più alle forze alleate, bensì ai tedeschi. Ci fu un patto scritto fra gli italiani e i tedeschi? Ma come si poteva mai attuare un patto per iscritto! In quel mentre, il gioco forzato tra gli italiani e i tedeschi fu proprio quello di “salvare il salvabile”. La via da seguire era quella dell’accordo senza lasciare tracce; gli strumenti a loro disposizione per far rispettare quell’insolito patto furono proprio le armi sleali: ricatti, minacce, sotterfugi e ostaggi». In questo passaggio del volume L’ultimo segreto di Mussolini. Quel patto sottobanco fra Badoglio e i tedeschi (Il Cerchio, pp. 144, € 12,00) è contenuta la teoria di Vincenzo Di Michele, basata su una serie di testimonianze inedite, riguardo a quanto avvenne veramente in quel fatidico settembre del 1943. Sull’indegno comportamento della dinastia regnante in Italia in quelle ore tragiche di sbandamento e di terrore, la Storia ha già emesso il suo inappellabile verdetto. Vittorio Emanuele III scarica il Duce dopo aver puntellato il trono sulla sua tirannide per un ventennio, e la monarchia sabauda balza sul cocchio dei vincitori guidato dagli ex nemici angloamericani. Tuttavia, calcola male l’impatto e si rompe l’osso del collo. Al momento del referendum del 1946, gli Alleati abbandoneranno al loro destino gli screditati Savoia.
Giornalista e scrittore, Di Michele ha pubblicato La famiglia di fatto (Firenze Atheneum, 2006), un saggio sul tema delle unioni civili; Io, prigioniero in Russia (La Stampa di Torino, 2010), un resoconto dettagliato – che ha venduto ben 50.000 copie – di un reduce della Seconda guerra mondiale tratto dal diario di suo padre, alpino della Divisione Julia; Guidare oggi e Mussolini finto prigioniero al Gran Sasso (Curiosando, 2010, 2011); Pino Wilson vero capitano d’altri tempi e Come sciogliere un matrimonio alla Sacra Rota (Fernandel, 2013, 2014).

Skorzeny e Badoglio: un millantatore e un doppiogiochista?
Uno degli snodi cruciali della ricostruzione di Di Michele è l’“operazione Quercia”, che il 12 settembre 1943 portò alla liberazione di Mussolini dalla prigionia a Campo Imperatore. La versione ufficiale, secondo l’autore, è infarcita di particolari inverosimili, come le presunte acrobazie del capitano delle Ss Otto Skorzeny, praticamente impossibili per un uomo che pesava più di un quintale. Altra forzatura è data dalla presunta genialità del piano. Tutto sin troppo casuale e improvvisato, mentre, come spiega Di Michele, «anche all’ultimo minuto le operazioni sul Gran Sasso manifestarono grandi incognite; i protagonisti dovettero trattenere il fiato quando Mussolini fu portato via in aereo dal pilota tedesco Gerlach. Il capitano Skorzeny era voluto salire per forza sul piccolo veivolo – e il suo peso avrebbe potuto con notevole probabilità impedire il decollo dell’aereo. I tre si sarebbero schiantati sulle rocce se non ci fosse stato l’ampio canalone sotto il lato sud dello spiazzo di Campo Imperatore, che aveva prolungato virtualmente la pista di decollo consentendo a Gerlach di acquistare la velocità e la portanza indispensabili per prendere quota. Più che impresa leggendaria, è stato evidenziato come “fortunosa” sia la definizione più appropriata». Inoltre, pare che la località in cui era detenuto il Duce non fosse poi così segreta: secondo la testimonianza di un ufficiale dello staff di Skorzeny, Karl Radl, resa nota in Argentina negli anni Cinquanta, «sul luogo ove fosse tenuto prigioniero Mussolini, tra informatori, delatori e traditori, le informazioni non mancarono».
Riguardo al ruolo svolto dall’allora capo del governo Pietro Badoglio, definire ambiguo il suo atteggiamento significa ricorrere a un eufemismo. Osserva l’autore che «l’accordo fra Kesselring (comandante supremo delle truppe tedesche in Italia) e il duo Badoglio-Vittorio Emanuele III è stato più volte evidenziato. Nessuna delle parti ovviamente rivelò mai alcunché, ma tra questi accordi segreti c’era anzitutto la clausola della fuga del re e del suo seguito verso l’imbarco di Ortona. Era pressoché impossibile che il 9 settembre il corteo reale avesse potuto attraversare impunemente l’Italia meridionale e, addirittura, avesse potuto fermarsi per una merenda sul prato».

Codardia e vergogna, un perenne marchio d’infamia
Al di là di qualsiasi ipotesi e di qualsiasi congettura, dato che provare la veridicità assoluta delle varie testimonianze è del tutto impossibile, quanto affiora dalla meticolosa rievocazione messa insieme come un puzzle da Di Michele è a ogni modo inquietante. In primis, risulta che l’intera vicenda della liberazione di Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso è una ragnatela di falsità intessuta di nebbia e di fumo, dove nessuna delle parti in causa ha mai raccontato il vero. Inoltre, emerge senza ombra di dubbio che il governo Badoglio non mosse un dito per impedire l’incursione di Skorzeny, che gli stessi militari posti a custodia del Duce ignoravano la firma dell’armistizio, che la fuga della corte sabauda verso il Sud non fu minimamente ostacolata dai tedeschi i quali, è risaputo, non concedevano mai nulla senza ricavarne dei vantaggi. A questo punto, il lettore resta libero di trarre le proprie conclusioni.
Da segnalare l’efficace corredo iconografico del volume: l’immagine di Mussolini appena liberato, con indosso un lugubre cappotto nero e un macabro cappellaccio da spaventapasseri premuto sulla testa, assomiglia già all’istantanea di un cadavere che cammina. Anche i paracadutisti tedeschi che si affollano euforici intorno a lui (a diversi dei quali restano pochi mesi da vivere) appaiono come una turba malinconica di spettri. Allucinata la smorfia del Duce in una delle foto, che vorrebbe sembrare un sorriso, e invece svela l’angoscia di un uomo finito, prostrato nel fisico e nella mente, eppure ancora follemente proteso verso una sanguinosa agonia che costerà la vita ad altre migliaia di italiani, in maggioranza civili inermi, durante gli atroci venti mesi della Repubblica di Salò, conclusisi con la raffica di mitra del colonnello Valerio e con la nemesi liberatoria di Piazzale Loreto.

Guglielmo Colombero

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 98, ottobre 2015)

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