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Giornalisti? La codardia
adottata come strategia
di Fulvio Mazza
L’esempio emblematico, in Calabria, della tirannia
di Nicolò, subita pecorosamente da (quasi) tutti
Ripubblichiamo un articolo-saggio del nostro direttore edito sul n. 1/2003 del trimestrale Comunicando (diretto da Pantaleone Sergi assieme a Domenico Carzo, Carlo Macrì, Gianfranco Manfredi e Filippo Veltri) sotto il titolo L’Ordine regnava in Calabria.
Lo ripubblichiamo affinché rimanga impressa anche nella Rete la memora storica di questa triste vicenda fatta da tanti pecoroni, un po’ di indipendentisti individualisti e solo qualche vero aperto oppositore.
La redazione
1. Premessa
Raccogliere qualche traccia che possa servire come base per una futura storia dell’Ordine dei giornalisti calabresi è cosa assai difficile. Lo è in quanto tale storia è, per certi aspetti, assai scarna: come vedremo, l’ambigua figura di Raffaele Nicolò è assolutamente predominante. Per molti versi la trentennale storia dell’Ordine regionale (ma, come accenneremo, anche la storia di tutto l’associazionismo professionale giornalistico) coincide con la storia personale di Nicolò.
Probabilmente queste modeste righe potranno apparire più una nota biografica del personaggio che una, seppur breve, storia dell’organismo professionale calabrese. E, in effetti, per buona parte è proprio così. Probabilmente anche per incapacità del sottoscritto ma anche, e – riteniamo – molto, perché l’Ordine non ha una benché minima storia propria che non coincida pedissequamente con quella del suo sempiterno presidente.
Più interessante, ma ancor più difficile, sarebbe tentare di scrivere qualcosa sulla storia dell’acquiescenza dei giornalisti calabresi che – salvo sparute eccezioni – sono sempre stati “zitti e boni”. Ancor meglio sarebbe poi scrivere sulle diverse compromissioni degli stessi giornalisti calabresi, sulle varie illegittimità delle iscrizioni all’ordine, sulle stranezze delle assunzioni (quelle della Rai regionale, per esempio oppure quelle delle “liste variabili” dei disoccupati da “imporre” ai direttori e agli editori di nuove iniziative giornalistiche) sui criteri di erogazioni “caritative”, sui mutui per abitazioni ecc. Ma, per sfortuna/fortuna, chi scrive ha solo (qualche) competenza di storico contemporaneista e non anche di psicologo o d’investigatore.
Il lettore voglia, in ogni caso, accogliere questo breve scritto a mo’ di piccolo e iniziale contributo per una futura e complessiva storia dell’Ordine regionale su cui altri stanno lavorando. Imprecisioni e omissioni ce ne saranno certamente. Sappiano, i lettori, che sono del tutto involontarie e che, se segnalate, saranno certamente oggetto di revisione.
2. La nascita dell’Ordine regionale: da Napoli a Catanzaro
L’Ordine calabrese nasce nel 1974 [*] come filiazione dell’Ordine interregionale della Campania e della Calabria. A tale ordine, sino a quella data, venivano iscritti i giornalisti calabresi. Di tale struttura interregionale, Raffaele Nicolò (nato a Cardeto – Reggio Calabria – l’8 novembre 1930) figurava già come vicepresidente in rappresentanza, appunto, della Calabria. A tale incarico era stato eletto a partire dalla stessa data di costituzione, per legge, dell’Ordine stesso (1963).
Ma chi era, in quel momento – nel 1974 [*] – Nicolò? Già all’epoca era, giornalisticamente parlando, un “signor nessuno”.
È vero che in quegli anni il panorama editoriale calabrese era assai più scarno di quello attuale. Ma è anche vero che non era affatto assente. Esisteva, difatti, una buona struttura regionale della Gazzetta del Sud, un quotidiano piccolo ma ben presente, Il Giornale di Calabria (quello diretto da Piero Ardenti) e una serie di strutture locali di diversi organi d’informazione nazionali fra cui spiccava quella della Rai regionale. Meno evidenti, ma comunque da non dimenticare, erano altre strutture di collegamento (talvolta un po’ più, tal’altra un po’ meno che uffici di corrispondenza) di alcuni giornali nazionali: ricordiamo l’Unità, Paese Sera e, ancor di più, Il Tempo. Negli anni successivi sarebbe diminuita la presenza di tali ministrutture regionali dei giornali foranei e – di converso – si sarebbero invece incrementate, e parecchio, le presenze locali. Fra queste, l’effimero quotidiano Oggisud e tutta una serie di organi radiotelevisivi (un nome per tutti: Telespazio Calabria) [1].
Ebbene, in questo vasto panorama regionale, il vicepresidente dell’organismo interregionale, e poi presidente del neonato Ordine regionale calabrese, non svolgeva alcun ruolo di rilievo.
La sua storia professionale era cominciata, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, come addetto alla pubblicità e quindi come aspirante cronista del piccolo giornale reggino La Voce di Calabria. In quegli anni il massimo del suo “prestigio” giornalistico verteva su qualche sparuta collaborazione di cronaca locale a qualche giornale nazionale. Una sua più effettiva attività era quella di impiegato (ispettore alla diffusione) de Il Giorno.
Ma il punto più alto della sua carriera sembra essere stato quello di redattore delle pagine locali che Il Messaggero pubblicava alcuni decenni fa. Anzi no. L’apice è stato quello di aver diretto per qualche anno un giornaletto provinciale semisconosciuto, ’A forbice, che – al di là di qualche gossip politico e personale – ha lasciato ben poca traccia nella memoria collettiva.
Titolo di studio? La questione non è ben chiara; pare che abbia un diploma. Si dice non abbia una laurea anche se – qualche volta – si firmava con il titolo “dott.”.
3. L’organizzazione scientifica della coartazione elettorale
A ogni elezione la lista bloccata presentata da Nicolò risultava, con maggioranze “bulgare”, sempre vincente. La sua successione-rielezione al vertice era sempre incontrastata.
3.1 Le semplici prepotenze
Il sistema di consenso era diversificato e si basava su numerosi ma convergenti assi portanti. Una prima pratica consisteva nella “semplice” prepotenza caratteriale ed emotiva. In un mondo di imbelli (e anche i giornalisti fanno parte di tale mondo) già questo si dimostrava un sistema efficace. Un sistema che veniva migliorato con l’imposizione di orari assurdi di ricevimento (dalle sei alle nove del mattino del lunedì e solo del lunedì) che alimentava questo clima di “intimidazione” preventiva [2].
Altro sottile sistema era quello di “imporre” un colloquio preliminare (sempre nell’assurdo orario e nel solo giorno citato) a quegli aspiranti giornalisti che, prima di presentare la regolare domanda, effettuavano una telefonata per conoscere le modalità di iscrizione. Il colloquio si trasformava subito in una sorta di “avvertimento” (nel senso che faceva “capire” – e a ragione! – che tutto si faceva o si disfaceva a suo piacimento) e conseguente “genuflessione”.
Una necessaria variante a quanto evidenziato al punto precedente era quella di non rispondere alle domande d’iscrizione presentate da quei richiedenti che non avevano effettuato la precedente “genuflessione” in quanto – sapendo come funzionava il sistema – avevano deciso di presentare la domanda in modo autonomo.
Mutuando il cliché politico clientelare, allora ben vigente, la gestione dell’Ordine calabrese portava avanti un’intensa politica caratterizzata da una serie di favoritismi al limite dell’illecito etico e giuridico. Gli “amici” – fra cui i propri figli, ma anche quelli degli altri – venivano assunti nelle maggiori e meglio retribuite redazioni calabresi, venivano agevolati al massimo in tutte le pratiche abitative e pensionistiche. I “nemici” – venivano invece ostacolati in tutto e per tutto.
Altro “naturale” sistema era quello della pura e semplice iscrizione agli albi di persone che con il giornalismo avevano poco a che fare. A tal proposito sono rimaste impresse nella memoria le (ahimè cadute nel vuoto) denunce dell’allora responsabile regionale dell’Ansa di Catanzaro, Franco Scrima [3]. Nel suo ruolo di segretario sindacale, evidenziava come l’ordine (siamo alla metà degli anni Ottanta) fosse composto da molte persone che «nella loro vita avranno sì e no scritto qualche telegramma».
Della citata lista bloccata che veniva ciclicamente presentata alle varie elezioni, facevano parte solitamente personaggi di secondo piano; l’eccezione era rappresentata dai giornalisti della Rai regionale. I giornalisti che provenivano da tale redazione erano difatti sempre professionisti autorevoli, vedi i casi di Pino Nano, di Emanuele Giacoia, di Franco Martelli, di Vincenzo d’Atri.
3.2 Gli uomini di paglia
Nessuno, però, doveva fargli ombra. E quindi ecco un’attenta ricerca di personaggi, autorevoli ma non combattivi, da inserire come vicepresidenti o vicesegretari del sindacato.
L’esempio più emblematico è quello dell’allora monsignore reggino, e attuale vescovo di S. Angelo dei Lombardi, Salvatore Nunnari che può tranquillamente essere considerato l’emblema dell’“uomo vetrina” (o, per dirla diversamente, dell’“uomo di paglia”).
Analoga è la scelta dei personaggi da inviare come delegati presso l’Ordine nazionale; con la sola eccezione dell’attuale caporedattore della Rai regionale, il già citato Nano, Nicolò ha fatto sempre rappresentare la Calabria da giornalisti di seconda (o terza) fila o da pensionati dall’effettiva ed efficace attività oramai assai lontana.
Si accennava poc’anzi al sindacato regionale: il rapporto fra tale organismo e l’Ordine calabrese è sempre stato un po’ più complesso. Il disegno di Nicolò era quello di avere sempre a disposizione un organismo ombra con degli altri “uomini di paglia”. La qual cosa, però, gli è sempre riuscita ma solo in via temporanea: chiaro sintomo di una volontà, da parte dei vari segretari del sindacato locale, di farsi sì stringere, ma non “garrotare” integralmente.
Nel trentennio in questione notiamo difatti una serie di persone che, dopo un’iniziale totale acquiescenza, si sono poi caratterizzate per improvvise prese di distanza e susseguenti dimissioni.
Il riferimento è – oltre al già citato Scrima – anche agli altri segretari sindacali Enzo De Virgilio, Venturino Coppoletti e Alfonso Samengo (totalmente allineata è stata, invece, la gestione del primo segretario del sindacato, Franco Cipriani) [4]. Ma se, invece, vogliamo parlare di effettiva attività sindacale, allora il discorso diventa differente. Tale tipo di attività è stato difatti quasi sempre del tutto assente. Un’unica eccezione può essere individuata nel tentativo di Samengo di realizzare un organo d’informazione giornalistica regionale [5].
3.3 I circoli della stampa
Un ruolo di complemento era poi riservato ai Circoli della stampa. Sia quello del Pollino (presieduto da Cosimo Bruno) sia quello del Vibonese (presieduto da Giuseppe Sarlo) sia quello del Tirreno cosentino (presieduto da Gaetano Vena) servivano solo come strumento di controllo elettorale nella variegata galassia dei pubblicisti. Con difficoltà, nella loro storia, si potranno trovare momenti di attività reale (analisi, studi, confronti seri); molto più spesso, invece, momenti ludici e conviviali.
Un caso a sé è invece quello del Circolo dei giornalisti di Cosenza, promosso e presieduto da Santi Trimboli. Se ha certamente avuto il merito di nascere al di fuori della morsa dell’Ordine e del Sindacato, ha avuto anche il demerito di non svolgere alcuna attività legata alla professione rimanendo solo un “organismo virtuale” [6].
E non mancavano le piccinerie e i dispettucci. Uno dei quali era quello di gestire in modo, diciamo così, “strano” le comunicazioni degli elenchi dei giornalisti all’Agenda del Giornalista i nominativi dei giornalisti, diciamo così, antipatici [7].
3.4 Le connivenze nazionali
Ma non possiamo concludere questo breve excursus sulla costruzione del sistema organizzato da Nicolò, per gestire e conservare il suo potere, non ricordando l’azione “pilatesca” compiuta dagli organismi nazionali e – nello specifico – dall’Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi (per non parlare dell’Inpgi) che hanno preferito “non vedere, non sapere, non parlare”.
A chi vi si rivolgeva, la risposta ricordava veramente il celeberrimo funzionario romano: «Lo avete eletto voi calabresi, che volete da noi?». Il che era verissimo ma altrettanto lampante era pure il desiderio dei vari rappresentanti di tali organismi di non guastarsela con un personaggio cosi “particolare” abdicando, dunque, ai propri doveri di sorveglianza e intervento.
A tal proposito va sottolineato un aspetto probabilmente poco conosciuto. Nei suoi anni di potere Nicolò ha portato la categoria calabrese quasi sempre a schierarsi, nei momenti congressuali, con la minoranza. Poi egli stesso si è – altrettanto quasi sempre – accordato con la maggioranza, ottenendone posti di rilievo nel sottogoverno gestionale. Tale doppia azione si motivava con un’analoga doppia strategia. La prima era quella di essere un “prezioso” strumento di rafforzamento delle maggioranze (nella più recente gestione dell’Inpgi era – difatti – l’ago della bilancia). Il secondo era quello di evitare al massimo che altri elementi della delegazione calabrese potessero entrare organicamente negli organismi nazionali.
Una delle pochissime eccezioni, a tale connivente andazzo, è stata rappresentata dal presidente dell’Ordine lombardo, Franco Abruzzo. È vero che anche lui – pure a chi scrive queste annotazioni – esordiva sempre con: «Lo avete eletto voi calabresi, che volete da noi?»; ma è anche vero che poi, anche se fortemente ancorato ad un rispetto formale e sostanziale delle prerogative e dei limiti regionali (sia lombardi che calabresi), non esitava a fornire pareri e consigli e nemmeno a passare ad azioni concrete. Fra queste, le celebri “adozioni” in Lombardia di diversi praticanti al fine di farli diventare professionisti [8] e l’ancor più celebre notifica, urbi et orbi, della sentenza che – come accenneremo più avanti – ha determinato la radiazione di Nicolò dall’Ordine dei giornalisti. In tale ambito un ruolo psicologico di non scarso rilievo è stato certamente svolto dall’essere, Abruzzo, di origine calabrese. Stesso atteggiamento, anche se meno vistoso, ha adottato Bruno Tucci, anch’egli d’origine calabrese, presidente dell’Ordine interregionale del Lazio e Molise.
3.5 Nicolò “caput mundi”
In stretta connessione con il precedente dato dell’acquiescenza degli organismi nazionali verso la situazione calabrese è quello relativo all’occupazione – diremmo quasi “manu militari” – dei vari organismi di rappresentanza regionale della categoria: Nicolò era, difatti, rappresentante nazionale e regionale della Casagit, dell’Inpgi e di quant’altro ci fosse o ci potesse essere. In qualche caso riusciva a rappresentare sia i giornalisti in servizio sia quelli in pensione, sdoppiandosi nei due ruoli con impareggiabile abilità in modo da essere ubiquo sia a livello nazionale che a livello regionale. Di tanto in tanto, per problemi statutari o quando – raramente – qualche vertice nazionale opponeva una più pressante perplessità, Nicolò cedeva provvisoriamente (ma solo formalmente) le redini a qualcuno dei suoi tanti “uomini di paglia”. In altri casi – vedi il sindacato – quando l’incompatibilità era più evidente e meno facilmente celabile, adottava il sistema dell’occupazione di un incarico ad hoc che gli permetteva di dirigere effettivamente l’organismo. Ci riferiamo alla – fantomatica – Consulta sindacale.
A ogni buon conto, e in estrema sintesi, quando non era presidente, segretario, fiduciario ecc. di un “qualcosa”, ne era quasi sempre vicepresidente, vicesegretario, vicefiduciario ecc.
Molto più contrastato è stato l’appeal che l’Ordine calabrese – e, ovviamente, Nicolò – ha esercitato presso gli stessi mass media. Sui giornali calabresi l’ordine veniva citato abbastanza poco. Ma quando ciò avveniva, era per esprimergli complimenti a raffica. Da questa linea si discostavano platealmente il Quotidiano e il bisettimanale il Crotonese che – specialmente quest’ultimo – lo ignoravano abbondantemente. Ma qualche annotazione va effettuata anche relativamente agli altri organi di stampa. Prendendo in esame, per esempio, il quotidiano egemone della Calabria, la Gazzetta del Sud, notiamo come le notizie dedicate all’ordine e al suo “padrone” erano sempre assai defilate. Così non era stato invece agli esordi della sua presidenza, quando tale giornale aprì le sue pagine alle numerose “difese” di Nicolò, la cui visione e la cui gestione erano fortemente criticate da Franco Martelli ed Elio Fata (poco dopo passati alla sua “corte”) su Il Giornale di Calabria (di Ardenti).
Nel versante contrario, invece, la Rai regionale che, indipendentemente dai vari responsabili di redazione del momento, enfatizzava sempre – spesso con “opinabile” rilievo (si noti l’apposito bizantinismo) – le varie manifestazioni, come già accennato, poco più che conviviali, che vedevano Nicolò sempre enfaticamente al centro dell’attenzione. Una piccola ma combattiva voce di opposizione a tale gestione dell’ordine fu, di contro, negli anni Ottanta e Novanta, il piccolo foglio di controinformazione Cultura Calabrese (diretto da Giuseppe Grisolia e, dopo la sua morte, dalla figlia Rosanna) [9].
Una forte esaltazione della sua persona è invece venuta dalla cosiddetta “società civile” calabrese: proprio da quella che era la maggiore vittima (nel senso che era la fruitrice di una cattiva informazione generata dalla pessima gestione dell’ordine). Se, difatti, vogliamo far coincidere la società civile con le associazioni, e poi queste ultime con i premi culturali, dobbiamo dire che Nicolò è stato per trent’anni il paladino della stessa società civile calabrese. Riteniamo che egli sia stato il più premiato fra tutti gli esponenti regionali. È chiaro che i due assunti iniziali non sono sempre validi e che – soprattutto – premiare Nicolò era una scusa per far “passare” la notizia sui giornali. Ma anche questo è un dato da valutare [10].
In quest’ultimo contesto un ruolo di oggettiva connivenza è stato costantemente svolto anche dai padri francescani di Paola che – pur ben sapendo di che personaggio si trattasse – gli hanno sempre tributato gran salamelecchi a ogni festa di S. Francesco di Sales [11].
Pessima stampa Nicolò e l’Ordine hanno invece “goduto” sugli organi d’informazione nazionale specializzata. Quando su Prima Comunicazione – e, ancor di più, su www.il barbieredellasera.com, su www.larespublica.com, e su http://groups.yahoo.com/group/quartopotere – compare il nome di Nicolò, esso compare quasi sempre solo per raccontare qualche sua nefandezza.
4. Le prime crepe: il Crotonese, Cam Teletre, L’Inserto di Calabria e il Quotidiano
In questo contesto generale, le prime crepe si incominciano a vedere negli anni Ottanta, quando anche le nuove tecnologie favoriscono la nascita di testate autonome.
Una delle più significative, benché quantitativamente ancora insufficiente, è rappresentata dal settimanale (poi bisettimanale) il Crotonese. Il suo editore-direttore, Domenico Napolitano, riesce a metter su un giornale, nonostante (anzi “contro”) l’Ordine regionale che – tra l’altro – tenta, ma senza riuscirvi, di bloccare l’iscrizione all’albo dei primi pubblicisti. Un effetto dell’antagonismo del bisettimanale è che ancora oggi, a quasi un quarto di secolo di distanza dall’uscita del primo numero (1980), in tale giornale non esiste alcun giornalista professionista. Se, difatti, Napolitano è riuscito a imporre – carte alla mano e anche grazie a una serie di ricorsi – l’iscrizione di un sempre maggior numero di pubblicisti, è stato bloccato nell’avvio di qualsiasi ipotesi di praticantato professionale.
Dopo una decina di anni, è seguito il caso della piccola emittente televisiva cosentina, Cam Teletre, ove il direttore responsabile, il frate cappuccino Vittorino Vivacqua, venne sospeso dall’ordine per non aver accettato l’“inginocchiamento” a Nicolò [12].
Poco dopo avvenne la clamorosa protesta di Maurizio De Fazio che, dagli schermi dell’allora emergente emittente Vuellesette-Cinquestelle, di Lamezia Terme, si imbavagliò platealmente contro l’ostruzionismo che l’Ordine – e il sindacato – ponevano nei confronti della citata emittente (e contro la decisione dell’ordine di non iscriverlo come professionista) [13].
Per certi versi analoga a quella de il Crotonese è la vicenda de L’Inserto di Calabria. Si trattava di un settimanale che, promosso nel 1993 da un gruppo di giovani editori, scontava il “reato” di aver tentato anch’esso un avvio senza l’abituale genuflessione [14]. A nulla in questo caso era valso il fatto che il direttore responsabile del giornale fosse Francesco Gallina, silenzioso vicepresidente dello stesso Ordine.
Al contrario de il Crotonese (per l’isolazionismo di Napolitano) e di Cam Teletre (per vigliaccheria professionale delle testate locali) questa fu invece una vicenda che deflagrò anche in pubblico. Gallina – spalleggiato dai giovani editori (Donatella Guido, che successivamente intraprese con successo anche importanti ruoli giornalistici, Francesco Giannone, Raffaele Giordanelli, Francesco Schirinzi) – decise difatti di reagire fortemente contro la “solita” prepotenza anche rendendo pubblica, tramite le colonne dello stesso settimanale, la problematica. Pure in questo caso, al di là di qualche eccezione, la categoria si mostrò silente.
La svolta si ebbe con il Quotidiano. Come è noto, il Quotidiano della Calabria (allora il Quotidiano di Cosenza e provincia) nasceva nel 1995 come filiazione, benché indiretta, dello stesso Inserto. E questa può essere considerata la vera e propria pietra miliare sulla quale si innesteranno poi diverse posizioni in favore della “liberazione” della categoria. Per la prima volta, difatti, nasceva in Calabria un quotidiano diretto da un giornalista, Pantaleone Sergi, che aveva l’autorevolezza (e qualche mezzo editoriale in più rispetto alla citata esperienza “garibaldina” de il Crotonese) per opporsi con efficacia ai soliti tentativi di controllo messi in atto da Nicolò.
Su tali colonne, tra l’altro – e soprattutto durante la successiva direzione di Ennio Simeone – sono stati pubblicati diversi articoli dello stesso Simeone di denuncia sul deprimente stato dell’Ordine [15].
5. Dopo trent’anni: l’Ordine gestito ancora da un giornalista “ignorato”
Sin qui il quadro passato. Passiamo adesso, come si suol dire, ai “nostri giorni”. Dicevamo, qualche decimetro di colonna stampata fa, che – al momento della costituzione dell’Ordine calabrese – il presidente dell’Ordine stesso, Nicolò, era un “signor nessuno”; tale lo ritroviamo trent’anni dopo, all’inizio del nuovo secolo. Nessuna densa o prestigiosa attività giornalistica aveva effettuato prima; nessuna neppure dopo. Nella sua più recente esperienza professionale, notiamo la collaborazione a qualche giornale periferico calabrese (soprattutto il nuovo e, semiclandestino, Il Giornale di Calabria (quello diretto da Giuseppe Soluri) qualche collaborazione a Telespazio Calabria e… finisce praticamente qui.
Nel suo curriculum professionale, dunque – né prima, né dopo la sua elezione a presidente – nessun ruolo di inviato, di caporedattore, di direzione di organo di stampa almeno regionale, ma anche nessuna grande inchiesta. Nulla.
Una controprova proviene dal documentato volume di Sergi, Quotidiani desiderati che, praticamente non lo ha quasi mai citato (le sparute citazioni riguardano fattori marginali). In altre parole, in un libro che analizza la storia del giornalismo calabrese, Nicolò è come se non esistesse [16].
Non basta? E allora ecco un’altra controprova: l’Università della Calabria ha istituto corsi di laurea e diversi insegnamenti che riguardano la comunicazione e il giornalismo. Normalità – come avviene in casi simili un po’ in tutta l’Italia – sarebbe stata che al presidente dell’Ordine (e, come abbiamo accennato, del sindacato, degli enti previdenziali, di assistenza sanitaria ecc.) venisse affidata, se non la gestione, almeno un qualche incarico importante. E invece no. Nulla: né un ruolo di docenza né un ruolo da portinaio.
In forti difficoltà, come il sottoscritto, si trova anche chiunque altro desiderasse conoscere il “pensiero” di Nicolò. I suoi discorsi erano, difatti, intrisi di ovvietà (e di arroganza). Una vacua genericità che emerge anche nei suoi (pochi) scritti [17].
6. L’errore e l’azione
Ma tant’è. Tanto è stato e tanto sarebbe continuato a essere ancora, se Nicolò non avesse commesso un errore, scivolando sulla classica “buccia di banana”, e non ci fosse stata un’azione che l’ha messo in luce.
La “buccia di banana” è stata costituita da una truffarella che Nicolò ha compiuto ai danni dell’Inpgi che gli ha comportato una condanna, confermata con sentenza definitiva dalla Cassazione, a tre mesi. Come accenato, l’azione è stata condotta dal presidente dell’Ordine della Lombardia, Franco Abruzzo, che ha fatto conoscere la faccenda.
E, con un “colpo di scena” da far invidia a qualsiasi regista di thriller, Abruzzo decide di distribuire la documentazione della condanna ai vari giornalisti riuniti durante gli “Stati generali” convocati a Roma ai primi d’ottobre 2002.
Riportiamo qui di seguito la cronaca della vicenda ben raccontata su l’Opinione:
«Il caso Nicolò è scoppiato in pieni stati generali. Ne ha condizionato anche i lavori. I 300-400 giornalisti riuniti a Roma per discutere i problemi sul tappeto sono stati messi di fronte ad un evento di straordinaria gravità. Tutti i dirigenti e consiglieri dell’Inpgi sono stati costretti ad esaminare, per ore, il caso sollevato ancora una volta dal Presidente dell’Ordine della Lombardia Franco Abruzzo. Non ne aveva parlato il Presidente dell’Inpgi Gabriele Cescutti nella relazione sulle ultime decisioni dell’istituto a partire dalla contestata mini-riforma delle pensioni. Aveva preferito consegnare a mano una lettera sulla vicenda, convocando una riunione straordinaria ad horas. E così anche la “scioccante” relazione sui mali dell’editoria di Paolo Serventi Longhi è passata in secondo piano. L’attenzione si è concentrata sulla vicenda che coinvolge un componente dell’esecutivo dell’Inpgi, presidente dell’Ordine della Calabria e leader da oltre un ventennio del sindacalismo giornalistico calabrese. Uno shock per tutti. […]. Mentre gran parte dei delegati si interrogava se la notizia era vera oppure si trattava di un’altra delle tante accuse lanciate da Franco Abruzzo, arrivava Pierluigi Franz, consigliere dell’istituto e presidente dell’Associazione stampa romana con in mano le due sentenze della Corte di Cassazione che respingevano i due ricorsi presentati dai legali di Nicolò contro le tre sentenze di condanna. La documentazione non era però in mano ai vertici dell’Inpgi i quali hanno preso tempo prima di prendere le decisioni del caso. Sulla vicenda ci sono molte responsabilità e non potrà chiudersi senza che nulla fosse accaduto. Il regolamento è preciso: il consigliere condannato decade dalla carica. In particolare il consigliere Raffaele Nicolò ha manifestato l’intenzione di dimettersi. Non solo. Il consiglio dell’Inpgi dovrà, una volta dichiarato decaduto, accertare se nelle decisioni del 13 dicembre 2001 il voto di Nicolò fu determinante oppure no. Nel primo caso tutte le delibere sono nulle. E tra queste c’è la questione della mini-riforma delle pensioni, portata avanti con una votazione di 7 a favore e 7 contrari grazie al voto favorevole di Nicolò e al doppio voto del Presidente Cescutti. Al di là pertanto dell’aspetto morale (il silenzio dell’interessato e la mancata vigilanza dell’istituto nella causa), la vicenda riveste grande rilievo, che coinvolge tutti i giornalisti. Una riforma viziata da una votazione illegittima. C’è poi la questione deontologica sollevata da Franco Abruzzo. Un incidente di percorso? Un giallo? E cioè qualcun altro avrebbe falsificato le ricevute? Il Pretore di Roma nel 1998 condannò Nicolò per truffa, accertando che avrebbe falsificato l’importo e la data delle ricevute fiscali per rimborsi di spese sostenute nella sua qualità di consigliere dell’Inpgi. La Corte di appello di Roma confermava nel 1999 la sentenza del Pretore. Nicolò ricorse in Cassazione contro la condanna ad 8 mesi e 800 mila lire di multa. Nicolò nel frattempo restituì all’Istituto circa due milioni ma l’iter giudiziario andò avanti. La Cassazione allora riconobbe che non erano state applicate alcune attenuanti e rinviò tutto alla Corte di appello. Questa ridusse la condanna a tre mesi. Nicolò ricorse ancora ma questa volta la Cassazione respinse il ricorso per cui la vicenda giudiziaria è giunta alla fermata definitiva. La sentenza è del 13 dicembre. Da allora fino a settembre (9 mesi) silenzio assoluto sulla vicenda […] [18]».
7. “Il re è nudo”. La condanna viene stampata (solo) su il Quotidiano
Se ci si può interrogare sul perché – a parte l’Opinione, giornale decisamente “periferico” nel panorama editoriale nazionale – le altre testate italiane hanno preferito tacere sulla faccenda (che, in effetti, potrebbe anche essere – dal punto di vista nazionale – poco rilevante), pochi dubbi si possono avere relativamente ai giornali calabresi che avrebbero – professionalmente e deontologicamente parlando – dovuto dare gran rilievo a una siffatta notizia.
All’interno dell’oramai articolato panorama editoriale calabrese (oltre ai giornali citati si pubblicavano in quel momento anche il Domani della Calabria, La Provincia cosentina e il Domani di Cosenza e provincia) solo il Quotidiano della Calabria pubblica la notizia.
In verità erano uscite due minuscole notizie d’agenzia che sembravano battute dalla sovietica Tass per quanto contorte e criptiche fossero, e dunque assolutamente incomprensibili.
In questo contesto, che non si può far altro che definire omertoso, va però notata l’iniziativa, presa d’accordo col gruppo della rivista Comunicando, da Carlo Macrì, corrispondente dalla Calabria per il Corriere della Sera, che sull’argomento presentava, il 16 ottobre, un esposto alla Procura Generale presso la Corte d’appello di Catanzaro.
Infine, il capo redattore de il Quotidiano, Paride Leporace, con la piena condivisione del direttore Simeone, accetta di pubblicare un articolo di chi scrive, per far emergere la vicenda. Leggiamo assieme alcune righe dell’articolo che – senza tema di smentita – possiamo dire sia servito da “stura” della problematica.
«In Calabria c’è uno scandalo sotterraneo che non emerge. Riguarda un’importante rappresentanza professionale regionale che – per la sua rilevanza nella formazione dell’opinione pubblica – viene comunemente definita Quarto potere. Il massimo esponente calabrese di tale organismo fa anche parte (come accade un po’ in tutte le strutture rappresentative) di un altrettanto importante organo nazionale della categoria medesima. In tale veste ha compiuto alcune, diciamo così, “marachelle”. Come tanti altri “mariuoli” di craxiana memoria, ha fatto la “cresta” sui rimborsi spese. Che non si sia trattato solo di un cappuccino in più lo si evince dalla sequela di provvedimenti giudiziari che ne sono scaturiti. Ultimo dei quali una condanna in piena regola da parte della Corte di Cassazione a tre mesi di reclusione per truffa. Normalità avrebbe voluto che i vari organi di stampa calabresi (agenzie, quotidiani, settimanali, quindicinali, mensili, trimestrali, televisioni, radio, giornali on line ecc.) avessero dato conto di tale vicenda specificandone le varie particolarità. E, invece, a parte un paio di riferimenti criptici d’agenzia, nulla. E sapete il perché? Il condannato per truffa è il presidente regionale dell’Ordine dei giornalisti. E i giornalisti stessi, fedeli al principio che “cane non mangia cane”, hanno taciuto completamente […]. Raffaele Nicolò, presidente dei giornalisti calabresi, è stato dunque condannato, con sentenza passata in giudicato, per truffa a danno dell’organismo di previdenza di quei giornalisti che avrebbe invece dovuto tutelare. L’ente in questione è l’Inpgi, ovvero l’Inps dei giornalisti medesimi. Per la cronaca: non si è trattato di una grande truffa architettata con raffinata strategia al fine di incamerare miliardi di lire. Si è trattato, ben più modestamente, di una serie di furberie piccine piccine che hanno fatto raggranellare al nostro (sic!) presidente, poco più di due milioni delle vecchie lire. In altre parole: più che un gran reato da penitenziario è stata una truffarella da bacchettate sulle mani. In conseguenza a ciò, Nicolò è stato dichiarato decaduto dall’incarico di Consigliere d’amministrazione dell’Inpgi. Dovrà essere conseguentemente sostituito anche il fiduciario calabrese del medesimo ente che, tanto per cambiare, è lo stesso Nicolò» [19].
Da un punto di vista strettamente di cronaca giudiziaria, va annotato come la condanna pare sia avvenuta in seguito a una segnalazione effettuata dalla Corte dei conti alla Procura della Repubblica. La vicenda era nata da una segnalazione partita dall’interno dell’Inpgi; alcuni impiegati avevano denunciato alla medesima Corte dei conti la stranezza di talune fatture. È vero che Nicolò, dopo le contestazioni dei magistrati contabili, si era affrettato a rifondere quanto indebitamente incassato; ma è anche vero che la medesima Corte aveva ugualmente inviato la notizia alla Procura che aveva avviato il procedimento poi giunto a termine con la citata sentenza definitiva.
8. Nicolò replica se stesso
Dopo essere riuscito a bloccarne la diffusione – o quantomeno dopo essere riuscito a minimizzare fortissimamente la notizia della condanna definitiva – Nicolò ha cercato di sostituire se stesso, nei vari incarichi sino a quel momento da lui detenuti, con i suoi soliti “uomini di paglia”.
Un paio di queste vicende sono state particolarmente “tragicomiche”. Ci riferiamo, per esempio, all’incarico di fiduciario Inpgi del sindacato giornalisti. Nicolò, essendo impossibilitato, causa la citata condanna, a continuare a svolgere tale incarico, si è trovato – in quanto segretario del sindacato – a nominare il sostituto di se stesso (il fiduciario è, difatti, nominato dal sindacato).
Logico ed elementare senso della decenza avrebbe voluto che si facesse da parte. E invece no. Dopo qualche giorno dalla sua decadenza, ha tentato di gabbare i colleghi e l’opinione pubblica (ma no; forse pensava che la questione non sarebbe venuta alla luce) facendo eleggere – alla segreteria del sindacato – un suo uomo, Carlo Parisi, mantenendo per se “solo” il ruolo di vicesegretario.
Ma la vergogna maggiore non era ancora questa perché, alla fin fine, il sindacato è un’associazione privata.
Lo scandalo maggiore, difatti, è stato quello relativo all’Ordine dei giornalisti che – al contrario del citato sindacato – è un organo ufficiale dell’ordinamento statale. Il tesserino dell’ordine, tra l’altro, porta il timbro a secco della Repubblica italiana. Ma nemmeno da lì Nicolò aveva pensato di dimettersi. Forse anche perché supportato dalla quasi assoluta connivenza della stessa stampa calabrese. Al di là di alcuni interventi di Sergi, di Enzo Arcuri (e di chi scrive) – scritti sempre su il Quotidiano (ove Sergi, in particolare, parlava senza mezzi termini di “sconcezza” e di “immoralità”) – la generalità della stampa calabrese continuava a tacere [20].
Venuti platealmente a sapere che “il re è nudo”, qualche reazione comunque c’è stata. La principale è stata quella della stessa redazione de il Quotidiano che ha deciso di non aderire allo sciopero nazionale del 16 novembre 2002 redigendo un duro comunicato sulla questione. Una giornata di agitazione sindacale che, in verità, in Calabria non si è notata troppo. Erano difatti presenti, ma senza esplicitare motivazioni particolari, anche gli altri quotidiani della regione, unica eccezione: il Domani di Cosenza e provincia che, comunque, pubblicò un comunicato critico nei confronti del sindacato regionale.
Caso forse più unico che raro, era anche presente, ma solo per l’edizione calabrese, la Gazzetta del Sud, che invece in Sicilia e nel resto del territorio nazionale ha scioperato regolarmente. Il direttore, Nino Calarco, motivava la decisione evidenziando che non intendeva, così, favorire la concorrenza.
9. “Nicolò radiato dall’Ordine. (Per ora)”
Come gli italiani e Benito Mussolini nel 1943, i giornalisti calabresi hanno dunque dovuto utilizzare elementi esterni per liberarsi del tiranno di turno.
Sono i colleghi del Lazio, difatti, a svolgere questo compito. Il 10 dicembre 2002 viene deliberata, all’unanimità, la radiazione di Nicolò dall’albo dei giornalisti italiani.
Ma chi si attendeva (tra cui chi scrive) un’immediata caduta del “gruppo Nicolò” è rimasto assai sorpreso. È stato – ancora una volta – solo il Quotidiano della Calabria a dare un certo rilievo alla notizia della radiazione. Ancora all’indomani della radiazione stessa, difatti, la Gazzetta del Sud aveva titolato con un emblematico e storico “Nicolò radiato dall’Ordine. (Per ora)” [21].
Nel frattempo, veniva avviata – stavolta non dai tribunali ma dall’Ordine nazionale dei giornalisti – un’altra dura azione contro Nicolò.
Dopo anni e anni di colpevole collateralismo, l’Ordine nazionale a metà del 2002 aveva esposto al ministero della Giustizia la situazione di disordine amministrativo esistente in Calabria e – in particolare – il fatto che l’Ordine calabrese non versava, da diversi anni, le quote di spettanza all’Ordine nazionale [22].
Ci sarebbe quasi da dire che, se non fosse stato “toccato” nelle sue tasche, l’Ordine nazionale avrebbe continuato a chiudere gli occhi…
Ma, come se niente fosse, Nicolò tentava di galleggiare giocando ancora una volta sulla doppia codardia (o quanto meno sull’acquiescenza) dei vertici nazionali della categoria e di gran parte degli stessi giornalisti calabresi. E giocava anche sul fatto che il ministero non avrebbe fatto granché. In tal senso pensava di continuare a governare a mezzo di altri.
Il 15 febbraio 2003, difatti, a capo dell’Ordine dei giornalisti calabresi è stato infine eletto un nuovo Carneade. Risponde al nome di Maria Oieni, ed era (ed è) nota – si fa per dire – quasi esclusivamente per aver tenuto bordone per diversi anni (nella qualità di vicepresidente) a colui che in quel momento veniva ancora percepito essere il vero “padre padrone” dell’organismo di rappresentanza dei giornalisti calabresi: Raffaele Nicolò. Al posto della Oieni, vicepresidente era stato eletto un altro “aficionado” di Nicolò: Orazio Cipriani.
I membri di un organismo screditato che avevano ripetutamente eletto alla loro testa un personaggio già all’epoca assai discusso – e che poi varie istanze giudiziarie hanno condannato per truffa – avevano dunque avuto la “faccia tosta” di eleggere il sostituto del reo come se nulla fosse. Non c’era, sia ben inteso, un chiaro contrasto strettamente giuridico, perché probabilmente – da quel punto di vista – l’elezione era possibile. C’era, invece, un lampante impedimento di credibilità morale.
Si trattava, difatti, di quello stesso Consiglio dell’Ordine calabrese che, per anni e anni, ha “tenuto il sacco” a tutte le iniziative del Nicolò (o che – comunque – è stato così cieco da non accorgersi di nulla) e che, inaudito anche a dirsi, nelle settimane precedenti, il 26 ottobre 2002, aveva addirittura avuto l’ardire di manifestargli solidarietà, in opposizione alla sentenza della Cassazione confidando in una “sicura” revisione processuale [23].
Per realizzare tale indegno progetto Nicolò ha quindi scovato un Carneade, una giornalista pubblicista incolore così come si conviene al ruolo del prestanome.
Una brava persona, fuor di dubbio, che quando ha fatto la giornalista non ha nemmeno professionalmente demeritato, ma niente di più che un prestanome.
Ma la pratica avviata dall’Ordine nazionale non si era fermata. Ed ecco il citato ministero della Giustizia chiedere all’Ordine nazionale la nomina di una terna in cui individuare il commissario da inviare in Calabria [24].
Il consiglio nazionale dell’Ordine nazionale indicava il trentino Antonio Cembran, il pugliese Michele Partipilo e il laziale Claudio Alò. Il primo otteneva, infine, la nomina a guidare l’Ordine dei giornalisti calabresi sino all’elezione del nuovo consiglio.
L’incarico, formalmente limitato a tre mesi, è evidente che verrà prolungato almeno fino a settembre.
10. La “festa” del commissariamento
Solitamente un commissariamento è un trauma. Quello che ha investito l’Ordine di giornalisti calabresi, invece, è sembrato essere stato soprattutto – se non una festa – certamente una liberazione.
E, come un liberatore, il lunedì 31 marzo 2003, è apparso il commissario Cembran, all’uopo nominato – come accennato – dal ministero.
Il clima fra i giornalisti calabresi, lo evidenziavamo poc’anzi, era molto simile a quello che fu in Italia all’indomani del 25 luglio 1943. I giornalisti calabresi (come, all’epoca, gli italiani) si sono liberati del loro despota solo grazie al fatto che il personaggio in questione, Raffaele Nicolò (come all’epoca Mussolini), è caduto in un grave errore di valutazione. Sessant’anni fa il “duce” sottovalutò la stanchezza della popolazione; oggi il nostro “ras” contemporaneo ha invece ritenuto che nessuno si sarebbe accorto della “cresta” che faceva a danno dell’Inpgi.
In ogni caso, l’atmosfera che si respirava durante l’assemblea dei giornalisti calabresi, che Cembran (assieme al presidente Lorenzo Del Boca e Francesco De Vito, membro dell’esecutivo nazionale) ha tenuto lo stesso 31 marzo a Catanzaro, era decisamente festosa.
Come avviene spesso in questi casi, quasi tutti gli intervenuti avevano lasciato intendere – o avevano esplicitamente dichiarato – di aver avuto poco o nulla a che fare con la vecchia gestione.
Anzi (come anche in due precedenti riunioni informali tenutesi a Cosenza e nella stessa Catanzaro) il nome di Nicolò era stato pronunciato solo dopo una decina di interventi (ma forse, più che di un’eccessiva presa di distanze, era il senso di una persistente paura inconscia).
Ma non era mancato qualche caso contrario. Quello del direttore de Il Giornale di Calabria, Giuseppe Soluri, per esempio, che – al di là degli aspetti giudiziari – ha rivendicato il persistere di un’amicizia personale con l’oramai ex presidente.
Con tale, sostanzialmente unica, eccezione, quella che potremmo definire una sorta di “festa d’insediamento” è andata avanti, confermando una posizione sintetizzabile in due punti che già marcatamente emersi nelle due precedenti riunioni.
Riguardo al primo punto, è stato chiesto a Cembran di effettuare una revisione a tappeto degli elenchi ordinistici, al fine di eliminare tutti i falsi giornalisti che – soprattutto fra i professionisti – non svolgono affatto tale attività.
Analogamente gli è stato chiesto di premere sugli altri consigli regionali affinché si possa realizzare una specie di “ondata di ritorno” dei vari professionisti che negli anni precedenti sono stati costretti a trasferirsi fittiziamente in altre regioni – soprattutto Lombardia e Lazio – al fine di vedersi riconosciuto il praticantato.
In modo quasi unanime – ed ecco il secondo punto – i vari interventi sviluppatisi nelle tre riunioni hanno chiesto a chiunque abbia avuto incarichi negli organismi precedenti (ordine, innanzi tutto, ma anche sindacato, che in Calabria è sempre stato una fotocopia dell’Ordine stesso) di non ricandidarsi alle nuove prossime elezioni.
Ma un’ultima annotazione necessita effettuare.
Il fantasma di Nicolò continua, almeno sinora, ad aleggiare fortemente. Abbiamo già evidenziato la ritrosia dei giornalisti intervenuti alle riunioni a nominarlo.
Riuscirà Cembran a rimettere le carte a posto permettendo – soprattutto dopo un’adeguata revisione degli elenchi – un’elezione “normale’?
Forse sì. Forse no. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia [25].
Fulvio Mazza
[*] In effetti si trattava del 1975, era il 26 luglio, questa correzione viene effettuata dopo l’uscita dell’edizione cartacea di questo articolo saggio. Ringrazio Pantaleone Sergi per avermi segnalato l’errore e mi scuso con i lettori dell’edizione cartacea per aver erroneamente anticipato di alcuni mesi gli eventi. La sostanza non cambia; ma l’errore va comunque corretto, Nda).
[1] Sull’argomento cfr. Pantaleone Sergi, Quotidiani desiderati. Giornalismo, editoria e stampa in Calabria, Edizioni Memoria, Cosenza, 2000.
[2] Sulla tragicomica questione cfr. l’articolo, tra il divertito e lo stupito, pubblicato sul Barbiere della Sera da Pennina (pseudonimo della lametina Rosaria Talarico), Mi trovi solo all’alba del lunedì in www.iIbarbieredellasera.com, 9 gennaio 2002.
[3] Fulvio Mazza, Viaggio nella stampa/Calabria. L’innominata. Panoramica sull’editoria della regione, in Prima Comunicazione, luglio-agosto 1991.
[4] Va però detto che alcuni di questi, come De Virgilio e Scrima, sono poi ritornati all’“ovile” inserendosi nuovamente con incarichi all’ordine ed al sindacato regionali.
[5] Samengo fondò nel marzo 1988 e pubblicò alcuni numeri del periodico Il Giornalista della Calabria sino alla data delle sue dimissioni (luglio 2000). Si trattava di un giornale complessivamente ben fatto ma che – sin dal primo numero – mostrava al pubblico che il vero “padrone” del sindacato era Nicolò. Non per nulla l’editoriale d’apertura era firmato da questi e non dal segretario Samengo. E, ancora non per nulla, ogni numero conteneva diverse fotografie dello stesso Nicolò. Ma che il vero “capo” del sindacato fosse il presidente dell’ordine e non il segretario sindacale lo si evince pure da un altro dato vissuto in prima persona dallo scrivente. Nel 1991, quando fu chiamato da Prima Comunicazione a svolgere le mansioni di corrispondente per la Calabria, al sottoscritto venne dato anche l’incarico di reperire un po’ di materiale fotografico. Al fotografo, Edmondo Infantino, venne dunque affidato il compito di fotografare i vari esponenti del giornalismo calabrese fra cui – ovviamente – la sede del sindacato ed il segretario Coppoletti. Ma questo non fu possibile perché l’impiegato del sindacato affermò che, anche in presenza dell’autorizzazione dello stesso Coppoletti, «senza l’autorizzazione del presidente Nicolò non è possibile entrare nella sede del sindacato».
[6] La definizione è di Pantaleone Sergi effettuata durante il convegno “Informazione e organismi di rappresentanza nella Calabria che cambia”, organizzato dal Circolo giornalisti Cosenza e dalla rivista Comunicando e tenutosi a Cosenza il 21 maggio 2003.
[7] Fulvio Mazza, La Calabria non è in agenda, in Prima Comunicazione, aprile 1992.
[8] Benché sicuramente legittimi dal punto di vista etico, dal punto di vista sostanziale si trattava indubbiamente di atti platealmente illegittimi. Probabilmente, indagando accuratamente, lo erano anche dal punto di vista formale. Ma la coda di paglia dell’Ordine regionale calabrese impedì evidentemente di andare a fondo. Ciò avvenne anche quando, come nel caso di Maurizio De Fazio, Nadia Donato, Lorenzo Opice, Ferdinando Perri e Mario Zangari, il caso ebbe rilevanza. Cfr. Fulvio Mazza, Un dibattito imbavagliato, in Prima Comunicazione, luglio-agosto 1991.
[9] Sebbene di minore portata e/o durata va ricordata anche l’attiva opposizione che scaturì da Antonio Rametta, direttore del piccolo (ed effimero) periodico Tribuna Sud di Amantea.
[10] Fulvio Mazza, Io premio te, tu premi me… in il Crotonese, 2-4 marzo 1993; Idem, D’estate a “Premiopoli” premiando, premiando in Calabria, luglio 1995.
[11] Riportiamo a tal proposito un resoconto tratto dal sito Internet del Santuario (www.sanfrancescodipaola.it/lavoce/due/vita/html). Dal resoconto si avrà modo di notare come sia perfetta la simbiosi dei “figli” del santo paolano con il “padre” della categoria calabrese: 25 gennaio: Festa di Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. A distanza di 24 ore dalla festa liturgica, i giornalisti calabresi hanno festeggiato il loro patrono, S. Francesco di Sales, celebrando nel nostro Santuario l’annuale giornata ormai giunta alla nona edizione. La concelebrazione, animata dalla corale della Basilica, sotto la guida del M° Angelo De Santo, è stata presieduta dal nostro Arcivescovo, mons. Dino Trabalzini, che all’omelia si è soffermato sulle caratteristiche del giornalista che, come comunicatore di speranza, è chiamato ad “essere maestro e testimone e, come tale, educatore”. Nel successivo incontro nell’auditorium del Santuario, il presidente dei giornalisti calabresi, dr. Raffaele Nicolò, ha stigmatizzato la disinformazione a livello nazionale che enfatizza solo i fatti criminosi della Calabria, mentre sminuisce le risorse e le positività “che non sono seconde a nessun’altra Regione del nostro Paese”. Al termine della cerimonia, alla quale hanno preso parte al completo i vertici degli organi istituzionali ed elettivi della Regione, è stata distribuita la consueta lettera di S. Francesco di Paola che pubblicheremo su uno dei prossimi numeri del Bollettino.
[12] Padre Vivacqua non si è inclinato, così titolò Prima Comunicazione, nel numero di marzo 1991, un breve intervento del sottoscritto dedicato alla vicenda. Dal punto di vista tecnico, l’ordine osservava che Vivacqua (residente a Camigliatello di Spezzano Sila – Cs, distante mezz’ora d’estate e un’ora in alcuni giorni d’inverno) non poteva effettivamente svolgere le mansioni di direttore responsabile dell’emittente. Che, però, si trattasse di un mero pretesto, era evidente per tutti. Uno fra i pochissimi organi di stampa a difendere il frate silano fu l’emittente (concorrente) Telecosenza, con Paride Leporace.
[13] Fulvio Mazza, Un dibattito… cit.
[14] Fulvio Mazza, L’Inserto dell’invidia, in Prima Comunicazione, gennaio 1992, Idem, A Nicolò non piace ‘L’Inserto’, in Prima Comunicazione, marzo 1992.
[15] Fra i diversi articoli di Simeone ricordiamo, a mo’ di esempio: E.N., Il sosia torna a colpire, in il Quotidiano della Calabria, 27 luglio 2000 ove il direttore del giornale evidenziava – come già in altri articoli precedenti – che l’autore delle diverse cattive figure effettuate dell’Ordine calabrese (fra cui errori di sintassi, ortografia e grammatica) era non Nicolò ma un suo ipotetico “sosia”. Ironicamente, sottolineava difatti che il “vero” presidente dell’Ordine calabrese non avrebbe mai compiuto tali (ed altri) gravi errori.
[16] Pantaleone Sergi, Quotidiani… cit., ad vocem.
[17] Presentiamo qui di seguito il massimo che siamo riusciti a reperire. Si tratta di alcuni stralci, scelti da Pino Nano e pubblicati sul suo sito www.pinonano.it. I brani sono tratti dal citato editoriale d’apertura de Il Giornale della Calabria: «Dopo tanti anni d’impegno sindacale e di battaglie ordinistiche avverto un pizzico di emozione. Un giornale che nasce per raccontare la nostra vita è uno strumento fondamentale di crescita per l’intera categoria. Come tale va letto, come tale va giudicato, come tale va anche seguito […]. In ognuno di noi è prevalsa la consapevolezza che come categoria siamo cresciuti abbastanza per avere anche noi diritto ad un bollettino che condensasse la nostra attività, che desse conto delle cose che facciamo, delle battaglie che in ogni sede istituzionale andiamo ogni giorno ad affrontare, degli impegni formali che assumiamo nell’adempiere il nostro compito, e nulla meglio di un giornale come questo avrebbe potuto dare il senso generale del nostro essere giornalisti in Calabria. Ci presentiamo ai nostri lettori con l’umiltà di sempre, ma con una consapevolezza fondamentale che deriva dalla nostra storia: vorremmo poter continuare a servire questa straordinaria famiglia dei cronisti calabresi, e vorremmo farlo senza commettere errori, senza peccare di presunzione, senza offendere la dignità di nessuno, nell’interesse esclusivo della categoria, guardando in avanti ma ricordando il nostro passato, seminando nuove pietre miliari ma non dimenticando mai il tragitto percorso, lottando perché ognuno di noi abbia la consapevolezza che anche in Calabria è arrivato il momento di tracciare un consuntivo, e se questa regione in tutti questi anni è cresciuta un pizzico di merito per quanto è stato realizzato spetta anche al nostro lavoro e al nostro ruolo».
[18] Sergio Menicucci, Inpgi, il caso Nicolò delegittima In mini riforma delle pensioni, in l’Opinione, 9 ottobre 2002.
[19] Il Quotidiano della Calabria, 14 novembre 2002. Al contrario che nella carta stampata, è ovviamente più difficile riportare quali siano state le testate radiotelevisive ad aver riportato la notizia. Certamente, comunque, la notizia dell’avvenuta condanna di Nicolò fu trasmessa da Telespazio Calabria, da Reggio Tv e da Radio Libera Bisignano.
[20] Gli articoli di Sergi, di Arcuri sono apparsi, rispettivamente, su il Quotidiano del 15 e del 16 novembre 2002. Chi scrive è poi ulteriormente intervenuto sullo stesso giornale, su www.ilbarbieredellasera.com e su Prima Comunicazione, di dicembre 2002.
[21] Nicolò radiato dall’Ordine. (Per ora), in Gazzetta del Sud, 11 dicembre 2002.
[22] Pennina, Nicolò, scuci i soldi che ci devi, in www.ilbarbieredellasera.com, 18 aprile 2002.
[23] Pennina, Trent’anni di presentidudine, in www.ilbarbieredellasera.com, 17 novembre 2002, ha pubblicato il comunicato approvato dal Consiglio dell’Ordine calabrese che qui riportiamo.
«Il Consiglio dell’ordine dei giornalisti per la Calabria, riunito in sede il 26/10/2002, alla presenza della maggioranza dei suoi componenti, ascolta preliminarmente una dettagliata relazione del presidente Nicolò in ordine alle sue annunciate dimissioni. In proposito, prende atto con soddisfazione della sua dichiarata estraneità ai fatti contestati e ritenuti in sede giudiziaria e che potranno – è questo l’augurio unanime del consiglio ‒ essere riconsiderati, sempre in sede giudiziaria, attraverso l’istituto della revisione.
Ciò posto, il consiglio esprime piena ed incondizionata solidarietà al suo presidente concordando con lui sul fatto d’essere stato oggetto di un violento quanto ingiustificato attacco personale sull’ambito di una vasta azione intrapresa dal presidente del consiglio dell’ordine della Lombardia ed atta a gettare discredito su un uomo “reo” di essere il fondatore dell’ordine in Calabria e punto di riferimento per generazioni di giornalisti, nonché amministratori dell’Inpgi, ovvero di quell’istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, la cui gestione è notoriamente e duramente attaccata e criticata dallo stesso presidente dell’ordine Lombardo.
Il consiglio pertanto invita il suo presidente a non insistere nelle sue dimissioni che vanificherebbero il sacrificio di una vita spesa, sempre e comunque, in favore della categoria, a tutela dei diritti dei colleghi ed a salvaguardia della professione di giornalista. Il presidente Nicolò ringrazia per la fiducia ancora una volta ed in modo incondizionato accordatagli e decide di rimanere al vertice dell’Ordine dei giornalisti per la Calabria in spirito di servizio verso l’intera categoria dei giornalisti».
[24] Questo il documento votato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti:
«Sulla situazione dell’Ordine regionale della Calabria il Consiglio nazionale ha approvato la seguente delibera:
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti riunito a Roma presso la sede dell’Ordine in Lungotevere de’ Cenci n. 8 il 24 febbraio 2003, vista la segnalazione inviata dallo stesso Consiglio Nazionale al Ministero della Giustizia in data 28 novembre 2003 in merito al funzionamento del Consiglio regionale dell’Ordine dei Giornalisti della Calabria;
vista altresì la richiesta del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia, Direzione Generale della Giustizia Civile del 17 gennaio 2003, esprime parere favorevole allo scioglimento del Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti della Calabria ai sensi dell’art. 24, secondo comma, della legge 3.2.1963 n.69; indica la seguente terna di giornalisti professionisti iscritti all’Albo tra i quali scegliere eventualmente il Commissario Antonio Cembran, Michele Partipilo, Claudio Alò».
(approvato a maggioranza, con otto astenuti e nessun voto contrario il 25 febbraio 2003) Fonte: www.odg.it.
[25] Ma, se questa è un’altra storia, quest’altra storia non finisce qui. Quantomeno dal punto di vista giudiziario rimangono aperte almeno due vicende. La prima è relativa a un aspirante giornalista di Reggio Calabria (è noto solo il cognome Gangemi) che avrebbe pagato una somma per l’iscrizione all’elenco dei professionisti, ottenuta senza averne titolo. La seconda, come ha evidenziato il leader di Quarto Potere (oggi, dopo una scissione avvenuta nell’ottobre 2003, di Senza Bavaglio, Ndr), Massimo Alberizzi, è l’incasso da parte di Nicolò di somme che con ogni probabilità sarebbero state a lui indebitamente erogate dall’Inpgi dopo la sua condanna.
(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 96, agosto 2015)