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Direttore editoriale: Graziana Pecora
A. IX, nn. 95/96, lug/ago 2015
La poesia
e gli abissi
dell’essere
di Daniela Vena
Da Thoth edizioni,
una raccolta di versi
onirici e introspettivi
Nella storia della letteratura il genere della poesia ha avuto un ruolo focale. È attraverso quest’espressione artistica che è stato possibile scoprire le qualità e i limiti dell’essere umano e decodificare, almeno in parte, l’immensità del mistero che l’avvolge. Nei versi si celano drammi ancestrali o quotidiani, fatti di silenzi, disillusioni e vittorie; si rivivono incontri, ricordi ed emozioni, si trova la vita nella sua eclettica semplicità. Queste righe hanno in sé un che di attraente e mistico. I colori e le varietà delle suggestioni stuzzicano il lettore rendendolo partecipe di una scelta stilistica che esprime e mostra tutta la sua prorompenza. Le poesie hanno una tradizione millenaria che unisce tanto l’Oriente quanto l’Occidente formando un “riconoscimento sociale” di cui sono rimaste tracce fino ai giorni nostri. Tramite quest’arte i poeti hanno fatto e fanno sfoggio di abilità e gusto, generando un’atmosfera quasi onirica che consente di scandagliare il proprio Io senza schemi fissi, ma seguendo la voglia di scoprire quanto più possibile, mescolando luci ed ombre, conosciuto e sconosciuto. La volontà di addentrarsi nei meandri dell’Io è uno degli elementi che si possono trovare nell’opera di Katia Debora Melis Passaggi minimi (Thoth edizioni, pp. 64, € 8,00), un testo denso e profondo, ricco di momenti introspettivi. L’autrice, milanese di nascita ma sarda d’adozione, coltiva la passione per lo studio che tocca gli ambiti più disparati, come quello antropologico, archeologico, letterario, linguistico e storico-artistico. Ha all’attivo diverse pubblicazioni tra cui: Solo ali di farfalla. Anima mia (2012) e Poesie del sabato senza villaggio (2013).
Incontri «minimi»
«C’è un non so che / d’inquietudine / nel volo immediato / degli uccelli». In questi versi si celano le radici della fragilità dell’individuo, un essere desideroso di libertà che la cerca costantemente. Si percepisce quasi il viaggio mentale dell’autrice, che nell’osservazione dello spiccare il volo degli uccelli prova un senso d’inquietudine, un’emozione che ci fa sentire incompleti, perennemente infastiditi, come se fossimo in cerca di qualcosa, anche se non sappiamo bene cosa. Quest’inquietudine ci spinge, come una forza occulta, verso il nuovo, l’incognito che allo stesso tempo ci attrae e ci respinge, mantenendoci su un precario equilibrio pregno di dubbi e paure. Spesso questa sensazione porta al nichilismo, ossia alla perdita di scopo e di senso, in una società tecnica che ci strumentalizza in nome del potere e del profitto. Le cinquantanove poesie sono tutte legate da una voracità di esaminare l’intimità dell’essere che caratterizza il singolo.
«Dormire leggero / nel profondo di un sogno / che dischiude agli occhi / chiusi, / sfinito, / mille odissee, naufragi e ritorni». Tali parole descrivono anfratti d’anima che pullulano di energie compresse, ricordi di parole non dette ma ancora tuonanti, luoghi inediti da scoprire in una dimensione onirica che è un non-luogo, aperto sull’universo del sogno in cui la poesia trova la massima espressione. La dimensione onirica è una delle caratteristiche preponderanti della poesia, che genera e percepisce quella sorta di stordimento costantemente sperimentato degli animi più sensibili.
«Trema il ventre / della tua terra. / Oggi è giorno di digiuno / dalla vita, / non dal dolore. / Trema / e le rimorde / il tempo immemore / della sua completa solitudine»: meno di dieci righe per esprimere il sentimento del rimorso, talmente grande, intenso e vibrante da essere paragonato al ventre, sede e catalizzatore del nostro percepire, che comunica con l’istinto, facendoci riappropriare di una spontaneità fanciullesca e pura. È interessante notare come l’autrice identifichi la volontà d’alienazione dal rimorso con l’allontanamento dalla vita piuttosto che con il distacco da quel dolore pungente che è peculiarità del rimorso. Vivere momenti di rimorso vuol dire smarrirsi nella spettralità delle occasioni perse, una sensazione che persevera nei giorni, annientando lo spirito in balìa di quei condizionali troppo pesanti ed ormai lontanissimi. Nella musicalità di tali parole l’autrice esprime l’urlo silente che accompagna tutte le esistenze.
La descrizione della strada, che caratterizza l’ultima poesia, è metafora di scelta di vita. «In una giornata il cui tempo / è stato bruciato / in una città / presa a caso / senza vie d’uscita / ho scelto la strada»: l’autrice abbatte ogni confine e distanza, consapevole di aver sprecato il bene più grande, il tempo. Questo sentimento la “trasporta” in una realtà ovattata in cui la libertà di scelta sembra un miraggio irraggiungibile. Nell’ultimo verso la Melis sembra destarsi e ritrovare l’impeto della scelta.
In definitiva, un testo affascinante e coinvolgente, scritto con uno stile pulito e galoppante, colmo di considerazioni, dubbi e conflitti che spesso agitano l’inconscio.
Daniela Vena
(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 96, agosto 2015)
Francesca Buran, Ilenia Marrapodi, Pamela Quintieri, Francesco Rolli, Letizia Rossi
Mattia Beltramo, Roberta Brando, Valentina Burchianti, Maria Laura Capobianco, Cinzia Ceriani, Guglielmo Colombero, Gabriella De Santis, Chiara Levato, Giuseppe Licandro, Flavia Maccaronio, Irene Nicastro, Maristella Occhionero, Stefania Pipitone, Andrea Vulpitta
Denise Amato, Selene Miriam Corapi, Vilma Formigoni, Mariacristiana Guglielmelli, Aurora Logullo, Rosina Madotta, Manuela Mancuso, Ilenia Marrapodi, Elisa Pirozzi, Pamela Quintieri, Francesca Rinaldi, Letizia Rossi