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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Fuga negli Usa
da un passato
di sofferenza
di Teresa Elia
La psiche femminile
in un racconto teso
e seducente. Da Sovera
La vita di qualsiasi soggetto è scandita cronologicamente in un passato, un presente e un futuro. È risaputo che nel corso della stessa il vissuto è quel bagaglio che portiamo dietro e se questo contiene brutti ricordi cerchiamo di rimuoverli proiettandoli altrove; proviamo, dunque, ad obliarli per difenderci e tutelare il nostro equilibrio spirituale.
Come trovare la strategia migliore per eliminare sgraziate reminiscenze, sintomo di malessere, e vivere serenamente risanando un presente complicato e frustrato?
Tale ricerca è il filo rosso dell’opera La strategia della distinzione (Sovera edizioni, pp. 144, € 12,00), scritta da Patrizia Palumbo, autrice torinese che, dopo il conseguimento della laurea in Lettere e Filosofia, emigrò negli Stati Uniti per stabilirsi poi a New York dove è attualmente lettrice di Italiano alla Columbia University. Questi dati biografici la accomunano alla protagonista dello scritto, Livia, anche lei nata a Torino ed espatriata a New York dove vive con il marito James e la figlia Sofia.
Lo scenario che di primo acchito si presenta al lettore è una banale realtà americana che si allontana da quella di Livia, una donna cresciuta in un’Italia divisa e amante non delle apparenze ma dei dettagli: «Il sogno di Livia era sempre stato di trasformare la sua casa in una specie di tempio al significato, dove lei, James e particolarmente la loro figlia, conoscessero la storia di ogni singolo oggetto e se ne prendessero cura».
Un presente dal quale scappare
Livia lavora da quattro anni in un college a New York, quando una mattina il Dipartimento di Lingue e Letteratura delibera la non concessione della sua cattedra. Il suo senso di impotenza e mortificazione, già determinato da un matrimonio avvelenato nel quotidiano, è enfatizzato dal licenziamento favorito dalle colleghe. La protagonista, delusa della crudeltà del genere femminile e convinta di essere stata vittima di un complotto, proietta tale ostilità nei rapporti che intrattiene con le donne.
Le prime pagine dello scritto sono intessute di personaggi, in prevalenza femminili, che Livia incontra occasionalmente, per esempio durante il meeting dell’anno scolastico dell’Associazione genitoriale presso la scuola di Sofia. In tale occorrenza la donna scruta le altre con apatia e sufficienza e, per sfuggire da questo ambiente opprimente, si rifugia nei propri pensieri valorizzando la bellezza e descrivendo empaticamente il dettaglio di ciò che la circonda.
Affiora da una prima lettura il concetto di squilibrio interiore, il fatto di non sentirsi apprezzati nonostante gli sforzi, di doversi adeguare a una falsa dinamica comunitaria solo per compiacersi a vicenda e di dovere far funzionare per forza le cose. Questa instabilità spirituale emerge dal nostro vissuto, in questo caso celato nel culto immaginario delle piccole cose.
Livia si trova disoccupata e disorientata, e quindi, considerando l’anno sabbatico del marito, un soggiorno italiano farebbe da medicina ai suoi mali. Il ritratto che l’autrice associa a James, professore universitario di Inglese, è quello di una personalità narcisistica sfumata dal suo senso di superiorità egocentrica. Al momento della partenza per Torino, infatti, non solo non batte ciglio per aiutare la moglie ad imballare il tutto, ma si appresta a denunciarla per gli insulti che animano la loro conseguente lite.
Tuttavia, via via che la storia prosegue, Livia si rende conto che il viaggio in Italia non è un modo per rinascere come sperava, perché si ritrova a fare i conti con quel passato da lei considerato difettoso da sempre. Insomma, il buon auspicio che si associa a un cambiamento a volte è illusorio.
Il rigurgito del passato
Da un’attenta lettura del testo si evince l’alienazione poetica descritta dalla complessa psicologia della protagonista, che potrebbe essere il prototipo empatico di molti lettori. Una donna sostanzialmente infelice in cerca del benessere che non ha avuto in passato e non ha nel presente, la quale per rimettere a posto i pezzi mancanti della propria vita si rifugia in una dimensione immaginaria. Ella, infatti, usa la fantasia per rielaborare i fatti, descrivere le persone che incontra e scrutare i dettagli quotidiani, per poi perdersi nella finzione di vaghi pensieri che si discostano dalla realtà.
Come si reagisce a un passato orribile colmo di ricordi molesti, violenze e mancanze? Due sono le risposte: o si accetta e si supera oppure si rifiuta e si somatizza; due scelte alle quali corrispondono rispettivamente un atteggiamento di attacco e uno di difesa. Ed è quest’ultimo ad essere sotteso nel testo, infatti non leggiamo esplicitamente nei dettagli le molestie subite dalla protagonista in passato né i suoi drammi trascorsi, semplicemente perché non li affronta: non li vuole raccontare per non farne emergere il ricordo.
Durante il soggiorno italiano, la protagonista è confusa dai ricordi di un triste passato torinese, descritto dall’autrice come un «lungo rigurgito acido», che Livia non vuole rammentare e dal quale si difende assumendo un atteggiamento indifferente, apatico. Dunque, è un casuale viaggio a Nairoibi che le consente di mettere un punto nella sua vita placando il suo malessere.
Nelle battute finali del testo si legge il pensiero dell’amica Barbara, psicologa forense di stampo freudiano, con la quale Livia si sfoga e che incontriamo spesso nel testo: «Devi soffrire Livia. Devi ricordare tutto: lo stupro, la brutalità di tuo padre, i tradimenti di James. […] Non avrai mai una vita vera ma solo l’esistenza di una statua». Proprio in questa citazione batte il cuore del racconto.
Teresa Elia
(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 95, luglio 2015)