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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
Viaggio dentro
i mutevoli volti
del terrorismo
di Selene Miriam Corapi
Edito da Rizzoli, un volume
che fa luce su un tema caldo
e attuale: il Califfato dell’Isis
«Abbiamo i barbari alle porte di casa. Vogliono portare il terrore nelle nostre città, decapitare i passanti, stravolgere la vita di milioni di persone, obbligarci a rinunciare alle libertà civili e precipitarci in un Medioevo sanguinario», afferma Maurizio Molinari nell’Introduzione al suo ultimo libro. Cos’è la jihad? E per quale ragione si accanisce contro l’Occidente?
Ormai dall’11 settembre 2001, con l’attentato di Osama bin Laden alle Torri gemelle negli Usa, i controlli antiterroristici sono diventati più serrati; e ora, dopo l’attentato in Francia contro la redazione satirica Charlie Ebdo, la minaccia islamica ha ufficialmente dichiarato di voler sottomettere tutto l’Occidente. Forte è la paura sentita contro questi terroristi.
L’Isis, acronimo per Stato islamico dell’Iraq e del Levante, o semplicemente Is, Stato islamico, è conosciuto per la violenza e l’efferatezza delle decapitazioni di occidentali trasmesse attraverso i video.
Il 29 giugno 2014, il loro capo Abu Bakr al-Baghdadi ha dichiarato l’esistenza di uno stato assolutista jihadista, il Califfato, nato con lo scopo di travolgere la posizione geografica attuale dell’Islam, ridisegnare i confini ed espandersi in Occidente al fine di creare un unico dominio; ed è questa la motivazione che diversifica l’Isis daitaleban di Osama bin Laden, i quali invece, volevano solo liberarsi della presenza americana nei loro territori causando delle terribili ferite attraverso gli attentati.
Maurizio Molinari, giornalista e corrispondente da Gerusalemme per La Stampa, nel suo libro Il Califfato del terrore. Perché lo Stato Islamico minaccia l’Occidente (Rizzoli, pp. 156, € 17,00) desidera «accompagnare il lettore in un viaggio dentro l’universo di al-Baghdadi, partendo dalle origini del progetto statuale che è impegnato a realizzare per arrivare alle ragioni della violenza che pratica, del consenso che riscuote e del volontariato che attrae. Ci guiderà lungo l’analisi il bisogno di comprendere meglio l’entità di questa terribile minaccia, che ha già cambiato i connotati al Medio Oriente e si propone di sbarcare nelle nostre città, portando in Europa una dimensione del terrore talmente brutale e diffusa da minacciare alle radici democrazia e libertà».
Il Califfato
Al-Baghdadi sancisce la nascita del Califfato jihadista con un editto in cui descrive la temporanea estensione: da Aleppo, in Siria, alla periferia di Baghdad, in Iraq; superando l’accordo “Sykes-Picot”, all’indomani della Prima guerra mondiale, ad opera delle potenze coloniali, Londra e Parigi si divisero tra di loro i territori dello sconfitto Impero Ottomano; portando alla nascita di Iraq, Siria, Libano, Palestina, Transgiordania e Arabia Saudita. Al-Baghdadi si dichiara successore del profeta Maometto, e negli editti si firma “il principe dei fedeli”.
«In Occidente il Califfato è noto soprattutto per le sue terribili violenze e gli sciiti lo considerano il più crudele dei nemici, ma nel mondo sunnita ciò che più conta è il suo progetto di unificare la comunità dei fedeli, cancellando i confini fra gli Stati post-coloniali per far riemergere al-Sham»; tornando così alle origini dell’Islam, «quando i confini esterni delle conquiste di Maometto erano costantemente in espansione e all’interno non c’era alcuna separazione territoriale».
Lo Stato islamico amministra i suoi territori con una rete capillare d’istituzioni create al fine di controllare minuziosamente tutta la popolazione: la polizia religiosa, i tribunali islamici, le esecuzioni pubbliche, gli ufficiali del Califfo e i miliziani che tengono a bada gli oppositori e gli “infedeli”.
La jihad cambia volto e strategia: «Bin Laden voleva liberare le terre dell’Islam dagli “invasori”, mentre per al-Baghdadi occorre edificare un nuovo Stato».
«L’Islam afferma di essere una religione universale, in grado di coprire ogni aspetto della vita quotidiana, e dunque ha come obiettivo ultimo uno Stato Islamico. […] La religione islamica divide il mondo in due sfere: la “Casa dell’Islam”, dove il territorio è controllato da musulmani e la sharia viene applicata, e la “Casa della guerra”, che include le zone sotto controllo altrui; […] due entità [che] sono destinate a rimanere in costante conflitto fino all’unificazione, sotto la legge di Allah, in uno Stato Islamico denominato “Califfato” che domina su tutti, musulmani e non».
Successo e credibilità del Califfato
Lo Stato islamico è il gruppo terroristico più ricco del pianeta; si sospetta che il suo maggiore finanziatore, fra 2013 e 2014, sia stato il Qatar; con un tesoro liquido stimato in oltre due miliardi di dollari. Ma oltre alle donazioni e ai fondi, il patrimonio dell’Isis ha altre origini: i pedaggi imposti alle merci in transito, alle vetture, i rapimenti di stranieri o di personaggi locali facoltosi; rapine alle banche, le tasse riscosse alla popolazione, la vendita di petrolio e il saccheggio di antichità. Le entrate del Califfato si aggirano attorno al milione di dollari al giorno. Ciò che conferisce credibilità e successo al Califfato è la sua persistenza come stato di fatto, che esercita la legge islamica e riesce a resistere agli attacchi dei nemici; e, come afferma l’islamista egiziano Said Shehata, ciò dipende dal fatto che la «grande maggioranza dei sunniti in Iraq ritiene di subire gravi ingiustizie e discriminazioni da parte del governo di Baghdad per mano degli esecutivi a guida sciita»; per cui lo Stato islamico si è sostituito ad al-Qaeda, nell’immaginario dei sunniti, ottenendo e guadagnandosi lo spazio fisico e religioso per essere credibile, pur se a distanza da Baghdad e Aleppo.
Il “MotivAction Group” di Amsterdam «ha intervistato trecento turchi-olandesi fra i 18 e i 34 anni scoprendo che il 90 per cento di loro considera “eroi” i volontari partiti per la Siria e l’80 per cento “non vede nulla di sbagliato” nella jihad “contro gli infedeli”. Quando l’indagine viene estesa a tutti, senza limiti d’età, l’8 per cento si spinge ad affermare che “per il mondo arabo il Califfato è meglio della democrazia”». È proprio grazie a questo entusiasmo generale che la jihad del Califfo riesce ad affermarsi e a creare le “brigate europee” in Siria e in Iraq. «Che vengano dall’Oceania, dall’Europa o dal Nordamerica, i volontari stranieri giunti in Siria e in Iraq vengono assegnati dall’Isis ai campi di addestramento di cui i forum jihadisti diffondono i video»; ultimato il periodo di formazione sono inviati a combattere a tempo indeterminato; «fra i “combattenti stranieri” c’è chi cede allo stress e vorrebbe disertare, ma se viene scoperto va incontro alla feroce punizione del Califfo: fucilazione seduta stante».
La minaccia in Occidente
Al-Baghdadi desidera conquistare tutta l’Europa, in primis l’Andalusia e Roma, città di infedeli, «dove chiunque non sia musulmano sarà posto di fronte alle quattro scelte offerte agli abitanti di Qaraqosh», ovvero: la possibilità di convertirsi all’Islam; di pagare una tassa speciale che consentirebbe loro la tolleranza, somma che si aggira intorno a settecentoventi dollari; di andare via; o, in ultimo, di affrontare l’esecuzione. «È la visione di una jihad globale che punta a riscattare l’umiliazione della sconfitta subita dalle armate turche di Solimano il Magnifico davanti alle porte di Vienna nel 1529, al termine di un assedio che frenò la conquista ottomana dell’Europa […]. Se il Califfo è convinto di poter riuscire dove Solimano fallì, è perché nell’Europa del XXI secolo sente di avere una carta in più: la presenza crescente di popolazioni musulmane». Sebbene le comunità musulmane siano in gran parte pacifiche e ben integrate nei paesi d’arrivo, i gruppi fondamentalisti ed estremisti sono un pericolo per la sicurezza collettiva; e troviamo conferma nel fatto che «ci sono i volontari presenti nelle fila dello Stato Islamico, che il Califfo considera l’avanguardia di una sollevazione jihadista nel cuore dell’Europa».
Molinari attraverso la sua opera ci consente di vedere un po’ più da vicino, di scoprire e analizzare il problema che rappresenta l’Isis; non offre soluzioni né avanza ipotesi su come combattere la jihad, ma in qualità di inviato ci offre la sua raccolta di informazioni e ci permette di essere consapevoli della gravità dei tempi in cui viviamo. Nella speranza che forze più grandi di noi, singoli individui, prendano al più presto le giuste decisioni volte a pacificare l’Oriente e a rendere sicuro l’intero globo per il bene dell’umanità.
Selene Miriam Corapi
(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 94, giugno 2015)