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Letteratura contemporanea (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno IX, n 90, febbraio 2015

Zoom immagine Dignità e forza,
una castellana
senza paura

di Selene Miriam Corapi
Da Città del sole edizioni,
la storia di una donna tenace
vissuta tra mafia e fascismo


«La nonna pensierosa guardò la bambina e le disse: “Maria, promettimi che qualunque cosa accada troverai il modo di essere felice, promettimi che se anche un sogno non si realizza ti aggrapperai ad altri sogni, dieci, cento pure, ma non mollerai la presa, sii sempre fiera mia cara, se le cose non dovessero andare per il verso giusto non sarà colpa tua, non ti fare piegare mai dalle cose brutte della vita, offri il volto alle intemperie ma non lo scalfire. Lo prometti, tesoro? Lo prometti?”». Le ultime parole, che nonna Teresa rivolge alla nipote, paiono tremendamente foriere di un tragico destino.
Mattia Libri è l’autore de L’ultima castellana (Città del sole, pp. 128, € 12,00), la storia vera di Maria, una donna che, con la forza della gentilezza e l’amore per la vita, si distingue dalla brutalità degli uomini che la circondano trasmettendoci profonda passione per la sua terra.
L’ultima castellana è dunque Maria, testimone di un’epoca di nobiltà e di antichi valori che non si sono dissolti perché vivono ancora in lei; vittima di un amore non desiderato, è costretta ad adempiere al suo destino con ferma risolutezza e stoica decisione. Le parole di nonna Teresa risuoneranno sempre in lei, aiutandola ad affrontare una vita difficile, senza amore, una storia che però avrà un dolce epilogo. Ci troviamo nel periodo storico della dittatura fascista; e, mentre la storia segue il suo corso, in Calabria, Maria scriverà la sua, lasciando un’impronta indelebile sul suolo della vita. Una donna che non si lascia imbrigliare nella morsa del destino, alza il volto e affronta la vita con decisione e con un amaro sorriso sulle labbra. Nessuno le porterà via la libertà del suo cuore.

Una giovane grande donna
La protagonista Maria e i suoi fratelli Antonio e Giovanni sono orfani di madre, il padre Gregorio si è legato in seconde nozze con una donna che non cela la propria avversione nei loro confronti. Nonostante tutto, è spensierata, solare, ama la vita e le cose semplici, ha accanto a sé la nonna Teresa, maestra di vita, con la quale condividerà l’amore per la letteratura, i miti greci e il teatro. «Maria era una ragazzina tendenzialmente saggia, ubbidiente, difficilmente oggetto di rimproveri; avrebbe potuto fare i capricci come tanti bambini viziati, invece la predilezione della nonna la rendeva felice e appagata, forse le coccole la rendevano un po’ illusa circa il futuro e ignara di tutto il male che poteva esserci intorno a lei». I suoi giorni trascorrono felici, anche dopo la morte proprio della nonna, che l’aveva curata e amata sostituendosi alla figura materna, finché un giorno Salvatore, un cugino del padre, divenuto mafioso, invaghitosi di lei, organizza il suo rapimento per poterla sposare, dal momento che né la giovane né il padre volevano acconsentire; questo gesto cambierà per sempre la sua vita. Il padre, per tre giorni, andrà alla ricerca disperata della figlia con l’intento di uccidere il parente malfattore: ma sarà Maria ad evitare che si compia una catastrofe. Metterà l’orgoglio e l’amor proprio da parte per salvare la vita del padre, «il bene più prezioso che aveva; quella paura la sconfisse e Maria si rassegnò a vivere una vita non sua, con un uomo che non voleva e per il quale da quel momento in poi avrebbe provato solo disprezzo». Il 4 maggio del 1937 «Maria fu la sposa infelice di un capo ’ndrina».
Anche se vittima di un destino imposto con la forza, non si dà per vinta, manterrà integra la sua dignità: ogni giorno in paese, a Gambarie, insegna taglio e cucito alle altre donne: «Provava un senso di libertà e di indipendenza quando a mattina partiva di buon’ora».
Quando nel 1943 Reggio Calabria fu bombardata a tappeto da incursioni aeree, molti sfollati raggiunsero il paese di Maria, trovando ospitalità nel suo castello; furono questi gli anni in cui si manifestò la sua spiccata sensibilità e il suo altruismo, «la generosità conquistò il cuore di chiunque venisse in contatto con lei». Anche nei confronti dei coloni dei suoi terreni si comportava in modo esemplare; e, «a proposito del grano diceva loro: “Prima togliete una parte che vi servirà come semente, poi dividetelo”»; lavorava assieme a loro nelle campagne, quando rincasava, andava a visitare gli sfollati lasciando loro del cibo con cui sfamarsi. Addirittura un giorno apprese, in una lettera lasciatale dalla nonna, l’esistenza di un passaggio segreto, una lunga galleria che attraversava l’intero paesino, e grazie ad esso poté dare aiuto e rifugio ai fuggiaschi della guerra.
Salvatore, nonostante fosse capo ’ndrina, la rispettava come moglie e come donna, chiedeva spesso i suoi consigli, e lei da parte sua «cercò sempre di dare pareri all’insegna della morale e della pacificazione, ma non sempre la sua morale coincideva con quella di un capo ’ndrina. […] benché disapprovasse ogni forma di arroganza e di prepotenza, […] nonostante arrivasse ad intuire i retroscena di avvenimenti di cronaca nera, non pensò mai a denunciare il marito o gli associati».

Una nuova vita… un dolce epilogo
«Quando il marito morì Maria aveva sessant’anni e lo stesso spirito indomito come da ragazzina, gli occhi luminosi e progetti da realizzare. Giuseppe colse tutto questo dal primo momento che la vide, riuscì ad avere il privilegio di essere il primo uomo, nella vita di questa grande donna, colui al quale lei diede la sua anima». Così, dopo una vita vissuta senza amore e fatta di silenzi e soprusi, Maria scoprì cos’era l’amore, potendo amare liberamente senza alcuna costrizione.
Il personaggio di Maria è quasi un modello per le donne: restare se stesse, resistere, combattere e salvaguardare la propria libertà interiore.
«Ogni epoca ha le sue peculiarità storiche, ma la quotidianità di ogni uomo è la stessa allora come oggi. Maria è una donna che ha saputo trarre il meglio dal peggio che le capitò».
Il libro si conclude con parole molto evocative: «Esiste un castello testimone di grandi gesta, che vide dissolversi pian piano la nobiltà che lo realizzò, e anche quella più vicina a noi cui appartenne. Io sono testimone che nelle vene dell’ultima castellana scorre sangue di una nobiltà che non si è dissolta, quella nobiltà che non è fatta di stendardi e corone, ma di gesta meritorie scolpite nella vita di coloro che ebbero il privilegio di conoscerla».

Selene Miriam Corapi

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 90, febbraio 2015)

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