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Comunicazione e Sociologia (a cura di Vilma Formigoni) . Anno VIII, 88, dicembre 2014

Zoom immagine L’estrema fine
in letteratura

di Federica Lento
Il tema della morte
in sei grandi autori,
da Florence Art


La morte e il morire; il loro rapporto con la società che aspetta, patisce, combatte il soccombere, o celebra come passaggio ad un livello superiore della propria vita: si tratta di riflessioni che hanno sempre coinvolto l’essere umano. La letteratura di ogni paese si è fatta spesso portavoce di questi temi; in Italia, tra Otto e Novecento, la cultura letteraria siciliana, in particolare, ha prodotto un nutrito corpus di testi in questo senso che presenta molteplici aspetti e sfaccettature. Il periodo in questione, nel suo carattere funebre, è stato esaminato in un recente saggio di Ernestina Pellegrini, insegnante di Letterature comparate presso l’Università di Firenze e presidente dell’Associazione “Archivio per la memoria e la scrittura delle donne”: Il grande sonno. Immagini della morte in Verga, De Roberto, Pirandello, Tomasi di Lampedusa, Sciascia, Bufalino (Florence Art edizioni, pp. 240, € 18,70). Si tratta di un progetto che parte dagli anni Ottanta, quando l’autrice si è soffermata ad analizzare gli aspetti caratteristici del naturalismo francese e del romanzo dell’Ottocento russo, per poi approdare alla letteratura italiana, siciliana in particolare. Ogni capitolo del libro ha la particolarità di essere introdotto dalle fotografie di Cecilia Tosques, immagini metaforiche, legate al tema del capitolo non in maniera immediata ma tramite idealizzazioni concettuali, decadenti e giocose, secondo i temi trattati dagli autori che di volta in volta la Pellegrini analizza.

 

La morte tra sociologia e psicoanalisi

Quello di Ernestina Pellegrini è uno studio che si muove tra antropologia, sociologia e letteratura, fino a toccare la psicoanalisi. Il titolo stesso rimanda alla tradizione junghiana che mette in relazione il sogno e la morte. Dal punto di vista socioantropologico, invece, l’autrice investiga sul “grande sonno” portando alla luce il tema di «senso della fine» che contamina la società.

Entrambe queste vie hanno influenzato moltissimo il romanzo siciliano tra Otto e Novecento; la morte si libera della sua veste romantica, per diventare «sorte casuale, gioco di dadi», fino a sfiorare la beffa.

 

Sei autori, sei diverse concezioni della morte

Ernestina Pellegrini parte da Giovanni Verga, definito il portavoce della letteratura tanatologica italiana moderna: «l’ombra di thanatos occupa già con prepotenza il cielo delle prime opere verghiane». L’attenzione dello scrittore catanese per la morte, secondo la studiosa, risale alla scomparsa della madre, periodo che coincide con la pubblicazione de I Carbonari della montagna, in cui «seguire la morte […] significa delineare la storia dell’individualismo moderno, denudato di ogni amplificazione romantica, materialismo, condanna della coscienza cartesiana». Nel capitolo dal titolo La morte dei vinti si analizza tutto il percorso di Verga nella sua percezione del trapasso, dalle morti “tranquille” a quelle selvagge.

Ne Il funerale della principessa Uzeda di Francalanza vengono esaminate le opere di Federico De Roberto e, in particolare, la figura di donna Teresa de I viceré. Tra malattie, sangue, immagini di feti mostruosi messi sotto spirito in un barattolo, la morte rappresenta una sfilata degli orrori, metafora di un pessimismo sociopolitico.

Nel capitolo E la morte, questo niente della vita com’era si parla di Luigi Pirandello, di cui vengono analizzate le novelle che riguardano il macabro e l’impossibilità di vivere. Pensiamo ad esempio a Di sera, un geranio e a I pensionati della memoria, in cui ci si muove nel campo del fantastico, fino ad arrivare all’umorismo e all’assurdo. In Pirandello morte e vita si fondono, l’una vuole intrecciarsi all’altra e viceversa, in un legame imprescindibile: «la morte è sempre per Pirandello l’ultimo limite dell’umanizzazione, l’estrema passività, ma anche in certi casi il momento di affermazione di un’irriducibile sovranità del soggetto. È la trappola della vita interiore, fino ai suoi capricci di onnipotenza». L’umorismo macabro di Pirandello porta ad accettare la condizione del non essere né vivo né morto: simbolo meraviglioso di questa condizione di sospensione è, per esempio, il protagonista de Il fu Mattia Pascal.

Il concetto di morte in Giuseppe Tomasi di Lampedusa è raccontato nel capitolo Corteggiare la morte. Ne Il Gattopardo, l’estremo traguardo, simboleggiato dal principe Fabrizio Salina, diventa sonno pacificatore individuale, da non condividere assolutamente con la società.

La morte dal punto di vista etico e sociologico è analizzata invece nel capitolo dedicato a Leonardo Sciascia, dal titolo La morte come pena  ed è concepita come espropriazione. La scrittura diventa procedimento di ricerca di verità, di responsabilità individuale, strettamente legata ai caratteri salienti del decesso.

Per concludere, Ernestina Pellegrini ci presenta il capitolo su Gesualdo Bufalino, dal titolo Il teatro come morte. Tra lettere, ricordi personali e racconti dello scrittore, l’autrice mette in luce una «precoce educazione sentimentale alla morte», che si muove tra il tema della perdita e quello, più beffardo, di memoria pirandelliana. La Pellegrini definisce l’autore «guardiano delle rovine», autore di uno «Zibaldone nero».

Una riflessione, quella della Pellegrini, che indaga la morte nel suo aspetto più intimo o sociale, per comprenderla e forse esorcizzarla.

 

Federica Lento

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 88, dicembre 2014)

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