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Politica ed Economia (a cura di Elisa Pirozzi) . Anno VIII, 85, settembre 2014

Zoom immagine La Resistenza
con gli occhi
di una donna

di Simona Baldassarre
La grande storia di Nilde Iotti:
la lotta per la «progressione»
e i diritti femminili. Da Donzelli


Nonostante sia notevole l’impegno, soprattutto negli ultimi anni, per raggiungere quanto più possibile la parità di genere in politica, anche attraverso l’istituzione delle “quote rosa”, è ancora piuttosto difficile per il sesso femminile ottenere ruoli di primo piano nel governo, perlomeno in Italia. Mentre in Sud America diverse nazioni sono governate da donne (basti pensare ad Argentina, Brasile e Cile), nel nostro paese non si è ancora vista alcuna figura femminile sedere sugli scranni delle due più alte cariche, la presidenza della Repubblica e la presidenza del Consiglio, mentre al Quirinale e a Palazzo Chigi finora le donne ci sono state solo in qualità di mogli dei capi di stato e di governo.

Sulla poltrona di presidente della Camera, invece, è già capitato di vederne: l’attuale titolare della terza carica dello stato è, infatti, Laura Boldrini e già anni fa al suo posto c’era stata Irene Pivetti, detentrice, tra l’altro, di una sorta di record, per esser stata la più giovane ad avere quel titolo.

Storicamente, però, la prima donna ad avere avuto tale onore fu Nilde Iotti, che assunse per la prima volta l’incarico di presidente della Camera il 20 giugno 1979. Alla sua vita e alle sue vicende politiche è dedicato il volume, scritto da Luisa Lama, Nilde Iotti. Una storia politica al femminile (Donzelli editore, pp. 272, € 30,00). Il titolo del libro, tuttavia, non deve trarre in inganno, perché, come afferma l’ex ministro Livia Turco nell’Introduzione del volume: «definire la sua storia una “storia politica al femminile” non significa sminuire la sua autorevolezza di dirigente politico e di donna delle istituzioni ma sottolineare e rafforzare una peculiarità che lei stessa rivendicava e che l’ha resa speciale nel panorama delle autorevoli madri della nostra Repubblica».

 

Uno sguardo alla storia

Il volume non è una semplice biografia, perché Luisa Lama inserisce il vissuto della Iotti e la sua «progressione» (come lei stessa preferiva definire il proprio percorso politico, piuttosto che ricorrere al termine “carriera”) all’interno dell’intenso racconto di poco più di mezzo secolo di storia italiana. Nel Prologo, in cui si racconta la parte iniziale della vita di Leonilde (il suo nome per esteso), l’autrice dà un accenno della situazione storica e politica del periodo che va dagli anni Venti (era nata nel 1920) fino alla fine degli anni Trenta e l’inizio dei Quaranta, quando la giovane studentessa reggiana si trasferì a Milano per studiare all’Università Cattolica e cominciò a formare la propria coscienza politica.

Nel primo capitolo, poi, viene raccontata la dura lotta dei partigiani contro il nemico: «Comunisti, socialisti, cattolici, azionisti e uomini senza bandiera, pur nella diversità delle ideologie e dei progetti per il futuro, trovavano nella concretezza della lotta al nazifascismo un modus operandi efficace e spesso devastante per un nemico che sembrava invincibile».

Dopo il racconto delle vicende della Resistenza, davvero coinvolgente e ricca di particolari, Luisa Lama ci rende spettatori della rinascita democratica della nostra nazione, mostrandoci i lavori della Costituente e la convivenza, al suo interno, di due anime, quella cattolica e quella comunista, che ebbero a scontrarsi soprattutto nella stesura dell’articolo 7 della Costituzione: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».

Il focus si sposta poi sui rapporti tra il Partito comunista italiano e il Partito comunista dell’Unione Sovietica, con i racconti dei viaggi in Russia di Palmiro Togliatti (ma anche di Pietro Secchia, per lungo tempo “oppositore” – all’interno del partito – di Togliatti stesso) e dei suoi rapporti con Stalin.

Si narrano poi le trasformazioni compiutesi dopo la morte del leader del Partito comunista, avvenuta nel 1964, con gli avvicendamenti dei diversi segretari, fra i quali la figura più importante è senza dubbio quella di Enrico Berlinguer, sostenitore, negli anni Settanta, del “compromesso storico” con la Democrazia cristiana.

Nell’Epilogo Lama narra in breve l’evoluzione del Partito comunista e il suo cambiamento di nome (o sarebbe meglio dire di nomi) negli anni Novanta fino alla metà degli anni Duemila.

 

Il ruolo delle donne

All’interno del racconto sulla Resistenza, l’autrice getta un fascio di luce sul ruolo avuto dalle donne in quel periodo così delicato della nostra storia, e giustamente si cura di specificare quanto non fosse secondario: «In quel tornante della storia, tuttavia, il loro protagonismo non doveva fermarsi alla cura. Stavano cambiando anche la mentalità e i costumi. Sotto l’incalzare della guerra, la giovane Nilde e tante sue coetanee potevano assumere comportamenti certo impensabili per la generazione delle loro madri. Era cambiata la quotidianità degli italiani e quell’urto violento aveva fatto traballare anche consolidati steccati di genere».

Tra il 1943 e il 1944 nacquero diverse associazioni femminili, poi riconosciute a livello nazionale dai Comitati di liberazione di tutto il paese e che ebbero addirittura un proprio giornale: Noi donne. In quei pochi fogli si incitavano le donne a combattere al fianco degli uomini e si narravano le vicende di figure femminili particolarmente eroiche, senza mettere in evidenza la singola personalità ma esaltando la forza del gruppo.

La più grande vittoria (per quel periodo) delle donne fu il diritto di voto, ottenuto tramite decreto del 1° febbraio 1945, e fortemente sostenuto da De Gasperi e Togliatti. Per avere la possibilità di candidarsi, le donne, tuttavia, avrebbero dovuto aspettare l’anno successivo.

Fu quello il periodo in cui nacquero due grandi federazioni femminili: il Centro italiano femminile (Cif), che riuniva le rappresentanti democristiane, e l’Unione donne italiane (Udi), associazione di donne comuniste.

A Reggio Emilia, l’8 marzo 1945, in occasione della loro festa, centinaia di donne scesero in piazza, non solo per cacciare tedeschi e fascisti, ma per conquistare maggiori razioni di cibo.

Furono però gli anni successivi a vedere il raggiungimento di alcuni dei traguardi più importanti: prima la pensione anche per le casalinghe, poi le leggi riguardanti l’adulterio e il divorzio, e, grazie alla liberazione sessuale degli anni Sessanta, all’inizio del decennio successivo, arrivò la legge che liberalizzava l’aborto, che resistette anche agli attacchi dei cattolici e del loro referendum (tenutosi nel 1974) per abolirla.

 

Una maestra mancata

Nilde Iotti era partita alla fine degli anni Trenta da Reggio Emilia per andare a studiare alla Facoltà di Magistero dell’Università Cattolica di Milano, perché, avendo studiato all’Istituto magistrale, ci si aspettava per lei un futuro da maestra. Ciò che contava, per la sua famiglia, era che lei studiasse, perché, come diceva suo padre Egidio, «loro sanno», riferendo quel pronome ai borghesi, coloro che avevano più possibilità di riuscire nella vita, coloro che avevano cultura, e il sapere era la strada da percorrere.

Proprio durante gli anni di studio a Milano, Nilde cominciò a distaccarsi dall’ambiente cattolico in cui era cresciuta e dove aveva frequentato una notevole figura dell’antifascismo reggiano, Valdo Magnani, suo cugino di primo grado. Già a Reggio aveva conosciuto Teresa Noce, un’intrepida dirigente, creatrice di una rete clandestina provinciale; all’inizio, però, Nilde preferì tenersi fuori dalla mischia. Nel frattempo s’iscrisse all’Udi.

Ciò che fece davvero scattare la molla della partecipazione politica in lei fu la voce di un uomo che l’avrebbe accompagnata, in tutti i sensi, negli anni a venire: quella di Palmiro Togliatti. Nilde si trovò ad ascoltare il suo discorso tenuto a Salerno trasmesso da Radio Londra e quelle parole piene di concretezza e realismo la colpirono molto. Poco tempo dopo Togliatti, con sua moglie Rita Montagnana, anche lei strenua combattente, tenne un comizio proprio a Reggio, cui la Iotti assistette, in cui incitò soprattutto le donne comuniste.

Nel frattempo, l’impegno della Iotti cresceva e il 21 agosto 1945 il suo nome comparve per la prima volta sul giornale Noi Donne, a firma di un articolo sull’emancipazionismo, in cui espresse le sue idee con cautela dichiarando che le donne non avevano sicuramente intenzione di prendere il posto degli uomini né di abbandonare la cura della casa.

Nello stesso periodo, davanti alla prefettura di Reggio si riuniva un gruppo di donne per protestare contro le insostenibili condizioni di vita. In seguito a questa manifestazione si decise di inserire nel Sepral (la Sezione provinciale dell’alimentazione) alcune rappresentanti del movimento femminile e i dirigenti dell’Udi segnalarono il nome di Nilde Iotti.

Da quel momento in poi la sua partecipazione alla vita politica si fece intensa: scriveva con più frequenza sul giornale, il suo ruolo all’interno dell’associazione era sempre più attivo, finché il suo nome divenne spendibile per le elezioni (testare le sue abilità politiche era per i dirigenti del partito un modo per vedere se sarebbe stata capace di tenere le fila dell’Udi). Alle comunali non furono molti a votarla, ma abbastanza per farla eleggere.

Quello fu solo il primo passo: evidentemente il suo lavoro fu molto apprezzato, perché la Federazione del partito di Reggio Emilia la candidò per le elezioni della Costituente del 2 giugno 1946. «E forse, proprio la sua versatilità umana e culturale, prima ancora che politica, dava smalto e autenticità a quella candidatura. Questo doveva piacere a un pubblico femminile, ma non solo».

Il 2 giugno la vide trionfare con un risultato molto più soddisfacente rispetto a quello delle comunali, e per Nilde si aprirono le porte della Storia. Non solo il 25 giugno 1946 sedette nell’emiciclo del Parlamento, ma fu scelta, insieme a Teresa Noce, per far parte della Commissione dei settantacinque che avrebbero riscritto la Costituzione. Fu allora che il suo destino si incrociò, e si legò indissolubilmente, a quello di Palmiro Togliatti, non soltanto politicamente.

 

Amore e lettere

Il volume di Luisa Lama è molto importante perché per la prima volta porta alla luce un documento finora tenuto segreto: il carteggio tra Nilde Iotti e Palmiro Togliatti, messo a disposizione da Marisa Malagoli Togliatti, la figlia che i due politici presero in affido (non poterono adottarla perché Togliatti era già sposato e a quell’epoca non era consentito il divorzio).

Queste lettere raccontano di un amore vero, intenso, ma travagliato, preso di mira dalle riviste di satira e non solo, anche perché Togliatti era il mitico dirigente, mentre la Iotti era una giovane in carriera, o meglio, in «progressione» (come avrebbe preferito definirsi lei). Ci provarono in molti a ostacolare questo legame: qualcuno all’inizio suggerì a Nilde di abbandonare la carriera politica per dedicarsi totalmente al suo compagno.

La vera e propria scintilla era scattata alla fine di luglio del 1946, ma presto avevano dovuto separarsi per gli impegni politici di lui, atteso a Parigi. Entrambi scrissero delle lettere, che non furono spedite ma custodite, per essere poi scambiate al loro ritorno a Roma.

Il fatto di essere spesso lontani li costringeva a riflettere sulla loro situazione, anche perché li separava una notevole differenza di età (ventisette anni), di esperienze e di status.

Uno dei momenti più difficili attraversati da Nilde a causa di questo legame fu in occasione delle candidature per le elezioni del 1948. I compagni delle Federazione di Reggio Emilia sembravano non perdonarle la relazione col “capo”, ma lei si rese conto che forse quello era solo un modo per attaccare indirettamente Togliatti e la sua “democrazia progressiva” cioè l’idea di uno stato che riconoscesse la libertà e i diritti politici e sociali, la proprietà pubblica e quella privata.

La Iotti dovette sopportare ancora di peggio in seguito, dopo l’attentato al suo compagno, avvenuto mentre uscivano insieme da Montecitorio. Purtroppo, non ebbe nemmeno la possibilità di stargli vicino durante la convalescenza, perché quel compito toccò alla moglie e al figlio Aldo, mentre lei poté ricevere notizie sulle condizioni di salute di Palmiro attraverso i bollettini medici che via via venivano diramati.

Finalmente nel 1949 una piccola conquista: lasciarono l’abbaino all’ultimo piano del palazzo in via Botteghe Oscure (la sede storica del Partito comunista) per andare a vivere in una casa “vera”. Nello stesso stabile, al piano superiore, sarebbero andati ad abitare, e non spontaneamente, Pietro Secchia e sua moglie. Il controllo non si limitò a questo, anzi il partito fece installare un sistema di microfoni per ascoltare le conversazioni di Nilde e Palmiro.

Nel 1950 la loro piccola famiglia si ingrandì, i due presero in casa la piccola Marisa Malagoli, figlia di una grande famiglia di mezzadri della provincia di Modena, il cui fratello era stato ucciso durante gli scontri seguiti a uno sciopero generale. Insieme fecero diversi viaggi, anche in Russia. Nello stesso anno Togliatti ottenne la separazione legale (ma non il divorzio, non ancora contemplato all’epoca), per cui l’abbandono del tetto coniugale poté finalmente esser definito legittimo.

Negli anni successivi affrontarono insieme mille battaglie, congressi, elezioni, conferenze (come ad esempio quella femminile dell’aprile del 1962), finché nell’agosto 1964, durante un viaggio in Russia, Palmiro Togliatti morì, lasciando Nilde custode della sua eredità politica.

 

Una donna a difesa delle donne

Nel corso della sua attività politica, Nilde Iotti è stata sempre attenta a portare avanti le lotte per il benessere della famiglia e dell’universo femminile, anche cercando di unire gli sforzi con le esponenti della Democrazia cristiana e del mondo cattolico. «I temi su cui confluire sono tanti: dalla parità del lavoro all’eguaglianza giuridica fra i coniugi, alla modifica del Codice civile, alla tutela dei figli nati fuori dal matrimonio e alla stessa abolizione della prostituzione di Stato. Navigare in mare aperto per trovare convergenze e soluzioni nell’interesse di tutte le donne. Questo ci pare il suo approccio al futuro».

La politica reggiana si è occupata di moltissimi temi, come l’insegnamento della Storia nelle scuole italiane, la proposta di una pensione per le casalinghe (fu lei la prima firmataria di quel progetto di legge), il ruolo della donna all’interno della famiglia, l’emancipazione e l’occupazione femminile, il divorzio (che lei preferiva definire «scioglimento del matrimonio»).

Con gli anni, dopo la morte del suo compagno, ha fatto valere la grande esperienza accumulata, diventando una politica di primo piano, stimata e rispettata, tanto da essere scelta come prima donna presidente della Camera.

Per tutti questi motivi, il volume di Luisa Lama assume un significato importante, perché attraverso il ritratto di una grande donna, che dovrebbe essere presa a modello non solo dalle giovani italiane che si avvicinano alla politica, ma da tutti, permette di conoscere meglio la storia politica del nostro paese e racconta in modo appassionato un periodo intenso come quello della Resistenza. E l’autrice riesce a far appassionare il lettore con la sua avvincente narrazione.

 

Simona Baldassarre

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 85, settembre 2014)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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