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Riflessi d'autore (a cura di Aurora Logullo) . Anno VIII, n 83, luglio 2014

Zoom immagine L’intima percezione
dell’esistenza
nel forte dualismo
del punto di vista

di Pamela Quintieri
L’immenso potere dello sguardo:
Fontana editore ristampa in digitale
un delicato romanzo “prospettico”


È la luce a regalarci il miracolo della visione, favolosa e potente attivatrice della percezione dell’immagine, trionfando sugli abissi del buio. E la luce illumina, indaga, dipana e disvela regalando pienezza, e infine densità di forme e sfumature. Risiede in essa un potere misterioso: quello di presentare, al mondo, le cose trasfigurandole secondo la diversificazione del punto di vista adottato dallo spettatore. Così, secondo una regola paradossale, possiamo finire con il percepire come “bello” qualcosa che propriamente non lo è affatto o ritenere irraggiungibile, perché lo sentiamo troppo lontano, qualcosa di immensamente vicino a noi, poiché chiusi nella nostra personale incapacità di sfiorarlo.

Guardiamo, osserviamo, scrutiamo, lasciandoci avvolgere o sedurre dalla potenza delle emozioni ed intuizioni extrasensoriali, dal vigore dell’impressione e degli intendimenti che l’occhio e con esso la parte più profonda dell’anima raccolgono. E l’immagine appare, si crea, prende vita… e allora il suo soffio vitale incendia pensieri e determinazioni perché genera conoscenza ed abbatte barriere e costruisce laddove il mero vuoto poco prima esisteva, partorendo dalla sua irrefrenabile potenza creativa. E compare bellezza…

 

In un giorno come questo

Prezioso e industrioso nerbo della vitale intelligenza umana, l’intelletto registra e analizza, poi sviluppa, e solo allora la mente si libera, si realizza, si distingue.

Interesse o noia, purezza, trasparenza del nostro Io… accade che, come se l’anima si irrobustisse, si elevasse accesa essa stessa dal potere alchemico della luce, anche noi ci troviamo a respirare per la prima volta, ad illuminarci e alla fine a prendere nuova vita.

«Amo i cappelli e cammino e quando cammino guardo il mondo e quando guardo penso. Penso che cogliere i particolari serve ad agghindare la vita come un albero di Natale».

Diretto, insolito, a suggellare le impressioni in merito al concetto di “visione”, l’evidente e fin troppo coinvolgente punto di vista di Eva, la protagonista del libro In un giorno come questo (Fontana editore, pp. 244, € 4,99) di Marianna Loredana Sorrentino. Il testo, inizialmente pubblicato con Aletti (nella collana Gli Emersi – Narrativa) viene oggi riproposto in versione ebook da Fontana editore, nella sua collezione Blue short (cui appartengono, come leggiamo sulla home page della casa editrice, «piccoli e vivaci testi da leggere tutto d’un fiato su android e smartphone»), dunque indubbiamente in linea con la tendenza letteraria del momento abbinata alla migliore tecnologia del secolo.

«Ognuno potrebbe trovare nelle cose, nelle persone e nelle situazioni la panacea giusta per ogni evenienza e la chiave per aprire lo scrigno che la custodisce, è l’occhio. Quello affinato e curioso, necessario per cogliere le sfumature del paesaggio quando navighiamo il fiume dell’esperienza che scorre tra le sponde del guardare e del vedere. Seduti su una riva si scruta, sull’altra si scorge e sarebbe meglio non solcarlo proprio in mezzo, ma sottocosta al vedere, per guardare meglio».

Eva esprime fin da subito, racchiudendola in sé, la dualità della visione: da un lato la capacità di avvolgerci e impressionarci con un vortice espressivo carico di sfavillanti sensazioni, cioè la meraviglia che assale l’occhio dello spettatore, e dall’altra invece la sconcertante indifferenza bieca quando le cose ci appaiono trascurabili, trasparenti, inutili. Ed è qui, magicamente racchiuso nell’immensa trasparenza della sua forza, che appare chiaro il messaggio: l’antitesi tra verità e potere, il vigore di trasmettere un’indicazione chiara, di non osservare sterilmente le cose per un puro piacere estetico ma di provare a coglierle nella loro essenzialità penetrandone il senso nascosto nel proprio mistero di esistere. Qui l’autrice s’accosta al nostro orecchio come un sussurro flebile ma distinto.

 

Eva

Eva è una donna di imbarazzante intelligenza e sensibilità che vive ai giorni nostri. La sua mirabile qualità d’osservazione, netta e profonda, la rende in grado di cogliere particolari quasi impercettibili al mondo. Così con fare naturale, spontaneo, elegante, ma pur sempre velato di sorridente ironia, racconta la sua storia, quella di un “essere femmineo” cui la natura non ha voluto regalare la maternità e a cui la sorte ha strappato l’appagamento dell’amore, intrappolandola in una relazione con un uomo che le preferisce un’altra e che, ammaliato e avvinto da questa novità, abbandonerà pertanto Eva.

Seguiamo il nostro personaggio nelle sue passeggiate, tra i suoi trascinanti pensieri, tra le pieghe dei giorni comuni, ispirata dall’amicizia intellettiva e d’abitudine con figure singolari e avvolgenti, talvolta non limpidamente presentate – e di certo ciò è propriamente voluto dall’autrice – nelle loro caratteristiche fisiche, ma descritte e fatte percepire al lettore dal solo ricordo emozionale, come nel caso del giornalaio Claudio o, più approfonditamente, in quello dell’artista ivan che, con le sue scaglie («Se lanci semi al vento, crescono fiori in cielo», «Un foglio bianco è una poesia celata», «Il poeta sei tu che leggi», «Il futuro non è più quello di una volta»), sa innescare il meccanismo di una struggente e profonda ispirazione che riesce a smuoverci a un profondo livello viscerale e istintivo.

Ci accomuniamo ad Eva, dunque, attraverso lo scorrere delle pagine, ci accostiamo alla sua abitudine, alla piacevole attitudine di scrutare le cose nel profondo, di scovare la magia tormentata della loro essenza, di scoprirle nello scintillio altero della loro intimità.

Una donna sensibile, ma sempre materiale, corporea, viva che, disegnata concretamente da fragilità proprie della nostra natura umana, sa trovare la leva scatenante della forza risolutrice. Una figura avvolgente e toccante che spesso riesce bene a sottolineare le profonde contraddizioni dell’animo, quelle che troppo nascondiamo senza ritenere di dover presentare all’altro. Coinvolgente ed eterea abitante di questo mondo terreno e inconsistente disegna lei stessa la misura e la trascendenza che sole sanno affascinare e coinvolgere il lettore spingendolo a trovare soluzioni, a osare, a interagire pienamente.

«Comunque, questa sequenza di negazioni non ha destabilizzato del tutto il mio ego e sono rimasta della convinzione che le voragini che ho dovuto scavalcare lungo il cammino hanno reso più agile l’umore. Ammetto che le transizioni da un non all’altro sono state delle vere e proprie prove di apnea in mare aperto, ma quando sono riemersa ho sputato tutto il sale che mi si era attaccato in gola e mi sono aggrappata all’aria, già pronta a tendermi le braccia appena sopra il pelo dell’acqua».

 

L’autrice

Marianna Loredana Sorrentino nasce in Svizzera per poi trascorrere la sua adolescenza in Calabria, nel comune di Soverato, di cui una parte della sua famiglia è originaria, finché arriva a trasferirsi a Roma dove risiede dall’età di diciannove anni.

Artista dalla personalità eclettica, ha espresso la sua arte prima nella letteratura e nella pittura, per poi farla sfociare nella recitazione e nella musica, lavorando ad esempio con gli Acciari Brothers e con il gruppo acustico Slo – percorsi d’autore.

È presidente del Premio letterario nazionale “Perseide”, promosso dall’Associazione culturale “Circe”.

Segnaliamo che l’autrice è attualmente impegnata in un progetto che riguarda il cantautore Fabrizio De André, personalità che le è particolarmente cara, e che coinvolge la Calabria, terra d’origine della sua famiglia.

 

La meraviglia dello sguardo

Il testo si apre con la ragguardevole e, non a caso, “illuminante” citazione di Italo Calvino, tratta da Se una notte d’inverno un viaggiatore, che riassume appieno il valore intrinseco del romanzo e della nostra disquisizione. La proponiamo per una più intima e personale riflessione qui di seguito: «Ci sono giorni in cui ogni cosa che vedo mi sembra carica di significati: messaggi che mi sarebbe difficile comunicare ad altri, definire, tradurre in parole. Sono annunci o presagi che riguardano me e il mondo insieme. E di me non gli avvenimenti esteriori dell’esistenza, ma ciò che accade dentro, nel fondo. E del mondo non qualche fatto particolare, ma il modo di essere generale di tutto. Comprenderete dunque la mia difficoltà a parlarne, se non per accenni».

Solo quello che infonde stupore nella nostra anima ci rende vivi, solo quello che è capace di smuovere le nostre viscere ci sottrae alla noia dell’oblio, solo l’emozione alimenta i nostri sensi, solo quello che il nostro intelletto può rivelare ci eleva alla condizione di esseri umani liberi, pensanti, vivi.

Ma la nostra vera umanità risiede nel limite della nostra fragilità, nella capacità di lasciarci affascinare comunque dalla vita nelle sue mutevoli espressioni e che perciò disegna la dimensione del nostro essere. Armonioso, misurato, morbido, il nostro pensiero si espande, si assottiglia e poi si posa… meravigliosamente, in fondo, si posa. «Vedere poco implica guardare di più».

 

Pamela Quintieri

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 83, luglio 2014)

Collaboratori di redazione:
Ilenia Marrapodi
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