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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno II, n° 7 - Marzo 2008

Zoom immagine Un’antologia che sostiene
il forte valore della legalità

di Clementina Gatto
Brani di poeti e scrittori dai più antichi ai viventi:
da Giovanni De Nava fino a Francesca Viscone


Spesso gli intellettuali sono (e giustamente) accusati di essere poco impegnati nel sociale. Questa antologia edita da Pellegrini dimostra che, almeno in alcuni casi, così non è. Giornalista calabrese da tempo residente in Canada, Antonio Nicaso è uno dei maggiori studiosi della criminalità organizzata internazionale ed è stato coautore, insieme al magistrato Nicola Gratteri, del fortunato saggio Fratelli di sangue (pubblicato dalla medesima casa editrice). Nel suo ultimo libro, Senza onore (Prefazione di Michele Borrelli, Pellegrini editore, pp. 112, € 15,00), vuole raccontare la ’Ndrangheta attraverso la letteratura, proponendo le pagine più intense di alcuni autori calabresi, con l’intento di ricostruire la storia e le trasformazioni di una delle organizzazioni criminali più potenti nel mondo.

Ormai dimenticata l’origine arcaica e contadina, la ’Ndrangheta è diventata una sorta di Giano bifronte: da un lato, fortemente radicata nella tradizione dei legami di sangue e della vendetta; dall’altro, ha lo sguardo rivolto verso i mercati internazionali aperti dalla globalizzazione. Sempre pronta a mitizzare ed esasperare l’onore e, nello stesso tempo, a tradirlo opportunisticamente per salvaguardare l’interesse del momento, la ’Ndrangheta si rivela anche attraverso la letteratura calabrese degli ultimi cento anni.

Gli autori presenti nell’antologia sono poeti e romanzieri: da Giovanni De Nava (1873-1941) fino ai contemporanei Carmine Abate, Domenico Cuppari, Mario Strati, Saverio Strati e Francesca Viscone, passando attraverso le pagine di Corrado Alvaro, Luca Asprea, Mario La Cava, Natalino Lanucara, Antonio Margariti, Saverio Montalto, Giovanni Patari, Francesco Perri, Fortunato Seminara ed Enzo Siciliani.

 

Per conoscere e condannare la criminalità organizzata

Alla base della selezione dei brani antologici raccolti nel testo c’è un doppio scopo, documentaristico e di denuncia: si parla del fenomeno chiaramente, senza tabù, per sfatare gli innumerevoli luoghi comuni di cui è ammantato.

Attraverso brevi cenni riferiti agli autori, è possibile tracciare un percorso che segna i passaggi più significativi della ’Ndrangheta.

Alla fine dell’Ottocento, il poeta De Nava descriveva nelle sue poesie una criminalità stracciona, figlia del degrado e della miseria. Opportunamente, Nicaso ricorda che nello stesso periodo, nel 1890, il tribunale di Reggio Calabria condannava 32 persone per associazione a delinquere: si trattava di calzolai, fabbri, falegnami, sarti, possidenti, macellai, gioiellieri. Era opinione diffusa che la ’Ndrangheta fosse legata a una società arretrata e contadina, mentre la realtà dei fatti dimostra che essa si è sviluppata soprattutto in centri economicamente vivaci: non solo in Aspromonte, dunque, ma anche nella ricca e produttiva Piana di Gioia Tauro e nei centri urbani più importanti.

In questa stessa direzione, il romanzo di Montalto, La famiglia Montalbano, mette in evidenza che la criminalità organizzata non è un fenomeno legato alla marginalità sociale, bensì una realtà politica, economica e sociale molto attenta al consenso e alle dinamiche istituzionali.

Dopo la seconda guerra di mafia (1985-1991) la struttura della ’Ndrangheta è cambiata in senso maggiormente verticistico-federativo, pur continuando a essere fondata sulla famiglia di sangue, sull’omertà e sulla sostanziale autonomia delle varie aree di influenza.

Saverio Strati si è occupato di ’Ndrangheta nel suo romanzo più famoso, Il selvaggio di Santa Venere, individuando nell’immobilismo sociale una delle cause del suo potere. Pone l’accento sul consenso, invece, La Cava, in Mimì Cafiero, definendolo l’humus in cui attecchisce il fenomeno malavitoso. Di questo aspetto aveva scritto anche Alvaro, in particolare in un articolo pubblicato dal Corriere della sera nel 1955 (dal titolo La fibbia, che rappresenta la ’Ndrangheta) in cui, per contro, fa cenno alla scarsa importanza sociale che rivestivano, già nei suoi ricordi di bambino, quanti in paese non appartenevano alla “fibbia”. Alla memoria attinge anche Asprea, ne Il previtocciolo, raccontando il modo in cui ha appreso le regole di coloro che, con ardire insensato, si autodefiniscono “onorata società” prima di diventare sacerdote. Ancora in chiave autobiografica citiamo Margariti che, in America! America!, descrive alcuni giovani che «usavano la prepotenza come metodo e vivevano senza lavorare».

Ma vero capostipite della letteratura che parla di mafia è tradizionalmente  considerato Lanucara (con il libro Città delle Corti che uscì nel 1949, ben dodici anni prima de Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia); egli ambienta molti dei suoi racconti nella città di Polsi (Rc) che era, fino allo scorso decennio, il luogo in cui si svolgeva la riunione annuale delle ’ndrine (termine che si riferisce alle famiglie di sangue che hanno il controllo di un particolare territorio, di solito un paese o un quartiere di una città) che raccoglievano parte della «picciotteria» emigrata in America.

Sulle notevoli ramificazioni della malavita pongono l’accento anche Mario Strati, che (in Impallidisco le stelle e faccio giorno) descrive una criminalità organizzata con legami in tutto il mondo e Abate, nel suo romanzo Tra due mari, in cui rappresenta la ’Ndrangheta come una malattia invisibile che getta un’ombra su una Calabria altrimenti incantata.

Ulteriori aspetti del fenomeno criminoso emergono dai brani degli altri autori.

Seminara, in Disgrazia in casa Amato, racconta la storia di un maestro elementare che, anziché vendicarsi, denuncia ai carabinieri il capraio che lo aveva sfregiato. In questo romanzo, del 1954, la ’Ndrangheta è descritta come un fatto ancora marginale, che inizia a prendere corpo mettendosi al servizio delle autorità del paese o offrendo la sua protezione ai grandi proprietari. Precedente è il romanzo di Perri, pubblicato nel 1928, Emigranti, in cui è descritta la diffusa mentalità che esaltava chi si fa giustizia da solo per difendere il proprio onore.

Di Siciliano, da Non entrare nel campo degli orfani, è riportata la storia di un ragazzo che uccide per miseria e per noia; mentre della Viscone, in chiusura, troviamo un racconto avrebbe chiesto lavoro e protezione alla mafia, esponendo così i suoi figli a un rischio futuro.

Per tutti, infine, valga il messaggio di Cuppari che, in Tre spari nella notte, descrive la ’Ndrangheta come un’organizzazione criminale senza principi morali, che semina solo distruzione e lutti.

 

Tra le righe un appello ai giovani: «la mafia non protegge nessuno»

Fin dalle prime righe, Nicaso si rivolge ai giovani e alle scuole, con l’intento pedagogico di sfatare miti e luoghi comuni, di riscrivere in qualche modo la storia collettiva.

Nella pagina d’apertura, riporta alcune parole di Paolo Borsellino: «Se la gioventù negherà il consenso anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo». Il suo obiettivo è di dimostrare che l’onore, come lo intendono i mafiosi, è l’esatto contrario dell’onore della cultura contadina, volendo così evidenziare che la vendetta non porta rispetto ma paura e, soprattutto, dimostrare che la mafia non ha valori positivi. Non trova lavoro, non fa favori, non accalappia i poveri senza una ragione precisa e questa ragione non è che strumentale: usare gli esseri umani per poi sbarazzarsene, non appena non servono o diventano pericolosi.

Non si diventa uomini grazie alla ’Ndrangheta. Sfigurati, smembrati, fatti saltare in aria: questo è il destino che può accomunare amici e nemici. Come scrive la già citata Viscone nell’ultimo racconto: «la mafia non protegge nessuno. Nemmeno chi ne fa parte può sentirsi al sicuro».

 

Clementina Gatto

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 7, marzo 2008)


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