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A. XVIII, n. 205, nov. 2024
L’ispirazione poetica
dischiude le ali
per spiccare il volo
verso la libertà
di Federica Lento
Da Aletti, quindici componimenti
colorano i cieli intensi dell’anima
in un emozionante gioco di contrasti
Nei momenti di maggiore sofferenza, solitudine, disillusione e stanchezza, l’essere umano è portato a ripiegarsi su se stesso, ad accovacciarsi e cercare conforto nelle sue membra soltanto. Lo si vede camminare ingobbito con lo sguardo rivolto verso la punta delle proprie scarpe, stanco, piegato dal peso della vita, senza guardarsi intorno, senza aprirsi all’altro da sé. Ma l’uomo, anche quando disilluso, riesce a mantenere accesa una piccola speranza e, per tornare a respirare, deve alzare lo sguardo verso l’alto, verso il cielo. «Con questa prima raccolta di poesie, vorrei tanto dare le ali al lettore» scrive Maria Cristina Folino in merito al suo libro Ali di gabbiano (Aletti, pp. 48, € 12,00), un’antologia di quindici componimenti che esprimono riflessione, speranza e libertà.
In volo tra morte e vita
Si alza lo sguardo verso l’alto, scorgendo un gabbiano che vola libero e diventa simbolo di un andare oltre. Attraverso le quindici poesie ci si muove tra ispirazione, dolore, delusione, voglia di fuga e di risalita e sogno, riflettendo durante il volo che «La vita e la morte / tu puoi chieder / cosa esse sono: / sono qualcosa che va / al di là dell’orizzonte / e rincorrendole, pur / fuggevoli sono; / credo che siano / l’alba e il tramonto di / un’essenza, incancellabile». E ancora: «La vita è come un dono / pregustato e appena assaporato, / ma che pur fuggevole / passa. La morte gode / di quel dono». In quell’abbraccio, ritorna il desiderio di andare oltre nascosto proprio nello scambio del dono perfetto dopo la fine dell’esistenza: il dono dell’immensità, dell’eternità.
Un viaggio fatto di speranza
Ali di gabbiano, il primo componimento che apre la raccolta e ne ispira il titolo, insieme a un altro brano, Libertà, illustra un confronto tra mattino e sera: le ali evocano un tramonto caldo e un mattino che è rinascita, ritorno al miracolo della vita che riprende il suo ritmo naturale. Alba, silenzio, serenità, la vita che si risveglia come per miracolo, e i gabbiani che sono epifania della voglia di libertà.
Lo sguardo si volge nuovamente verso il cielo ne Il dolore e La delusione, questa volta tra le lacrime, e un urlo soffocato dell’anima si sfoga in gocce che cadono come la pioggia. La consapevolezza del dolore nella vita matura nell’autrice, rendendola più consapevole di sé; in Voglio essere si esprime il contrasto, appunto, tra la volontà di essere «un mare in tempesta» e quella di vivere una libertà stabile, «che non varia». Essere, essere comunque, tra sentimenti pacificanti o cupi – che però non ci faranno mai schiantare al suolo, perché vince la necessità di reagire e di muoversi verso la vita – è quello che ci spinge a viaggiare sulle rotaie della nostra esistenza. Così accade che in Non lasciare che la tristezza, Quando te lo dice il destino e Le risposte che cerchiamo troviamo esortazioni ad andare avanti nonostante tutto: «fallo», «grida», «rincorri», «salta», «tuffati» sono i verbi che colorano le rime di Maria Cristina Folino e che ci invitano a cercare le risposte comunque, nonostante sembri di essere fermi inutilmente senza vederle, perché si nascondono dietro «un orizzonte nebuloso». E ancora, i «vai», «dai», «sai» di Vai e poi sono vere e proprie incitazioni ad andare oltre la stanchezza che la ricerca e il viaggio comportano. Non è un semplice reagire al buio, al dolore, quando un urlo proviene dalle ossa, «dai più reconditi luoghi del mio / corpo» e il cuore chiede aiuto; in Ho udito torna nuovamente il contrasto, quello tra il sentirsi persi e un’improvvisa speranza (tema che ricorre in tutti i componimenti). «Corre», «scorre», «volare», un «profumo si spande», «come un lungo viaggio»: in Fuggendo… la libertà torna l’esortazione al movimento, al volo, alla corsa, benché esistano gli opposti nella vita, benché esistano “ghiaccio/fuoco” e “onda/sabbia” che potrebbero ostacolarne il naturale percorso. La stessa idea di movimento compare in La vita e la morte, dove «qualcosa che va», «rincorrendole», «fuggevole», «inafferrabile», vola via come un falcone che non si pone domande, ma semplicemente vive. L’autrice sembra volerci comunicare in che modo tra questi contrasti si muova la vita. E cosa meglio di un nascituro per simboleggiarla? In Canto di un bambino quasi nato vediamo un bimbo che osserva paziente queste contrapposizioni (dall’alba al tramonto, dal bene al male, tutto ciò che racchiude insomma la vita) nella natura. Questa volta però l’osservare è ad occhi chiusi, si tratta di una visione interiore – «Improvvisamente / apro gli occhi: / mi affaccio alla vita…» – esattamente come quella di un bambino che per la prima volta vede il mondo, in precedenza soltanto percepito. Dalla realtà ammirata con stupore per la prima volta, l’autrice in Sogno vuole poi «immaginare / un mondo migliore e diverso…». Lo sguardo si rivolge nuovamente al cielo, ne La poesia cancellata: alle stelle, alle aquile, ad un bambino che cade, ad un pugno che sbatte contro un muro, ma al quale bisogna «Non badarci neppure».
Aquile, falconi, gabbiani in volo sono i simboli della libertà, in un cielo onnipresente che in questa raccolta esprime un’immensa voglia di viaggio e ricerca, muovendosi tra interno ed esterno.
Federica Lento
(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 80, aprile 2014)
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi