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Direttore editoriale: Graziana Pecora
Anno VIII, n 80, aprile 2014
Se il distintivo
si macchia
di corruzione
di Melania Trimarchi
Un uomo di legge convertito
alle logiche della malavita.
Un romanzo da Cicorivolta
Cosa succede quando la finzione letteraria si sovrappone alla realtà?
Nel romanzo di Celeste Bruno, scrittore e commissario di Polizia, si legge di avvenimenti reali tratti per lo più dai racconti di un collaboratore di giustizia «che hanno necessitato dei dovuti riscontri», come spiega l’autore stesso nelle Precisazioni. Contrariamente alla natura del genere stesso, dunque, quello di Bruno «è un romanzo-verità», come ha affermato il curatore Giuseppe Iannozzi in un’intervista all’autore (Milano 17 febbraio 2013, consultabile sul sito della casa editrice), nella quale si sottolinea che nel testo «c’è poco o nulla che si possa definire finzione letteraria». Celeste Bruno, ha dichiarato che nel suo libro racconta una verità che, «anche se scomoda, deve essere accettata, da tutti. Il primo ad accettarla è stato proprio il protagonista, Giorgio».
Ti Sparo. La vita violenta di un ex poliziotto da uomo di legge a boss della malavita (Cicorivolta edizioni, pp 156, € 12,00) è la storia vera di un uomo, al quale l’autore è stato legato da rapporti professionali, che sognava di diventare poliziotto e «conquistare il mondo forte di un distintivo e di una pistola in mano», ma che, una volta entrato in Polizia, si ritrova catapultato nella realtà milanese degli anni Settanta e Ottanta dove le duecentoventimila lire di stipendio sembrano non bastare e dove dilaga la corruzione. Giorgio compie così un “salto”: passa alla malavita milanese, entra in contatto con esponenti della ’ndrangheta, della camorra, delle mafie siciliane e della sacra corona unita, diventa boss e assassino, organizza bische clandestine e traffici illegali di armi e droga.
La scrittura: efficace e diretta
L’opera è strutturata in brevi capitoli e divisa in due parti collegate dal filo rosso della trama. La prima racconta la storia personale di Giorgio, la sua vita da poliziotto e, dopo l’arresto, quella da malavitoso. La seconda, invece, è quella più cruda dedicata al Primo omicidio e i successivi, (questo il titolo del primo capitolo, i seguenti riportano i nomi delle vittime).
È certamente un romanzo vibrante, ricco di immagini e descrizioni realistiche, e lo conferma il protagonista quando sostiene che sparare in un film è diverso che farlo nella realtà – dove «i rumori degli spari assordano le orecchie, terrore e adrenalina offuscano la mente, il cuore pompa forte e lo senti pulsare fin nella gola» – quasi a voler far provare a chi legge le sensazioni fisiche di quel momento: i dolori, gli odori, la paura.
Pagine cariche di tensione, scandite da una scrittura incalzante che rapisce il lettore, trasportandolo nel racconto e immergendolo nella realtà del protagonista: «lo vidi accasciarsi ma sparai ancora, ancora, il grido in gola pareva soffocarmi, le braccia che si tendevano, la bava che mi usciva dalla bocca. Mi fermai solo quando non udii più la musica assordante dei proiettili, avvertendo l’odore acre della polvere da sparo».
Un romanzo in prima persona
Celeste Bruno scrive il suo romanzo in prima persona, perché vuole concentrare l’attenzione sulla figura di Giorgio e sulla sua storia in modo non impersonale; è il protagonista, dunque, che espone le sue vicende, che racconta passo passo in che modo, e con quali speranze abbia abbandonato la Puglia, sua terra natia, per rincorrere il sogno di diventare poliziotto, ammaliato da quel manifesto della polizia che diceva: «vieni in polizia, avrai un lavoro ed un futuro e… 220.000 lire al mese».
Arrivato a Milano, da poliziotto, inizia a far rispettare le leggi – le stesse che poi infrangerà sporcandosi «le mani di sangue» –, è ligio al dovere, non perdona infrazioni e questo gli permette di avere contatti e soffiate dai piccoli malavitosi della città: con loro «cercavo d’instaurare un dialogo, in particolare con quelli che credevano d’essere i personaggi (protagonisti) della zona, ma non scontavo nulla se non mi davano nulla, per cui mi tenevano buono facendomi delle confidenze, prima di scarso conto, poi sempre più precise».
Nel suo essere rispettoso del dovere e della divisa che indossa, Giorgio però non ha tenuto conto di quei colleghi corrotti che gli chiedevano di “fare il bravo” perché in qualche modo si doveva anche mangiare, sapeva di queste cose ma credeva fossero leggende.
Intanto, una riforma (Legge 121 del 1º aprile 1981) "smilitarizza" la Polizia creando un certo malcontento nel corpo, ciò lo porta a lavorare “fuori servizio” e, approfittando della conoscenza di un calabrese e degli affiliati della sua famiglia, facendo loro dei favori, inizia ad ottenere denaro e potere: «ormai avevo fatto “il salto”, senza neppure rendermene conto. Ero entrato nelle dinamiche criminali e nel gioco del dare e avere. In poche parole: mi ero smarrito».
L’autore, nell’intervista sottopostagli da Iannozzi, ha motivato la scelta di Giorgio, sostenendo che il passaggio alla malavita milanese sia stato «una sorta di rivalsa (ovviamente malata) nei confronti di uno Stato che ci lasciava con le pezze al culo, mentre tutti, intorno, si arricchivano grazie al malaffare che prosperava. I nostri stipendi erano veramente miseri e ci salvava solo il forte senso dello Stato e di onestà che ci aveva condotto a indossare la divisa per servire quelli come Noi, non certo i corrotti e gli intrallazzatori».
Dopo il primo arresto e il soggiorno obbligato in Puglia, Giorgio rientra a Milano e decide di inserirsi insieme ai calabresi nel traffico di stupefacenti; da qui inizia la sua carriera di malavitoso, e la sua bramosia di potere lo porta ad una veloce scalata verso i vertici delle organizzazioni criminali. Da spacciatore di droga a trafficante di armi, diventa estorsore e sequestratore, esecutore e mandante di omicidi spietati, arriva anche a gestire i rapporti tra i diversi clan, decidendo con chi stringere alleanze e chi annientare. Guardandosi le spalle da amici e nemici, giunge al giorno dell’arresto e della collaborazione con la giustizia, fino al successivo pentimento maturato anche per sua figlia, così da riuscire a incontrarla, e fare finalmente ciò che si promette: «Abbasserò il mio sguardo davanti al suo e sarà come chiederle perdono».
Melania Trimarchi
(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 80, aprile 2014)
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