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Home Page (a cura di Ilenia Marrapodi) . Anno VIII, n 80, aprile 2014

Zoom immagine Massimo D’Alema ridisegna
l’Europa in chiave di solidarietà

di Guglielmo Colombero
Da Rubbettino, una riflessione politica su un tema d’attualità.
Proposte e rimedi per rilanciare un’Unione stretta nella crisi


«Se ora vogliamo rilanciare il progetto europeo, occorre saper tenere insieme un nuovo disegno democratico dell’integrazione con i contenuti di una svolta sul piano delle politiche economiche e sociali. E rimettere al centro il valore fondante della solidarietà, che è apparso in questi anni oscurato e poi quasi cancellato dal ritorno degli egoismi nazionali, come dimostra ciò che è avvenuto in Grecia. A questo proposito, il filosofo tedesco Jürgen Habermas, parlando del comportamento del governo del proprio Paese nei confronti della crisi greca, ha scritto di sciocca arroganza contro i cittadini e timida risposta al ricatto dei mercati finanziari». 

È in questi termini che Massimo D’Alema inaugura la sua indagine politica, economica e sociale nel saggio Non solo euro. Democrazia, lavoro, uguaglianza. Una nuova frontiera per l’Europa (Rubbettino, pp. 136, € 12,00). L’autore, ovviamente, non ha bisogno di presentazioni: è stato protagonista attivo della vita politica italiana degli ultimi venticinque anni, soprattutto come uno degli artefici della mutazione genetica che ha trasformato il Pci nell’attuale Pd. Presidente del consiglio dal 1998 al 2000 e poi ministro degli Esteri nel governo Prodi dal 2006 al 2008, da sempre convinto europeista, come in passato Alcide De Gasperi ed Enrico Berlinguer, e non a caso dal 2010 presidente della Fondazione per gli studi progressisti europei (Feps). Recentemente intervistato nel corso della trasmissione televisiva Unomattina, su Raiuno, D’Alema ha definito il suo scritto «un libro d’amore verso l’Europa», da lui considerata culla della democrazia e custode di una vocazione per i principi di solidarietà transnazionale, con il fine ultimo di una sempre maggiore diffusione del benessere al di là delle barriere etniche e culturali.

 

Verso il superamento delle vecchie frontiere

«L’Europa di oggi e quella di domani saranno giudicate soprattutto sulla base della capacità di rispondere alle grandi sfide globali, rispetto alle quali nessun Paese europeo è in grado di misurarsi da solo. Questa consapevolezza deve essere alla base di un impegno comune per uscire dalla crisi. La nuova frontiera dei cittadini dell’Unione europea è una integrazione politica che garantisca pace e sviluppo, salvaguardi l’ambiente, combatta la povertà e le diseguaglianze. Per rendere credibile questa prospettiva, c’è bisogno di un’Europa forte, che rigetti gli egoismi nazionalistici». Affiora una nostalgia quasi kennediana (il tema della “nuova frontiera”) in queste nitide affermazioni di principio sulle quali s’incardina la riflessione di D’Alema sull’Europa del terzo millennio. Il concetto di “sfida globale” è il perno su cui tracciare la mappa delle criticità e disegnare gli strumenti idonei ad eliminarle. Sfidare significa fondamentalmente affrontare i problemi guardando in faccia la realtà, e non eluderli con espedienti contabili di corto respiro: nella visione di D’Alema, la lotta alla povertà s’intreccia con il superamento degli egoismi nazionali in nome del superiore interesse collettivo dell’Europa, intesa come comunità non solo di stati ma soprattutto di popoli.

Osserva Franco Venturini sul Corriere della sera dello scorso 26 febbraio: «Le argomentazioni di Massimo D’Alema sono in buona parte convincenti, e del resto hanno trovato, almeno parzialmente, echi autorevoli nel discorso che Giorgio Napolitano ha pronunciato al Parlamento europeo il 4 febbraio scorso. Rimane però un pragmatico dubbio. L’Autore indica con chiarezza nelle forze della sinistra democratica europea il veicolo del cambiamento auspicato. Ebbene, i socialdemocratici tedeschi hanno sempre sostenuto la linea Merkel e nelle trattative per il nuovo governo tedesco non pare abbiano sollevato eccezioni sulla visione della Cancelliera o su quella del suo ministro delle Finanze. I socialisti francesi, nella persona del presidente Hollande, cercano oggi un miglior rapporto con Berlino e annunciano modifiche di indirizzo che si avvicinano alla ricetta tedesca. Forse la svolta che D’Alema propone è già superata nei fatti, o è destinata a rivelarsi inattuabile?».

 

Una politica debole sgretola la coesione europea

«Nel nostro continente, l’esperienza democratica degli Stati nazionali ha toccato il suo punto più alto, producendo una sintesi felice tra le libertà individuali e i diritti sociali, tra la partecipazione democratica e la solidarietà. Questa parte del mondo ha goduto del beneficio di una lunga stagione di democrazia e di benessere, e anche per questo avverte in modo più acuto il senso di una crisi profonda, dalle prospettive difficili.

Sembra essere caduta la forza della politica, la sua capacità di incidere sui processi reali, di garantire diritti e opportunità, di promuovere percorsi di emancipazione personale e collettiva. È un risultato, a mio avviso, da ascrivere alla crisi del potere degli Stati nazionali europei nel mondo globalizzato ed è mia convinzione che l’integrazione politica dell’Europa sia la risposta più ambiziosa che a tale crisi noi possiamo dare. Dunque, si tratta di costruire un’Europa federale che sia una grande potenza politica, anche perché credo che la ragione di fondo delle difficoltà di oggi non vada ricercata tanto sul terreno economico, quanto proprio su quello della debolezza politica». Nel passaggio appena citato, suscita notevole interesse, e anche qualche inquietudine, l’intuibile parallelismo fra l’Europa odierna e quella di un secolo fa, quasi inconsapevolmente sulla soglia della Prima guerra mondiale dopo nemmeno mezzo secolo di pace e di progresso economico, scientifico, sociale e culturale: la leggendaria quanto illusoria Belle époque.

D’Alema sottolinea il pericoloso disagio inoculato nella psicologia di massa dalla brutale interruzione di un percorso di emancipazione che pareva inarrestabile, e gli inevitabili scompensi che ne derivano. Il vuoto lasciato dalla debolezza politica dell’Unione europea, percepita da gran parte dell’opinione pubblica come incapace di fornire risposte a domande ansiose e sempre più assillanti (di lavoro, di qualità della vita, di speranza nel futuro) rischia di essere riempito da «forze animate da un duro populismo antieuropeista».

 

Il rischio di una deriva populista e reazionaria

«Tecnocrazia e populismo sono diventati le due facce della crisi democratica dell’Europa: è il tema della democrazia che si presenta in tutta la sua forza dirompente. Esso mette a nudo l’esistenza di quel deficit democratico che è la caratteristica e la contraddizione più profonda del capitalismo globale. La democrazia si indebolisce anche perché il potere reale si sposta verso i centri della finanza internazionale. Questo finisce per svuotare di poteri e di ruolo gli Stati nazionali e la politica torna a essere dominata dall’ideologia, proprio perché spesso vuota di contenuti reali e di poteri effettivamente esercitabili. Spettava e spetta all’Europa colmare questo deficit democratico, sviluppando un potere sovranazionale in grado di ristabilire un primato della politica sull’economia. Invece l’Europa conservatrice e neoliberista si è ridotta ad amministrazione, burocrazia, tecnocrazia, incapace di proporre scelte reali e alternative possibili intorno alle quali mobilitare l’opinione pubblica. Così, i cittadini avvertono un senso di impotenza nei confronti di istituzioni e decisioni pur rilevanti per la loro vita, sulle quali, tuttavia, non sono in grado di esercitare né influenza né controllo. Allora come meravigliarsi che prenda campo la rivolta populista?». Lo scollamento fra le esigenze concrete della gente e le decisioni spesso cruente adottate in sedi istituzionali asettiche e distanti è considerato da D’Alema un pauroso crepaccio geopolitico, un vero e proprio focolaio di fattori destabilizzanti per l’Europa: la sua analisi lucida e impietosa mette in rilievo quanto possa rivelarsi nefasto un simile accanimento di stampo monetaristico contro i membri più economicamente e socialmente vulnerabili dell’Unione.

Un esempio valga per tutti: la terapia draconiana, e sotto certi aspetti disumana, imposta dalle autorità monetarie internazionali alla Grecia, ha rischiato di ammazzare il malato, mentre invece avrebbe dovuto aiutarlo a guarire.

 

L’ombra opprimente della tecnocrazia finanziaria

«Soprattutto negli ultimi anni, il linguaggio europeo ha avuto una impronta punitiva e vessatoria, e sempre più flebile si è fatto il riferimento ai concetti di solidarietà, di cooperazione, di aiuto reciproco. La tecnocrazia ha spazzato via una politica debole e rinunciataria, dettando indirizzi e comportamenti imposti dalla razionalità economica dominante. È giunto il momento in cui la politica riconquisti il proprio spazio».

E prosegue D’Alema: «Sono convinto che quest’Europa non ripiegata su se stessa, non prigioniera di una dimensione esclusivamente monetaria ed economicistica, non incatenata dai vincoli che essa stessa ha posto alle proprie straordinarie potenzialità, questa Europa orgogliosa e consapevole della forza della propria civiltà, possa appassionare e mettere in campo una nuova generazione».

Osserva Carlo Fusi ne Il Messaggero del 26 febbraio scorso come per D’Alema sia «fondamentale immettere aria nuova nei polmoni europei rattrappiti dagli egoismi nazionali: l’aria della democrazia, della partecipazione popolare alla definizione delle griglie di potere dell’Eurotower, dello sbriciolamento della tenaglia austerità-tagli che porta recessione e impoverimento. E devono essere − questo il messaggio politico di D’Alema − i socialisti a farlo». Di questo tenore, ampiamente condivisibile al di là delle ideologie, è infatti l’enunciazione di principio che l’autore colloca quasi in chiusura, un vero e proprio appello alla speranza, proteso a delineare i contorni di una nuova Europa rigenerata e anche disintossicata dall’ossessione di far quadrare i bilanci dissanguando le popolazioni: «Noi progressisti siamo impegnati, anche in vista delle elezioni europee del 2014, a promuovere una ripresa economica dell’Europa, la costruzione di un’Unione più vicina ai cittadini, la messa in campo di politiche volte alla crescita e all’occupazione, invece che all’austerità. Ma, soprattutto, vogliamo un’Europa che agisca come un attore globale. Non un’Europa rinchiusa in se stessa, come purtroppo abbiamo visto, a volte, negli ultimi anni».

Un libro, quello di D’Alema, che – sin dalle sue prime settimane d’uscita – sta già lasciando il segno; presentato dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, lo scorso 18 marzo presso il Tempio di Adriano di Roma, notizia questa posta in apertura al Tg1, ha avuto una forte eco sui mass media (oltre alle testate già citate – e a tante altre ancora, italiane ed estere – evidenziamo come sia stato presentato dalle più prestigiose trasmissioni “d’opinione” italiane, ad iniziare da Otto e mezzo di Lilli Gruber).

Un valore aggiuntivo è anche fornito dal supporto che il libro sta avendo dall’editore Rubbettino che, come è noto, è uno dei maggiori e più qualificati editori italiani di saggistica storica e politica.

Un editore che, veramente liberale e scevro da pregiudizi ideologici, negli anni passati ha pubblicato analoghi libri a firma di Dario Antiseri, Gerardo Bianco, Rocco Buttiglione, Giovanni Cossiga, Lamberto Dini, Gianfranco Fini, Giuseppe Galasso, Sergio Garavini, Alfredo Mantovano, Gaetano Quagliariello, Valdo Spini (e diversi altri ancora).

 

Guglielmo Colombero

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 80, aprile 2014)

Collaboratori di redazione:
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