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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
La Russia di Stalin e Putin
in una cronaca avvincente
di Francesca Ielpo
Per Infinito edizioni, un romanzo-inchiesta
intriso di sentimento e di desiderio di verità
Iosif Stalin fu a capo dell’Urss dal 1924 al 1953; Vladimir Putin, succeduto a Dmitrij Medvedev, è oggi presidente della Federazione Russa. Cosa è cambiato? Con il primo si è assistito a un’industrializzazione forzata e a una dura repressione politica; il secondo viene accusato di violare numerosi diritti umani, soprattutto in Cecenia, nonché di limitare la libertà d’espressione. Questo e altro viene raccontato nel romanzo Sopravvivere nella Russia di Stalin e Putin (Infinito edizioni, pp. 96, € 8,49) di Massimo Ceresa, docente di Procedura penale presso l’Università “Bocconi” di Milano.
Si tratta di una testimonianza familiare, personale, in cui i personaggi coinvolti si trovano protagonisti di una sfera politica a dir poco violenta e minacciosa.
Tra potere e quotidianità
Nella Prefazione, Elena Dundovich, docente di Scienze politiche presso l’Università di Pisa, motiva l’aggressiva politica di Stalin con l’affermazione della dottrina Truman e del piano Marshall negli anni postbellici: di conseguenza, l’Urss per essere in grado di gareggiare con tali potenze comincia a diffondere una politica imperialistica nella parte orientale del continente, lanciando nello stesso tempo una campagna antioccidentale.
Massimo Bonfatti, nell’Introduzione, invece, si sofferma sulla narrazione di Massimo Ceresa: «Nel libro, l’attenzione e la naturalezza della descrizione dei dettagli non sono casuali, ma rappresentano il contrasto evidente fra lo scorrere della quotidianità e il potere che, per ingordigia, vuole fagocitarla a fini propri. La vita comune, il suo evolversi, le pacate riflessioni al suo interno sono l’alternativa alle descrizioni dell’arroganza di un potere che, oltre che brutale, è stupido».
Da cosa prende spunto questa storia? L’autore ben lo precisa prima di dare avvio al racconto. Alla fine del 2007, sulla Novaja Gazeta, appare un articolo dal titolo You won’t write anymore… che narra una vicenda di ordinaria sopraffazione avvenuta nel settembre di quello stesso anno: tre uomini fanno irruzione nella casa della regista Natalia Petrova, picchiando lei e le sue bambine, perché, attraverso i propri film, ha parlato troppo e troppo ha criticato Putin. Con lo stesso tono di denuncia di quelle pellicole, il libro ripercorre gli ultimi cinquant’anni dei suoi protagonisti, da Stalin a Putin.
Vasilij Arkadic è un funzionario del Ministero degli Affari Interni, restio a parlare del proprio lavoro. Anna Aksenova, sua moglie, è una donna pacata e premurosa. La loro dolce figlia Sonja diventa una giornalista accanita e giustiziera, ed è legata a un uomo, Kostantin, più che presente nella narrazione, così come Andrej Vital’evič, maestro di musica, arrestato per propaganda antirivoluzionaria e per essere adepto di un’organizzazione spionistica e terroristica, condannato, perciò, per venticinque anni ai lavori forzati. Una domanda che la polizia di stato gli pone è: «Il realismo socialista, Andrej Vital’evič, il realismo socialista dov’è nelle vostre composizioni? Il realismo socialista esige dall’artista una descrizione veritiera, storicamente concreta della realtà nel suo sviluppo rivoluzionario. Nel contempo, la veridicità e la concretezza storica della descrizione artistica, della realtà, devono coesistere con lo scopo del cambiamento ideologico e dell’educazione dei lavoratori nello spirito del socialismo». Questo dimostra quanto siano limitate l’espressione artistica e la libertà di parola.
Attraverso Vasilij, Anna, Sonja, i suoi figli, Andrej, sua moglie Irina e i personaggi a loro vicini (come la domestica) si ripercorre la realtà di un paese straziato che a stento cammina verso la civiltà. Il tutto è concentrato sull’opposizione di due ruoli diversi: del giudicante (Vasilij) e del giudicato (Andrej), le cui vite s’intrecciano, trovandosi nemici in un contesto in cui il potere è più grande di loro: «Ma voi non vi accontentaste. No, e pensaste di fare di me una vile ombra simile a voi. Aveste fiducia in me, o forse dovrei dire, nei vostri mezzi, e mi proponeste di farvi da chioccia, di tradire i miei compagni di cella. “Confessa tutto! Altrimenti una pallottola dietro la nuca non te la leva nessuno!”, con queste parole, oramai, avrei dovuto dare coraggio ai miei compagni. “Confessa e ti rilasceranno”, e gli infelici confessavano davvero, finendo diritti in qualche gulag del Paese. E così divenni un clown. Questo fu l’epiteto che voi, Vasilij Arkadic, mi assegnaste. Un clown, ovvero un subdolo traditore che, d’ora in poi, avrebbe dovuto spaventare i propri compagni di cella e consigliarli di scendere a patti con gli inquirenti, in cambio di una moglie libera e di un po’ di tabacco per i miei coinquilini: piccoli doni per alleggerirmi la coscienza».
Degna di nota è la Postfazione di Anna Zafesova, giornalista russa che dal 1992 scrive per La Stampa, in cui viene raccontato l’arresto, da parte della polizia russa nella notte del 5 dicembre 2011, di Bozhena Rynska, la più famosa cronista mondana, colpevole di aver denunciato le illegalità del potere sovrano. Attraverso quest’episodio, in tanti si sono scoperti oppositori: l’elité russa, lontana dall’impegno politico, finalmente mostra la sua rabbia contro il regime. Una lotta, questa, che coinvolge più generazioni: «Un ritorno della memoria da incubo, al quale però è corrisposto un uscire allo scoperto di paure rimosse, ricordi brucianti, la ricostituzione d’una continuità che appariva interrotta. In tanti si sono ricordati dei loro nonni fucilati durante le purghe staliniane, delle nonne che raccontavano storie di confino e terrore, dei padri che rischiavano la libertà leggendo Solzhenitsyn in samizdat, dei fratelli maggiori che andavano alle prime manifestazioni della perestroika. I giovani russi, cresciuti (quasi) senza più il comunismo, si sono ritrovati ad affrontare gli stessi dilemmi: la paura, la scelta di schierarsi o nascondersi, la tentazione del compromesso, il timore di mettere a rischio i propri cari». Libertà di pensiero e di azione vengono annullate e sostituite dalla violenza e dalla repressione di un sistema politico così potente che è impossibile sopprimerlo, per quanto sia contestato. Questa la tesi di Anna Zafesova, questo ciò che viene dimostrato dall’autrice del libro.
Tra letteratura e giornalismo
L’opera, suddivisa in tredici capitoli, è intrisa di storia e profezia. Fatti realmente accaduti si mescolano al sogno e a percezioni emotive così sottili da essere sentite in ogni sfumatura, attraverso un linguaggio tipico della letteratura e del reportage. Qui sta la bravura dell’autore, che riesce a fare di una realtà tragica un romanzo che coinvolge al di là dell’oggettività degli eventi. Soggettività e verità storiche riportano un’idea della realtà alquanto interessante e coinvolgente. Si potrebbe parlare di un’opera di finzione a sfondo storico in cui si mescolano con qualificatissima capacità, nel modo giusto, la fantasia e un'autentica coscienza di cronaca.
Francesca Ielpo
(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 79, marzo 2014)