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A. XVIII, n. 206, dic. 2024
L’amore madre-figlia si esprime
in ritratti intensi ed emozionanti
di Adelina Guerrera
Generazioni a confronto secondo il fotografo Gabriele Morrione:
scatti e sorrisi spontanei di madri e figlie, in un libro edito da Infinito
Il rapporto che si instaura tra una madre e un figlio è qualcosa di unico e singolare, che non si spezza mai e che tiene unito quel cordone ombelicale per tutta la vita. Una madre riesce a leggere anche i silenzi di un figlio, a percepire i suoi gemiti, a scrutare il suo cuore. Un figlio è il frutto di un amore, a volte voluto e desiderato, altre ancora sofferto e inaspettato; ma per entrambi vale una regola comune: né una madre sceglie un figlio, né un figlio sceglie una madre, è un dono reciproco.
Un testo che merita attenzione, in tal senso, è Madri & figlie (Infinito, pp. 128, € 25,00) di Gabriele Morrione, architetto e fotografo per passione che, con questo nuovo progetto, racconta storie di donne, di madri, di figlie, immortalate e catturate nel tempo attraverso la fotografia, capace di evocare e trasmettere vere e pure suggestioni.
A riguardo, è doveroso sottolineare che la realizzazione del progetto e della relativa mostra è a cura della galleria “Fondaco arte e architettura” di Francesca R. Marino e Flora Ricordy.
Oltre alle qui citate, hanno contribuito, offrendo un valido apporto introduttivo al testo, vari studiosi tra cui si ricordano Mara Abbruzzese, Franca Avvisati, Daniela Bartolini, Patrizia Cupelloni, Pia De Silvestris, Francesco Scotti (di alcuni tra questi si farà menzione più avanti). Completano il testo, ovviamente, le testimonianze scritte di molte madri e figlie fotografate.
Ottanta madri e novanta figlie… per non dimenticare
Una ricerca, dunque, originale che coinvolge tre generazioni diverse e che vede accanto ad ogni madre tutte le figlie. Atti e gesti d’amore, dunque, animano e fanno da cornice, rivelando un profondo e inspiegabile rapporto che si svela e si lascia andare davanti ad un obiettivo fotografico, divenendo «una sorta di testimonianza psicologica della nostra società».
Tenerezza, entusiasmo e capacità di darsi l’una all’altra sono, dunque, le tre parole chiavi che traspaiono in sordina, permettendo l’emergere di quella spontaneità e freschezza di cui le protagoniste sono portatrici. Un mosaico di scatti, di attimi fuggenti, di sorrisi rubati, di visi talvolta imbarazzati e sospesi, talaltra fieri e sicuri, ma accomunati da un unico e solo filo conduttore: l’amore.
Dare un’anima e una voce ai volti
Nello sfogliare le pagine di questo testo, balzano agli occhi dei lettori attenti e curiosi quelle parole e quelle immagini appassionanti, cariche di emozioni e di evocazioni, di cui il fotografo e i suoi soggetti sono portatori. Non si tratta, infatti, di una mera mostra fotografica, di un elenco di volti senza nome e identità; al contrario, ogni ritratto parla del proprio vissuto, raccontando la propria testimonianza. Ciò permette al lettore di entrare in empatia con questo lavoro, percependone una grande forza emotiva. È in quest’ottica che la fotografia, strumento prediletto da parte dell’autore, diviene il modo per conservare la memoria e restituirci quegli attimi di vita preziosi che diversamente potrebbero andare perduti.
Grazie al contributo apportato da Francesca R. Marino e Flora Ricordy, emerge chiaramente che uno tra gli obiettivi che animano la stesura del testo e la conseguente realizzazione del progetto consiste nel «colmare una sorta di disagio, un senso di colpa per l’essere nato quarto maschio dopo i tre fratelli». In merito a questo, si nota la propensione dell’autore nel parlare e descrivere l’universo femminile, dipingendo e catturando lo sguardo e i movimenti che connotano la sua natura.
Nello scorrere delle immagini, «è lampante la ricerca, più o meno consapevole, di un contatto; che sia fisico o spirituale, poco importa. C’è la mano che si aggrappa a un dito, quella che stringe un braccio e quella che sorregge una spalla (o la spinge?)».
Questo è quanto emerge dalle parole di Mara Abbruzzese che, puntando la sua attenzione sul sorriso, sullo sguardo e sull’abbraccio, offre una straordinaria chiave di lettura: madre e figlia possiedono un indissolubile legame, sapendo entrambe «di appartenere a una ninfea, leggera e delicata, su cui una libellula non pesa». E come un ciclo in continuo scorrimento che non si chiude mai, si passa dalla donna madre alla figlia madre, in un percorso circolare e senza sosta, mostrando, come sostiene Patrizia Cupelloni, «un’alleanza senza ambiguità» e, ribadendo, che l’essere madre rappresenta dunque «il topos fondamentale della vita di ogni donna» in cui il processo di identificazione dell’una nell’altra diviene «un lavoro di reciproco concepimento».
Animato da questo spirito l’artista riesce a realizzare, come sostenuto da Pia De Silvestri, «ciò che la propria anima sente del mondo e degli altri, attraverso le sue profonde vibrazioni […], esercitando la sua anima come figlia e come madre».
Pertanto, chiunque nell’osservare queste immagini viene colto da un brivido e, allo stesso tempo, viene colpito da quelle foto in bianco e nero che rappresentano, pur senza parole, una presa di coscienza da parte di chi osserva in grado di instaurare incontro e dialogo.
Dunque, generazioni a confronto e vite parallele per conoscere e imparare a conoscerci!
Adelina Guerrera
(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 79, marzo 2014)