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Anno VIII, n 77, gennaio 2014
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Filosofia e religioni (a cura di Denise Amato) . Anno VIII, n 77, gennaio 2014

Zoom immagine Il futuro della chiesa:
se le donne disertano
la parrocchia

di Melania Trimarchi
Da Rubbettino, un prete indaga i motivi
di una nuova laicità al femminile


Che fine hanno fatto le quarantenni?

Questa domanda rappresenta il fulcro dell’attenta valutazione di un sacerdote che cerca di afferrare le cause per cui, col passare degli anni, il numero di donne (soprattutto le quarantenni) che partecipa attivamente alla vita religiosa sia andato drasticamente calando, motivo per il quale si è proposta nel tempo un’immagine della chiesa «sempre più eccessivamente mascolinizzata».

Armando Matteo è un sacerdote calabrese, insegnante di Teologia presso la Pontificia università urbaniana di Roma. Ha analizzato in precedenza alcuni aspetti dell’età contemporanea, ad esempio il rapporto dei giovani con la religione nel volume La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra giovani e fede (Rubbettino, 2010); nel suo ultimo lavoro, La fuga delle quarantenni. Il difficile rapporto delle donne con la chiesa, (Rubbettino, pp. 112, € 10,00), il sacerdote non mette al centro il tema dei ragazzi, come nel precedente saggio, bensì si sofferma, come emerge chiaramente anche dal sottotitolo, sull’immagine sia delle quarantenni che delle giovani donne, quasi a voler rimproverare alla chiesa il suo rapporto con “l’altra metà del cielo”: se questa continuerà a mancare, nei prossimi anni la fede cattolica e la sua istituzione correranno il rischio di estinguersi.

 

Le grandi assenti e le grandi conseguenze

Lo studio di Matteo nasce dalla costatazione che, nonostante un diffuso e generalizzato distacco dalle pratiche religiose, ad allontanarsi dalle fila della chiesa sono principalmente le donne dai diciotto a quarantaquattro anni.

In generale, negli ultimi decenni si è ridotto il numero di persone disposte a definirsi cattoliche e credenti, sono nettamente diminuiti sia i matrimoni cattolici che i battesimi a favore delle unioni civili, delle convivenze e delle nascite fuori dal matrimonio, e a causa del ridotto numero di vocazioni l’età media dei sacerdoti e delle suore risulta essersi alzata rispetto al passato; si può dunque affermare che anche la comunità sacerdotale, oltre che la società civile, soffra di uno scarso “ricambio generazionale”, e per rimarcare tale concetto l’autore si serve delle indagini di Franco Garelli, professore dell’Università degli studi di Torino, secondo il quale «aumentando l’età dei soggetti diminuisce la distanza dalle posizioni ufficiali della Chiesa, diminuendo l’età dei soggetti aumenta la distanza da quelle posizioni» [1].

Appellandosi ad encicliche (papa Giovanni XXIII, Pacem in terris, 11 aprile 1963), ad omelie, tra cui quella di papa Benedetto XVI tenuta a Terriero do Paço de Lisboa l’11 maggio 2010, e ad altri studi sull’argomento, Matteo vuole trasmettere nel suo saggio un messaggio non rivolto «alle donne o a qualcosa del genere […] – come sostiene nell’Avvertenza – il presente è un testo scritto per amore della Chiesa, a questa Chiesa e a tutti coloro che la amano», e vuole pertanto offrire lo spunto per una riflessione a tutti gli uomini e le donne bonae voluntatis, a tutti coloro, cioè, che temono sia messa a rischio la sopravvivenza stessa della fede.

 

Anche la chiesa è maschilista?

All’interno dell’istituzione ecclesiastica, le donne hanno sempre rivestito un ruolo importante ma di secondo piano: le abbiamo viste impegnate come catechiste, suore, perpetue e coriste. Sta di fatto però che i ruoli di “potere” sono sempre stati maschili, ed è proprio questo che rende la chiesa un’istituzione maschilista nel paese più maschilista d’Europa.

Il rapporto delle donne con la chiesa, che in parte corrisponde anche al motivo per cui le quarantenni non vanno più a messa, è da attribuire, secondo Matteo, ad una «infelice commistione tra un pensiero maschilista da sempre dominante nella cultura occidentale e una presentazione del culto e della devozione rivolte a Maria, che porta per diritto a un’invenzione della donna». L’autore confronta la figura della Beata Vergine con il pensiero di Michela Murgia, contenuto in Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna (Einaudi, 2011), la quale intende dimostrare come l’immagine di Maria di Nazareth inventi un prototipo di donna che trae la sua essenza dal porsi totalmente e sommessamente “al servizio di”, senza alcuna consistenza in sé, che deve la sua immensa bellezza al suo astenersi dal peccato e alla sua devozione nei confronti del figlio, sino ad arrivare alla rassegnazione e alla sottomissione; per dirla con le parole dell’autrice sarda: «Se la Chiesa non si è inventata la subordinazione tra i sessi, ha scelto di legittimarla spiritualmente».

 

La donna con gli stivali

L’autore del saggio descrive il trascorso Novecento come il «secolo delle donne»: in cui queste ultime compiono un cammino faticoso da cui «viene fuori una donna nuova, più forte, più libera» e ancora «finalmente liberata dai soliti cliché del “gentil sesso” o del “sesso debole”»: adesso la donna indossa gli stivali (che nel secolo scorso facevano parte solo dell’abbigliamento maschile), a rappresentare un’autoconsapevolezza conquistata dal movimento femminista che spiana la strada alle ragazze, figlie di quella generazione rivoluzionaria. Oggi purtroppo sembra che in Italia la rivoluzione delle donne abbia subìto una battuta d’arresto, sia dal punto di vista politico che nella mentalità delle persone: basta guardare la tv, in cui le donne sono tornate ad essere oggetti, corpi, giocattoli, uniformate a colpi di bisturi ai canoni di bellezza maschile (ovviamente!) e disposte a tutto per ottenere il loro “posto al sole”, alla disperata ricerca della bellezza in un paese in cui è vietato invecchiare.

Eppure è alle donne che spetta il gravoso compito di trasmettere la fede ai figli: è da sempre stato affidato alle mamme e alle nonne il ruolo di insegnare ai bambini a pregare fuori dalle chiese e prima del catechismo. Dunque, non si può pretendere che, oltre ad accudire i figli, badare alla casa (e magari anche ai genitori!), lavorare e impartire la religione, non possano prendere parte alle decisioni del clero.

E se la donna con gli stivali non volesse più questo incarico? Cosa ne sarebbe della trasmissione della fede stessa? Come andrebbe a finire per la chiesa? Proprio per evitare una crisi fra la sfera femminile e l’istituzione ecclesiastica sarebbe auspicabile un riavvicinamento tra questi due mondi, e sarebbe necessario che avvenisse il prima possibile, tanto che Matteo utilizza come titolo per un paragrafo la frase «se non ora, quando?», slogan reso celebre dalle manifestazioni femminili del febbraio 2011.

 

Melania Trimarchi

 

[1] - Franco Garelli, Religione all’italiana. L’anima del paese messa a nudo, il Mulino, Bologna, 2011.

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 77, gennaio 2014)

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