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Anno VII, n 76, dicembre 2013
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Ilenia Marrapodi) . Anno VII, n 76, dicembre 2013

Zoom immagine Un cronista
di provincia

di Irene Nicastro
Da Edizioni la lepre,
il lato comico
del giornalismo


Andare sempre di corsa, passare da un’attività all’altra con estrema versatilità, cercare di “rispondere” prontamente ai vari impegni che quotidianamente affollano la vita di tutti.

Ecco, è il dinamismo a caratterizzare l’odierna società, e sono molti i professionisti a subirne le conseguenze.

Il testo qui analizzato ispeziona con tono satirico il mondo dei giornalisti di periferia, descritto come una specie di «d’inferno dantesco», fatto di caos, stress e urgenze. Ma l’aspetto più buffo di questo «inferno» è che, a volte, dal mix generato dalla fretta e dalla poca cura si producono e si diffondono errori e nonsense esilaranti come: «finalmente una tragedia che è finita nel migliore dei modi», oppure «adesso lascio la parola al mio didietro», o ancora «migliorano le condizioni del carabiniere rimasto ucciso».

Queste e molte altre sono le comiche “castronerie” che si possono trovare nel testo di Gianluigi Gasparri Strafalciopoli dove la cronaca si fa comica (Edizioni la lepre, pp. 170, € 16,00).

Ebbene, l’ironico scenario presentato non è poi così scandaloso, anzi trova l’appoggio dello stesso autore che intravede della genialità nel concepire simili corbellerie.

 

Una cronaca tutta da ridere

I cronisti di provincia costituiscono una sottospecie professionale e sono spesso snobbati dagli stessi colleghi della redazione centrale. Talvolta, però, accade che qualcuno tra questi emerga, e per le buone qualità riesca anche a diventare, ad esempio, direttore. Accade tuttavia pure che, elevandosi professionalmente, finisca per descrivere la provincia come «un grande serbatoio di professionalità e cultura», ma la verità è che sì, viene immaginato realmente «un grande serbatoio», solo non esattamente di cultura.

A popolare dunque il luogo infernale sono i cronisti che, a causa dei ritmi eccessivamente frenetici, molto spesso scrivono senza prestare particolare attenzione. Succede perché non hanno mai tempo, poiché vivono nella fretta di procurarsi più notizie possibili, prepararle rispettando i tempi della tipografia e, proprio per questo «scrivendo come capita, ogni tanto a qualcuno capita di scrivere cose di un’irresistibile comicità involontaria».

Un’abitudine del cronista di provincia consiste nel ritagliare e conservare gli strafalcioni dei suoi colleghi, collezionandoli con la convinzione di farne, prima o poi, un libro. Ed è proprio a partire dalla collezione di questi ritagli che Gasparri ha deciso di dar vita al divertente scritto in questione. L’autore osserva come nel corso degli anni il mondo giornalistico sia cambiato. Una volta i giornali erano scritti in un italiano corretto, se si metteva una virgola al posto sbagliato il direttore riprendeva il cronista in modo secco e deciso. Quello, però, degli articoli scritti in maniera impeccabile è un concetto superato dall’idea che «non è necessario che un giornalista sappia scrivere». Ora molte aziende si concentrano sulla grafica, cambiando molto spesso il formato del carattere. E il risultato è che le parole devono cercare di guadagnarsi il loro meritato posto tra fotografie e grafici. Un bravo giornalista deve saper fare molte cose, deve essere soprattutto bravo con i titoli: infatti nelle grandi redazioni ci sono cronisti addetti unicamente alle titolazioni. Nelle piccole redazioni, dove il personale è scarno, non è così: il giornalista sta fuori tutto il giorno, e quando torna in redazione, oltre a dover scrivere l’articolo, deve preoccuparsi anche di correggerlo e di trovare il titolo giusto da dare alla notizia. È proprio in questo ambiente di lavoro così stressante che escono le “affermazioni” più assurde. Sono queste le frasi che prende in esame Gasparri nel suo libro. Analizza anche alcuni termini tecnici dell’editoria, commentando tutto in modo secco e talvolta ironico. Secondo l’autore, tra i giornalisti vige la regola del «cronista affannato: scrivi uno e sbagli due», basta farci l’occhio e dal giornale emergono i più svariati nonsense. Nonostante i continui litigi con la sintassi, il cronista di Strafalciopoli gode di un’ottima reputazione, sa sempre tutto ciò che accade in città, conosce tutti e riceve numerosi complimenti dagli amici lettori, che magari lo prendono anche in giro per il suo modo di scrivere, ma lui nemmeno se ne accorge perché è “troppo stralunato” e va fiero dei suoi piccoli successi. Sempre per l’autore, un bravo cronista non si spaventa davanti a nulla ed è in grado di trattare ogni tema. Il suo terreno preferito, però, è la critica d’arte, anzi la «critica teatrale». Andare a teatro è segno di distinzione culturale, ma farlo gratis è uno status symbol. Scrivere le recensioni di questi spettacoli per il cronista è un vero spasso, orecchia commenti qua e là e costruisce il suo pezzo pieno zeppo di lodi. Per cui, dall’unione di un giornalista che non sa scrivere, che si deve occupare di molte cose e deve comporre in fretta le sue notizie al computer, quello che può venirne fuori è «una miscela esplosiva di cavolate». La cronaca nera poi è il cavallo di battaglia dei cronisti, che si destreggiano con maestria fra tragici avvenimenti e lasciano il segno tanto sulle persone coinvolte quanto sui lettori più sensibili. Cercando di raccontare in toni commossi le storie di dolore, il giornalista formula nonsense spettacolari, che a volte riescono a far passare in secondo piano una tragedia. È in questo modo che diventa un cabarettista trasformando, alcune volte, la cronaca in comicità.

 

Una satira per riflettere sulla nostra realtà

Gasparri, attraverso la satira, riesce a filtrare la realtà restituendoci una visione più limpida del mondo che ci circonda. Ciò che salta all’occhio è la preoccupazione da parte dell’autore del degrado linguistico che sembra colpire la nostra società. Infatti, un italiano mediamente colto conosce circa duemila parole, un numero che cala tra i ragazzi. Una volta i quotidiani «facevano scuola», cioè venivano consultati in classe come testimoni dell’evoluzione linguistica, un’abitudine didattica che pian piano è andata scomparendo. Il modello linguistico che i giovani prendono ad esempio è oggi quello televisivo dei talk show o dei reality show, dove le regole conversazionali, individuate dal filosofo del linguaggio Paul Grice, sono completamente infrante; il risultato è quello di una massificazione linguistica a livelli molto bassi.

 

Irene Nicastro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 76, dicembre 2013)

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