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Anno VII, n 75, novembre 2013
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Problemi e riflessioni (a cura di Mariacristiana Guglielmelli) . Anno VII, n 75, novembre 2013

Zoom immagine Forme distorte e abuso
della custodia cautelare

di Alessandra Prospero
Il giustizialismo di stato e i suoi esiti paradossali
esposti in un attuale saggio da Rubbettino editore


Nell’Italia dell’impunità e delle caste salta all’occhio una realtà parallela determinata dall’abuso di certe misure di custodia cautelare, in particolare del carcere preventivo, considerate spesso impopolari. Una prassi a volte smodata, come sostengono molti, giustificata concettualmente dalla stessa espressione che la qualifica in senso positivo: la custodia ha sempre un’accezione benevola. O quasi. Perché in verità è la forma più intensa di privazione della libertà personale e, secondo l’art. 275 del nostro codice di procedura penale, «può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulta inadeguata». Eppure in molti casi può assumere i caratteri di «un’abnormità violenta, anti-giuridica, che dimostra […] l’uso disinvolto che procuratori e giudici fanno di una misura che dovrebbe essere extrema ratio, cui ricorrere in assenza di misure alternative. Non anticipazione di pena, né mezzo per estorcere confessioni», come sostiene Annalisa Chirico nell’attualissimo saggio Condannati preventivi. Le manette facili di uno stato fuorilegge (Rubbettino editore, pp. 160, € 10,00).

 

Due firme molto conosciute

Il saggio si apre con una preziosa Prefazione di Vittorio Feltri, che esordisce in questo modo: «L’argomento è impopolare. Parlare e scrivere di malagiustizia irrita coloro che non hanno avuto a che fare col problema». In effetti la semplicistica versione dei profani in materia si limita ad un eterno dubbio tra pena riabilitativa e pena afflittiva, ma Feltri si spinge oltre, sostenendo che «nella bolgia sono mischiati condannati in via definitiva e detenuti in attesa di giudizio, la metà dei quali, statistiche alla mano, risulterà innocente. Si può andare avanti così?».

La Postfazione è invece a cura di un altro celebre giornalista, Giorgio Mulè, che si interroga circa la fondatezza e la congruenza dell’aggettivo “preventiva”, in alcuni casi riferito a carcerazione che di preventivo, secondo lui, non ha nulla, poiché presenta il solo effetto di «menomare nei loro diritti» cittadini che risulteranno poi innocenti e il vulnus loro provocato non sarà mai indennizzabile né risarcibile.

 

Un’antologia diorrori giudiziari

Annalisa Chirico ci racconta quattordici casi paradossali di custodia cautelare, alcuni dei quali illustrano con chiarezza le conseguenze dannose e irreversibili di un’ingiusta detenzione. Si parte da vicende e personaggi noti, come Alfonso Papa, Lele Mora e Silvio Scaglia, per arrivare a vittime invece sconosciute alla collettività. L’autrice, a tratti anche ipergarantista, parla tuttavia con cognizione di causa, poiché è una dirigente del Partito radicale e le visite ai detenuti che ci racconta sono episodi vissuti in prima persona. I quattordici protagonisti sono usciti dal carcere definitivamente cambiati da una simile esperienza e tutti in modo negativo. Da ciò la Chirico evince come sia fallimentare la funzione preventiva della carcerazione, se i magistrati intendono quest’ultima come anticipo di pena. «La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, inoltre, ha condannato l’Italia perché la responsabilità civile dei magistrati non dovrebbe limitarsi soltanto ai casi di dolo o colpa grave».

 

L’anomalia italiana

Il guardasigilli Giuliano Vassalli (da cui ha preso il nome il nuovo codice di procedura penale), come ci ricorda la stessa autrice, «con impareggiabile acume ebbe a dire “Sempre di più il giorno del processo diventa per l’imputato il giorno della libertà”». L’anomalia italiana sta nel fatto che non si faccia ricorso alla carcerazione per esigenze cautelari come ultima ratio ma come prassi consolidata, e i fatti parlano chiaro: «oltre il 40% dei detenuti è in regime di carcerazione preventiva». Inoltre, «l’esigenza cautelare più abusata, quella relativa alla reiterazione del reato, si configura di fatto come un’esigenza impura, non verificabile». In altri paesi, vi sono giudici deputati a stabilire una cauzione monetaria (misura rivelatasi efficace) a seconda della gravità del crimine commesso e non basandosi su criteri meramente arbitrari. Il nostro paese e il nostro sistema processuale, invece, oscillano tra un assoluto garantismo cieco persino davanti all’evidenza e un giustizialismo repressivo e preventivo talvolta eccessivo. Imputati celebri con omicidi alle spalle sono a piede libero, mentre indagati sconosciuti scontano come “pena” un’ingiusta quanto dannosa misura cautelare. Dobbiamo invece sempre essere consapevoli del fatto che «anche il colpevole per essere tale non ha perduto la sua personalità giuridica; e la sua colpa lascia permanente in lui il diritto di non essere punito oltre il giusto (Francesco Carrara)».

Al di là delle inevitabili riflessioni che ognuno di noi può fare su questo dibattutissimo tema, questo libro ha, se non altro, il grande merito di aver fatto breccia nel silenzio che accompagna certi abusi giudiziari e le sue vittime, tra le quali viene doverosamente citato e ricordato la più celebre, Enzo Tortora.

 

Alessandra Prospero

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 75, novembre 2013)

 

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